top of page
Paola De Simone

Un caldo e sinuoso pizzicato unito a un fischiettare scanzonato, quasi un siparietto sonoro affidato in doppia chiave a mo' di prologo ed epilogo al prezioso violoncello del direttore sul podio e solista Mario Brunello. In mezzo, i circa settanta minuti di #Antropocene, partitura per soggetto e musica figlia dei nostri giorni, arguta e sagace quanto dall'organico particolarissimo (appunto violoncello solo e orchestra d'archi più fiati, voce recitante e voce rap) a firma di Mauro Montalbetti, nata in coproduzione fra il Massimo di Palermo, il Romaeuropa Festival e la Fondazione Musica per Roma, varata in area capitolina quindi ieri e oggi portata con successo - ma con scarso pubblico per quanto operazione contemporanea d'indubbio interesse oltre che di accattivante ascolto - per la prima volta a Napoli, in occasione della Concertistica al Teatro San Carlo. Anche se la formula a nostro avviso, ottimamente eseguita dall'Orchestra della Fondazione ridotta in organico da camera e ben tarata in equilibri sonori delicatissimi, sarebbe stata senz'altro più adatta a una cornice aperta quale il Napoli Teatro Festival (Foto di Luciano Romano, ad eccezione di quella della platea a pochi istanti dall'inizio).

Ad ogni buon conto siamo stati ben lieti di aver avuto l'occasione di vederne l'esordio entro il circuito partenopeo perché la pièce, sotto tutti i punti di vista, è costruita veramente ad arte e, dunque, si rivela notevolissima tanto nell'invenzione quanto nella realizzazione artistica sia degli autori-interpreti che della particolarmente duttile Orchestra della Fondazione guidata dal violino di spalla Gabriele Pieranunzi. Notevolissima innanzitutto per la centratura di un testo drammaturgico - scritto e recitato dallo straordinario Marco Paolini - che tanto ci appartiene, fin troppo: una persona qualunque di Venezia, un cittadino perbene dal nome iper-teatrale come quello del librettista verdiano di Rigoletto e Traviata Francesco Maria Piave, chiama allarmato il call center del servizio clienti denunciando il malfunzionamento del proprio dispositivo mobile al collegamento della rete internet. Passa di operatore in operatore, tutti magnificamente e con varia gamma di accenti interpretati dal rapper Frankie hi-nrg mc (nome d’arte di Francesco Di Gesù), ne riceve risposte evasive e, puntualmente, cade la linea. Fino a scoprire di essere l'ultimo uomo al mondo rimasto in collegamento, entro il loop di un dialogo epico surreale, con un'unica voce robotica dall'altra parte del cavo: entrambi, come naufraghi, sono soli e disperatamente alla deriva di un sistema globale al collasso, con batterie e connessioni in fin di vita. A seguire inizierà un'altra era, probabilmente, priva di una tecnologia così avanzata (e diciamo pure all'estremo distruttiva) e senza la quale ormai non riusciamo neppure più a immaginare la nostra esistenza. La causa? Forse un brillamento solare.

#Antropocene (il titolo dell'Oratorio tragicomico si ispira al termine coniato negli anni Ottanta dal biologo Eugene F. Stoermer e poi divulgato nel 2000 dal premio Nobel per la chimica atmosferica, Paul Crutzen, volendo definire l’epoca geologica attuale, in cui l’ambiente terrestre risulta fortemente condizionato dagli effetti dell’azione umana) ci solletica le coscienze e ci fa riflettere sul prima e dopo internet. È un grande Dialogo (secondo il termine più antico e più esatto rispetto a Oratorio) su tema laico, ironico-tragico e surreale, quanto realistico ad un tempo, con toni epici da tregenda intorno alla fragilità anche dei sistemi più evoluti e complessi, in sintesi rap siglata sillabando "Il comandamento è: cresci sempre di più. E così la rete fu". Poi, il black-out, con tanto di buio in palcoscenico, e gli ultimi spasimi del collegamento. Ed è Marco Paolini, drammaturgo, regista e attore assai valente, a raccontarcelo in diretta, sbucando da una grande scatola di cartone, alla sinistra del palcoscenico, e da lì dando il via al testo con memoria ferrea e voce stentorea quanto avvolgente e profonda. Intorno c'è la musica, a sostegno dei protagonisti in dialogo, ora a imitazione (metabolizzando il segnale iterativo di sospensione della linea), a commento (a tal merito si segnala la prima tromba del San Carlo, il bravo Giuseppe Cascone che, con sordina e il suo effetto wa-wa di estrazione jazz, ben emulava una sardonica risata) o sciolta in ampie sortite strumentali, quelle per violoncello solo magistralmente interpretate da Brunello o per orchestra, intersecando stili molteplici ma comunque splendidamente originali.

