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Paola De Simone

Torna al San Carlo la Tosca di Giacomo Puccini riletta in stile Gomorra dal regista Eduardo De Angelis, chiamato due anni fa dalla Fondazione napoletana per esordire nella lirica con tale titolo e con le scene contemporanee dell'artista Mimmo Paladino. La ripresa dell'allestimento è curata da Paolo Vettori. Cantano le stelle Oksana Dyka e Jonas Kaufmann mentre, in terza sostituzione, il barone Scarpia è affidato al baritono Gabriele Viviani. Sul podio, Juraj Valčuha




La Stagione Lirica del Teatro San Carlo prosegue da stasera, mercoledì 20 aprile ore 20, riprendendo la Tosca di Giacomo Puccini nella versione registica "stile Gomorra" appositamente creata nel 2020 per il Lirico napoletano da Eduardo De Angelis per il suo esordio nell'opera (nelle foto di Luciano Romano).

Regista per la ripresa è Paolo Vettori. Per l'allestimento si rinvia alla mia recensione pubblicata sul blog Connessi all'Opera al link <https://www.connessiallopera.it/recensioni/2020/napoli-teatro-san-carlo-tosca/>.

Cinque in tutto le recite, in programma fino a martedì 3 maggio, che vedranno Juraj Valčuha dirigere l’Orchestra e il Coro della Fondazione guidata da Lissner.

Maestro del Coro è José Luis Basso mentre Stefania Rinaldi guida il Coro di Voci Bianche.

Scene Mimmo Paladino, i costumi sono di Massimo Cantini Parrini e le luci di Cesare Accetta. Nuovi invece gli interpreti: la recente Turandot romana Oksana Dyka vestirà i panni della protagonista Floria Tosca, Jonas Kaufmann interpreterà il ruolo di Cavaradossi (che vedrà invece in scena il 3 maggio Antonello Palombi), Gabriele Viviani il Barone Scarpia, ruolo inizialmente affidato allo straordinario baritono Ildar Abdrazakov, quindi passato a Lucas Meachem e poi a Viviani in terza sostituzione.

Completano il cast Emanuele Cordaro (Cesare Angelotti), Sergio Vitale (Il sagrestano) e Francesco Pittari (Spoletta).

Non mancheranno quattro spettacoli riservati alle scuole, da giovedì 21 aprile a mercoledì 4 maggio alle ore 11. Le matinée vedranno sul podio Maurizio Agostini e tra gli interpreti vocali alcuni giovani allievi dell’Accademia del Teatro San Carlo.

Nel cast Francesca Tiburzi (Floria Tosca) Giorgi Guliashvili (Mario Cavaradossi), Emil Vincenzi (Il Barone Scarpia), Zhang Shuai (Cesare Angelotti), Giovanni Impagliazzo e Mattia Ribba (Il Sagrestano), Andrea Calce (Spoletta).



Dalla Guida all’ascolto del programma di sala

dii Marco Bizzarini


Il Verismo 2.0 di Tosca

La quinta opera di Puccini, Tosca, andò per la prima volta in scena al Teatro Costanzi di Roma il 14 gennaio 1900. Un decennio prima, la sera del 17 maggio 1890, il medesimo teatro aveva decretato il trionfale debutto di Cavalleria rusticana di Mascagni. Non è questa la sola analogia tra le prime assolute di due dei più celebri titoli del repertorio operistico italiano: a dirigere entrambi fu infatti chiamato il rinomato maestro napoletano Leopoldo Mugnone. Può anche darsi che dieci anni rappresentino un intervallo di tempo piuttosto ravvicinato in prospettiva storica, ma la nostra esperienza di uomini del XXI secolo ci insegna che anche nel giro di un solo decennio può cambiare il mondo. Ed è proprio il caso in questione: la Roma che vide il debutto scenico di Toscanon era più la Roma di Cavalleria.

Mosco Carner, nella sua monografia su Puccini, ripercorre efficacemente il clima di straordinaria agitazione, anche di natura extramusicale, che turbò la première di Tosca. In poche parole, si temeva che potesse aver luogo un attentato al Teatro Costanzi. All’inquieto Mugnone un funzionario di pubblica sicurezza raccomandò, nel malaugurato caso dello scoppio di una bomba in sala, di interrompere subito l’esecuzione dell’opera per attaccare la Marcia Reale. Re Umberto I aveva subìto un attentato nel 1897 e sarebbe morto di lì a poco, nel luglio di quello stesso 1900, sotto i colpi di rivoltella dell’anarchico Bresci. C’era poco da scherzare. Tutto questo in aggiunta alla prevedibile tensione di una serata tanto attesa, alla presenza della Regina Margherita, del Presidente del Consiglio, del fior fiore della nobiltà romana, della stampa internazionale, di compositori come lo stesso Mascagni, Cilea e Franchetti. Per non parlare delle lettere anonime intimidatorie ricevute alla vigilia da alcuni dei cantanti impegnati. Ma a parte il palpabile nervosismo e una breve sospensione della recita provocata dagli strepiti di alcuni disturbatori, quella sera a teatro non successe nulla di particolarmente grave e le pagine più celebri dell’opera, da “Vissi d’arte” a “E lucevan le stelle”, incominciarono il loro cammino d’infallibile seduzione nei confronti degli ascoltatori.


