Un Brahms incandescente, scolpito fra archi tesi e tasti possenti con intesa serrata, dallo scavo profondo quanto dai ritmi taglienti, acuminati. Di misteriosa intensità nelle ombrose pieghe meditative, generoso negli slanci lirici così come di fuoco nelle corse in staccato degli Scherzi e nei gorghi complessi dei rispettivi Finali.
Dunque, un vero Brahms, quello ascoltato in una sala letteralmente stracolma nella veranda di Villa Pignatelli con il Maggio della Musica, grazie all’unione in quartetto, quindi in quintetto, fra un pianista di piena tempra e rigore quale Michele Campanella, direttore artistico e interprete di cui nell’occasione si celebrava il settantesimo compleanno, e un autentico poker d’archi, in via d’eccezione qualitativa nato all’interno di una Fondazione lirica italiana, qual è il Quartetto della Scala di Milano formato da musicisti, singolarmente come in assieme, eccellenti per tecnica, timbrica e intelligenza analitica: Francesco Manara al primo violino, Daniele Pascoletti al secondo, Simonide Braconi alla viola e Massimo Polidori al violoncello. Ed è proprio così che li ha voluti presentare al termine del loro concerto mozzafiato, citandoli uno ad uno al microfono entro il trionfo di applausi del pubblico in piedi, il festeggiato Michele Campanella (nel video con il discorso fatto in chiusura e il bis tratto dal Quintetto per pianoforte e archi di Giuseppe Martucci), a sua volta presentato dal violoncellista Polidori al termine di una scalata cameristica monumentale.
In programma, infatti, il Quartetto in do minore n. 3 op. 60 per pianoforte e archi, legato per ispirazione ed epiteto postumo al “Werther” goethiano, nonché influenzato dal dolore per la follia e morte dell’amico Schumann, pertanto, innervato di dramma e passione fra tormenti, emozioni, riflessioni, picchi di luci ed ombre cupe. Compreso un meraviglioso canto d’amore, nell’Andante originalmente in terza posizione, cesellato realmente con il cuore dal bravissimo violoncellista scaligero.
Poi, con il gruppo d’archi al completo, il Quintetto in fa minore op. 34, lavoro dalla genesi complessa e fra i più alti della letteratura da camera ottocentesca, oltre che dello stesso catalogo brahmsiano. Peculiarità dell’opera quanto dell’interpretazione messa a segno in rara sinergia nell’occasione, l’insolito impatto sonoro para-orchestrale dovuto allo sperimentale innesto operato in forma inedita da Brahms fra il concerto solistico e la musica da camera, fra il grande sinfonismo e le più intime sonorità. È dunque in tale centro, perfettamente colto nell’esatto equilibrio fra la razionale indagine dell’ordito e l’argento vivo delle dinamiche, che va riconosciuto il gran bersaglio restituito dalla rilettura del pianista Campanella e dai quattro archi della Scala attraversando le dense elaborazioni melodico-ritmiche dell’ampio (299 battute) Allegro non troppo iniziale, i respiri tesi ed intensi dell’Andante, un poco Adagio, gli sbalzi estremi del dionisiaco Scherzo spinto a colpi di ruvide arcate e forte di un pianismo d’acciaio, fino a condurci con loro entro il vortice di un Allegro spiccato in volo, oltre la luce arcana delle battute iniziali, e fin giù nel magma sonoro finale.
Al termine l’esplosione mista di applausi, commozione ed entusiasmi, le bellissime parole del maestro Campanella con le quali, oltre ad aver ringraziato tutti i musicisti che hanno dato vita in tre anni al Festival brahmsiano, ha voluto esprimere la propria gioia per la presenza in sala, per la prima volta nella sua vita, di tutti e cinque i propri figli. Poi, pronti per staccare il bis (lo Scherzo dal Quintetto per pianoforte e archi di Martucci, primo sostenitore in Italia di Brahms), la speciale sorpresa degli auguri intonati dai quattro archi della Scala. Un bel regalo per tutti in una grande serata di musica da camera, chiusa dall’abbraccio ideale del pubblico della sua città e del suo “Maggio”.
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