Fra i mille rivoli in pentagramma si avvertono infatti le tracce del minimalismo d'autore di Philip Glass o Max Richter, la scrittura per archi entro il solco post Vaughan Williams e Barber, ritmi carioca e, da tutt'altro fronte, il Bach della Passione secondo Giovanni magistralmente infilato in filigrana e in contrappunto con archi e percussioni a suono determinato (affidate a Marco Pezzenati e a Pasquale Bardaro, sfregate anche con l'archetto per produrre onirici armonici secondo il più moderno uso) al rap scandito a mezzavoce, e dunque in suggestiva dimensione pseudo-strumentale, dal non meno efficace Frankie hi-nrg mc (nelle due foto accanto). Il tutto regolato dal versatile Brunello, in parte al violoncello e in parte dal podio, con cura e sensibilità rare nei colori come nelle dinamiche, nei ritmi e negli incastri fra i tanti ed eterogenei tasselli presenti in un'architettura di felice impatto e sempre assai pertinente suggestione.

Giusto per intenderci, per equilibrio testo-musica e bellezza delle soluzioni melodico-timbriche, nulla o poco a che vedere c'era rispetto agli Oratori contemporanei ascoltati di recente al San Carlo, qui particolarmente apprezzando (peccato veramente per chi non c'era, soprattutto i più giovani) la fattura crossover non solo della partitura ma lo stesso senso delle parole che l'autore-interprete Paolini ha così spiegato nelle sue note: "Gli antropòceni sono gli abitanti dell’era più cool della storia del pianeta. In un’escalation tragicomica instaurano una lotta per salvare dall’estinzione non tanto se stessi quanto le cose che gli sono più care. Il dialogo è contrappuntato da romanze che scandiscono le fasi della ‘piccola passione’ che conduce l’uomo dal suo tranquillo tecno-destino a una strada totalmente ignota. Una strada che somiglia a un’evoluzione alla rovescia, alla quale di nuovo dovrà abituarsi in fretta. L’evoluzione delle cose, il loro aggregarsi e mutare, la loro pervasività e invasività nel nostro mondo generano nostalgia di una semplicità naturale che assume caratteri di mito. Raccontare come un viaggio l’odissea di artifici e tecnologie che hanno accompagnato gli uomini può aiutare a sfatare quel mito".

Fra i tanti dettagli, ricordiamo giusto la battuta del primo operatore (una certa Beatrice dalla voce virile) racchiusa nella divertente quanto tipica "Signor Piave ha controllato che il suo modem sia acceso?" o nella consueta risposta ribadita anche dall'operatore Napoli 204, Ciro, "Dev'essere frustrante il ripetersi di un disservizio che limita le sue possibilità di accesso alla rete"; e fino all'apocalittica sentenza "Da oggi tutti i dati sono sospesi" scandita dalla voce robotica di Ans-bot. Per poi concludere all'unisono ricordando che "L'esistenza è un atto di fede" mentre, sul fischiettìo iniziale più violoncello, arriva anche il gracidare di un ultimo squillo della società di assistenza per un paradossale sondaggio sulla qualità del servizio ricevuto. Al termine, su una dolcissima chiusa per violoncello e orchestra, il monito per tutti, come per il passato diluvio, di mettersi a nuotare. "Perché i tempi - ricorda la voce di Paolini estraniata dal contesto - stanno cambiando".

Si vieta la riproduzione dell'articolo e di ogni altra sua parte

In primo piano
RSS Feed
  • Facebook Long Shadow
  • Google+ Social Icon
Recenti
bottom of page