Si sa che la vicenda di Tosca è ambientata in tre luoghi della Città Eterna: la chiesa di Sant’Andrea della Valle, Palazzo Farnese, Castel Sant’Angelo. Scegliere Roma come luogo della prima rappresentazione poteva dunque essere del tutto naturale per gli organizzatori. Una scelta comunque non priva di rischi, pensando a come il pubblico della nuova capitale italiana avrebbe potuto reagire, per esempio, dinanzi alla messa a nudo di un nesso urticante fra religiosità di facciata e corruzione profonda. Forse non è neppure da escludere una sorta di sfida a distanza tra la produzione di Tosca promossa dall’editore Ricordi e quella di Cavalleria rusticana, a suo tempo ideata dalla rivale casa editrice Sonzogno. Puccini e Mascagni erano stati grandi amici al tempo dei loro studi al Conservatorio di Milano, nei primi anni ’80 dell’Ottocento, entrambi condiscepoli di Amilcare Ponchielli, il cui capolavoro, Gioconda, forse non per caso, ha una protagonista femminile che presenta analogie con la stessa Tosca. Poi i due compositori, una volta raggiunta la fama, si sarebbero trovati, com’è naturale, a percorrere strade diverse e talora in conflitto. Possibile, con queste premesse, che Puccini e i suoi collaboratori non intendessero competere, almeno idealmente, con Cavalleria?


Con una definizione un tantino lapidaria, diversi anni fa Massimo Mila, nella sua Breve storia della musica, parlava di un supposto «sbandamento verista della Tosca» a proposito del non rettilineo percorso artistico di Puccini, evidentemente guidato dal desiderio di non ripetere se stesso dopo i successi di Manon Lescaut e della Bohème. Ma in che senso Tosca può essere intesa come un’opera verista? L’influsso di quella corrente musicale è indubitabile in una pagina come lo stornello in romanesco, incastonato in un tessuto sinfonico e cantato da un pastorello all’inizio del terzo atto, su versi scritti per l’occasione da Luigi Zanazzo e probabilmente poco graditi agli stessi librettisti ufficiali Giacosa e Illica. A un’esigenza di fedele realismo risponde il desiderio di Puccini di riprodurre l’esatta nota del campanone di San Pietro, corrispondente a un mi sotto il rigo di basso. Le urla di Cavaradossi torturato durante il secondo atto, così come il dialogo “gridando” (così si legge nello spartito) tra il diabolico Scarpia appena pugnalato (“Maledetta!”) e la rabbiosa protagonista (Questo è il bacio di Tosca!”) rimandano allo stesso modello. Gli inserti di canti sacri in latino alla fine del primo atto trovano un antecedente nei riti pasquali di Cavalleria, anche se il contrasto fra la cerimonia solenne del Te Deum e i pensieri lascivi di Scarpia appartengono a pieno titolo solo al teatro pucciniano. E gli esempi potrebbero continuare.

Si tratta, in ogni caso, di un Verismo fortemente riveduto, o per meglio dire, ricreato su basi diverse rispetto ai primi modelli di Cavalleria rusticana, dei Pagliacci di Leoncavallo o della meno fortunata Mala vita di Giordano. In Tosca non ritroviamo più protagonisti provenienti da infimi strati sociali, né ambienti del Mezzogiorno d’Italia, né fatti che si svolgono nella contemporaneità. Ecco, invece, una coppia di artisti - la cantante Floria Tosca e il pittore Mario Cavaradossi - attivi nell’alta società, ecco alcuni dei più prestigiosi edifici della Città Eterna ed ecco, infine, una cornice storica dettagliatissima per un’azione ambientata esattamente cent’anni prima rispetto all’epoca del debutto. Di per sé, dunque, il soggetto di Tosca adattato a un’opera in musica non era molto verista, avvicinandosi piuttosto al grand-opéra di tradizione francese, magari attraverso il filtro magico del teatro di Verdi che, non per caso, aveva vivamente apprezzato il dramma di Victorien Sardou alla base del libretto laboriosamente messo a punto da Illica e Giacosa. E non era forse il sadico Scarpia un possibile discendente dello Jago verdiano?

