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  • Paola De Simone

Surreale, onirico ed ironico sospeso com'è, a gravità zero e a rifrazione dal sottopalco al fondale, fra realtà, illusione e immaginazione, alta sensibilità poetica e scultorea acrobazia circense. Costantemente quanto agilmente in bilico fra le tre grandi arti temporali - canto, musica e danza - entro una colta rete fitta di note, miti, maschere e visioni, di rimandi storico-teatrali dalle origini dell'opera alla Commedia dell'Arte, dalla stagione d'oro dei castrati, alle scuole strumentali e fin su ai nostri giorni, guardando ma originalmente divergendo dalle spericolate geometrie nel vuoto targate Fura dels Baus o dalle metamorfiche suggestioni inventate dai Momix.
Il tutto, con mariniana tecnica della meraviglia, intorno a un preziosissimo cuore centrale: il funambolico, straordinario virtuosismo del Barocco italiano partendo da una punta di diamante nonché tassello-cardine della nostra tradizione canora: il Prologo della Musica dall'Orfeo (Mantova, 1607) di Claudio Monteverdi (di cui nel 2017 si celebrano i 450 anni dalla nascita), in chiave neoplatonica emblema stesso del potere dell'arte che unisce in equilibrio assoluto l'efficacia del suono e la verità della parola, opening del primo, vero capolavoro del patrimonio operistico italiano oltre che del mondo intero e qui (sebbene monco della quarta quartina, ossia della penultima strofa che narra appunto la storia del semidio) prisma che assomma in sé la faraonica statura di una mozartiana Regina della notte, il copricapo piumato dei castrati e i corpi dei danzatori avvolti in stile Martha Graham (Lamentation) nelle code in movimento di un abito candido come la luna, quasi fosse un'ovidiana Aracne o un'ipnotica Medusa (sopra, nella foto di Diego Reggianti). È così che sorprende, diverte, conquista e convince Aria. Arie barocche nell'aria, il bellissimo spettacolo creato da Emiliano Pellisari con la sua NoGravity Dance Company, ieri applaudito con vivo successo in prima regionale per la sezione Danza del Napoli Teatro Festival Italia con il direttore Ruggero Cappuccio e il presidente Luigi Grispello più consorte seduti in pole position, quindi stasera in replica (ore 21, ma con posti già tutti venduti) sempre nel Cortile d'onore del Palazzo Reale.
In campo, una squadra coesa di interpreti già di per sé notevolissimi ma a maggior ragione apprezzati considerando, per quanto amplificati, le difficoltà nel cantare in buca stesi a pancia all'aria, o in oscillazione pendolare e, per i danzatori, nel volteggiare e fluttuare in pari posizione orizzontale e parimenti nel sottopalco in capriole, salti e in simmetrie varie fra cavi elastici e carrelli o altre macchine teatrali pensando all'effetto verticale da rimandare agli spettatori attraverso il velario di fondo (tecnica ad esempio usata in via ancora artigianale dai meritevoli, giovanissimi artisti del gruppo Chapitombolo nel recente Italia's Got Talent), come in una lanterna magica o una camera ottica. In primis, dunque, il soprano Susanne Bungaard dalla voce bella, duttile, ricca di colori e possente, assai efficace tanto nel filone serio (splendida la sua "Sposa son disprezzata" dalla Merope di Giacomelli) che nel buffo con il mix fra le due arie principali dalla Serva padrona pergolesiana "A Serpina penserete" e "Stizzoso mio stizzoso" in inedito tandem di cartone a ritaglio con il sopranista pronto a inglobare e recitare anche l'incipit di Uberto. Quindi, l'appena citato Angelo Bonazzoli, versatile falsettista quanto fenomenale acrobata dell'ugola fra intonazione "doc", ribattutti esatti, fiati infiniti e una comicità esilarante che già al secondo tassello in lista ha aperto il fronte di un'ironia irresistibile oscillando e intonando la Farfalletta vivaldiana (dalla Cantata RV 660) goffamente vestito come un'apona in precario volo (nella terza foto), per poi culminare nell'aria di paragone "Son qual nave" dall'Artaserse del fratello del Farinelli, Riccardo Broschi, dimenandosi in una microbarca di cartone fra le sirene danzanti. Soprano e sopranista in perfetto registro mezzosopranile, poi, insieme, per un duetto estratto dal Pergolesi sacro dello "Stabat" sullo sfondo di croci a fascia elastica portate e attraversate come in un dipinto dai danzatori dai corpi plastici, allenatissimi e sempre in simil-nudo.
E, ancora, il bellissimo quadro costruito a partire dalla gonna-teatro del soprano duettante con un jolly-cantastorie (sotto nella foto di Diego Reggianti) sul tipico paradosso barocco fra un'estetica esplicita, dunque di compiaciuto edonismo, e una livida etica da britannici Morality Plays fatta di maschere e di danzatori-simbolo intorno al tema della Vanitas, come l'Amore, il Tempo, la Calunnia, la Disperazione e la Morte sull'intensa Cantata a due voci, chitarra barocca, 2 violini, flauto e continuo Lagrimosa beltà di Giovanni Felice Sances. Parimenti lodevole, d'altra parte, il gruppo dei sei musicisti riconoscibili negli elementi dell'ormai storico e ben rodato Romabarocca Ensemble seppur, nell'occasione, con la grave lacuna - se di Barocco si parla - dell'assenza del direttore al cembalo Lorenzo Tozzi che, come da competenze e da spettacolo dell'esordio romano con relative, felici tappe in Europa, è stato il responsabile del dotto lavoro di non facile organizzazione del mosaico musicale in ideale sincronia con la geniale creazione visuale e coreutica realizzata da Pellisari con Mariana Porceddu.

Gli ottimi Corrado Stocchi e Prisca Amori ai violini, Matteo Scarpelli al violoncello, Carolina Pace, così come nel Settecento sia al flauto (per la sua resa migliore) che all'oboe (troppo monocorde nell'Adagio dal Concerto di Alessandro Marcello), Stefano Maiorana alla tiorba: ecco i musicisti che, dalle quinte, in alto sulla scena e fra mille travestimenti hanno dato suono e sostanza ai tredici, diversi tasselli dell'omaggio puntato sulla vertiginosa polarità in sinergia fra Barocco ed Aria, attraversando oltre i citati Monteverdi, Vivaldi, Pergolesi, Giacomelli e Broschi, il primo movimento della più celebre Sonata di Tartini (il "Trillo del diavolo", ottimamente eseguita dal violinista Corrado Stocchi per quanto accompagnato da un basso a plettro e non, si ribadisce, da un opportuno clavicembalo), la Sinfonia in fa maggiore per violoncello e clavicembalo ma qui sempre con strumento a pizzico per il quadro dedicato a un Pulcinella stilizzato fra il Seicento e i nostri giorni, il Vivaldi del Concerto per flauto "Il gardellino" e del secondo capitolo tratto dalla Stravaganza.

E fino ai bellissimi cammei di maschera costruiti sulla Follia corelliana e di un anonimo quattrocentesco dal titolo "Rodrigo Martinez" (per lo più eseguita da Jordi Savall) con l'originale carrellata finale per i ringraziamenti, calati dall'alto, di tutti i magnifici danzatori in campo: Antonella Perazzo, Eva Campanaro, Camilla Gesualdo, Francesco Saverio Cifaldi, Song Nai Long, Giuseppe Liuzzo. Danzatori, cantanti e strumentisti, al termine, in sfilata trionfale dinanzi al pubblico alzatosi in piedi plaudente.
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