Tuttavia, l’aspetto in cui Cavalleria e Tosca divergono in maggior grado riguarda l’articolazione della forma musicale. Pur essendo presenti in entrambe le opere i motivi ricorrenti (per i quali lo stesso Puccini non esitava a chiamare in causa il termine wagneriano di Leitmotiv), Mascagni, nel suo atto unico, si avvale ancora delle tradizionali forme chiuse, mentre in ciascun atto di Tosca predomina il flusso ininterrotto. Certo, non mancano gli slanci lirici irresistibili, ma se si considera la memorabile sortita di Cavaradossi, “Recondita armonia”, si noterà come la riflessione sentimentale del tenore venga sovrapposta al brontolio del sagrestano “Scherza coi fanti e lascia stare i santi” che rasenta quasi il registro comico: insomma, la brama di melodia del pubblico viene certamente appagata, ma senza intaccare la continuità della drammaturgia e lo stile di conversazione. Fa eccezione la celeberrima romanza della protagonista nel secondo atto, “Vissi d’arte”, una commovente preghiera autobiografica, questa sì - volendo - agevolmente estrapolabile dalla partitura: e infatti Puccini fu quasi tentato di eliminarla in quanto temeva con essa d’interrompere la continuità drammatica, ma per fortuna rinunciò a questo suo proposito fin troppo rigoroso.


Dopo aver ricevuto le severe obiezioni di Giulio Ricordi sul terzo atto di Tosca, Puccini rispose con fermezza che non intendeva apportare modifiche: «Non è orgoglio il mio, no: è la convinzione di aver colorito come meglio non potevo il dramma che mi stava dinnanzi». Senza dubbio il compositore aveva ragione: se ci si addentra nei dettagli della partitura non si finirà mai di scoprire nuove sottigliezze nell’aderenza fra canto, scrittura orchestrale e situazioni sceniche.

Anche il dramma di Sardou, nonostante qualche svista topografica prontamente individuata da Puccini, fu scritto con una particolare attenzione alla cornice storica. Alcuni anni fa, ricerche di Deborah Burton evidenziarono che l’inquietante personaggio di Scarpia potrebbe essere stato ispirato da due uomini realmente esistiti al tempo della repressione della Repubblica Napoletana nel 1799: il barone salernitano Sciarpa e il terribile giudice siciliano Vincenzo Speciale. Vincenzo Cuoco definì il primo «uno dei più grandi e letali controrivoluzionari», mentre per il secondo non esitò a ricorrere all’etichetta di «mostro». Malgrado l’accurata cornice storica, con i sovrani partenopei Ferdinando IV di Borbone e la consorte Maria Carolina impegnati a occupare l’Urbe dopo la caduta dell’effimera Repubblica Romana, con le notizie contrastanti sull’esito della battaglia di Marengo (14 giugno 1800) fra gli austriaci guidati dal generale Melas e i francesi sospinti da Napoleone, Tosca rimane un’opera di passioni a tinte forti con gran spargimento di sangue e conseguente record di personaggi principali destinati a morire: tutto il resto rimane sullo sfondo, anche se probabilmente in nessun altro lavoro di Puccini tale sfondo risulta così vivido.

Tra gli stilemi più diffusi del Verismo musicale si annoverava quello di concludere un’opera con uno dei più efficaci motivi ricorrenti esposto a tutta forza dall’orchestra. Tosca, come in precedenza La bohème, non fa eccezione. Le ultime note che risuonano mentre la protagonista si getta nel vuoto, davanti allo sguardo allibito dei soldati, riprendono un paio di motivi di “E lucevan le stelle”. Secondo Mosco Carner, citare l’irresistibile aria di Cavaradossi per accompagnare il suicidio di Tosca corrrisponderebbe più all’astuzia di un esperto uomo di teatro che non alla soluzione coerente di un profondo drammaturgo musicale. Si può tuttavia replicare alla critica osservando che l’armonizzazione del motivo di “E lucevan le stelle” avviene qui per terze e seste parallele, in modo del tutto analogo all’inizio del “Vissi d’arte” di Tosca: dunque, è come se i due amanti fossero idealmente riuniti nel loro ultimo, struggente addio alla vita. Ecco allora che, ancora una volta, un supposto luogo comune del Verismo si trasfigura e viene nobilitato nel contesto della più complessa dimensione del teatro pucciniano, inconfondibilmente personale.






Dal 20 Aprile al 3 Maggio 2022

Giacomo Puccini

TOSCA

Melodramma in tre atti

Libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, dal dramma omonimo di Victorien Sardou

Direttore | Juraj Valčuha

Regia | Edoardo De Angelis

Scene | Mimmo Paladino

Interpreti

Floria Tosca | Oksana Dyka

Mario Cavaradossi | Jonas Kaufmann (20, 23, 27, 30) / Antonello Palombi (3)

Il Barone Scarpia | Gabriele Viviani

Cesare Angelotti | Emanuele Cordaro

Il sagrestano | Sergio Vitale Spoletta | Francesco Pittari

Sciarrone | Giacomo Mercaldo

Il carceriere | Gianvito Ribba

Artista del Coro

Orchestra, Coro e Coro di Voci Bianche del Teatro di San Carlo Maestro del Coro | José Luis Basso Maestro del Coro di Voci Bianche | Stefania Rinaldi

Produzione del Teatro di San Carlo

Teatro di San Carlo

mercoledì 20 aprile 2022, ore 20:00

sabato 23 aprile 2022, ore 21:00

mercoledì 27 aprile 2022, ore 18:00

sabato 30 aprile 2022, ore 21:00

martedì 3 maggio 2022, ore 20:00

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