La stagione "Note svelate" targata Fondazione Pietà de' Turchini di Napoli riscopre lo straordinario poeta, compositore e interprete alle radici dell'opera Francesco Rasi, con il bel progetto del tenore Riccardo Pisani e del clavicembalista Francesco Cera alla guida dell'Ensemble Arte Musica
Nel segno di un progetto di estremo interesse, interamente dedicato a un artista centrale del canto monodico e del rapporto fra parola poetica e musica alle origini dell'opera al gran salto fra il Cinque e il Seicento, è ripartita la stagione concertistica della Fondazione Pietà de’ Turchini, “Note svelate”, oggi domenica 13 marzo presso la Chiesa di Santa Caterina da Siena. In programma, “La Cetra di Sette Corde”, focus sul poeta, compositore, cantante e strumentista di straordinario eclettismo Francesco Rasi, nell'interpretazione del tenore Riccardo Pisani e dell’Ensemble Arte Musica formato da Chiara Granata (arpa), Silvia De Maria (viola da gamba e lirone), Giovanni Bellini (tiorba e chitarra barocca) diretto dal clavicembalista Francesco Cera.
Ripercorrendone i "Madrigali e Vaghezze”, il progetto in ascolto ha inteso infatti portare nuova e doverosa luce sul nobile aretino Francesco Rasi (o anche Raso, Rasio, Rassi, Rasius), discendente da una blasonata famiglia e che, dopo aver studiato legge a Pisa, sceglie le lettere e la musica (più idonee, a suo parere, a formare un gentiluomo), presto divenendo poeta eccelso, tenore virtuoso “di bello aspetto, gioviale, di voce granitica e suave” stando a quanto attesta il trattatista coevo Severo Bonini accanto al celebre Gabriello Chiabrera (che ne loda “l’aurea voce”) e a Marco da Gagliano (che ne sottolinea il canto leggiadro e “singularissimo”). Inoltre, musicista egli stesso, abile nel suonare il chitarrone (nel 1598, si accompagna a Mantova in un Intermedio del Pastor fido del Guarini) e l’arpa doppia che, con ogni probabilità, avrà impugnato nell’Orfeo monteverdiano (Bianconi ha inoltre ipotizzato che la duplice versione fiorita e sillabica, dell’aria virtuosa “Possente spirto e formidabil nume” nella partitura veneziana a stampa esemplifichi i “passaggi” effettivamente realizzati in origine dal Rasi e lo scheletro su cui improvvisare), quindi strumento che certamente suonò nel 1608 interpretando Arione nel balletto Tributi delle acque, sia accompagnandosi nel madrigale “Serenissimi Numi” a Mantova e a Torino per le nozze di Francesco Gonzaga con Margherita di Savoia. Ma, anche, nel 1611 a Casale Monferrato interpretando Nettuno nel balletto finale della Favola di Psiche.
Rivela quindi un talento di grande sentimento e di rara forza espressiva, al punto da esser conteso – nell’arco di una vita dalle avventurose peripezie sia in terra natìa che all’estero – fra i più potenti mecenati (Medici, Gonzaga, Savoia, Gesualdo da Venosa) e fra le principali corti dell’Italia barocca, primo interprete dei maggiori ruoli al nascere dell’opera (è Aminta nell’Euridice di Peri e Caccini, Orfeo e, nell’Arianna Apollo, per Monteverdi) entro una carta culturale opulenta, policentrica e magnifica.
Vissuto fra il 1574 e il 1621, il Rasi letteralmente svetta fra le pieghe della nostra storia artistica al salto di secolo. Nell’anno 1588 è al servizio della corte medìcea, fra il 1593 e il 1594 si fa apprezzare come virtuoso a Roma dal mitico Emilio de’ Cavalieri, probabilmente è al fianco del principe Gesualdo da Venosa nel viaggio da Roma a Napoli, nel novembre 1595 inizia a lavorare a Mantova presso la corte dei Gonzaga. E a seguire: prende lezioni di canto da Giulio Caccini a Firenze, si sposta a Ferrara dove incontra Gesualdo e il Frescobaldi, nel 1601 accompagna il vescovo di Caserta alla corte del re di Polonia. Passando per Vienna si rompe pure una gamba, balzando eroicamente fuori dalla carrozza che stava uscendo fuori strada. Poi, risulta ospite a Venezia del doge Pietro Priuli (che pure ritroviamo con gli altri potenti fra i dedicatari dei versi della sua Cetra). Segue inoltre con il Monteverdi il viaggio d’Oltralpe del duca di Mantova toccando Innsbruck, Basilea, Bruxelles, Anversa e quant’altro fino ai Paesi Bassi, nonché trovando anche il tempo per scrivere a un altro celebre membro della Camerata fiorentina, Jacopo Corsi.
Nell’emblematico 1600 è quindi reclutato per cantare nei festeggiamenti per le nozze a Firenze di Maria de’ Medici con Enrico IV di Francia. È infatti il pastore Aminta nella celeberrima Euridice di Rinuccini, Peri e Caccini (prima opera in musica completa della nostra Storia) ma canta, anche, come Febo nel Rapimento di Cefalo firmato dal tandem Chiabrera-Caccini. Torna a Mantova dove dà forma e voce all’Orfeo monteverdiano e, prima di interpretare Apollo nella Dafne di Marco da Gagliano, Bacco poi Apollo nella perduta (tranne il Lamento) Arianna del Monteverdi, soggiorna nella genovese Villa Grimaldi dove incontra il pittore Rubens. Torna nei Paesi Bassi con ulteriore, ampio giro di luoghi, vede pubblicare a Venezia le sue Vaghezze, raccolta di rime per musica sue e di altri grandi (Petrarca, Chiabrera, Bernardo Tasso, Guarini) nella quale confluiscono anche alcuni componimenti giovanili. Si reca a Torino, accompagna la matrigna ad Arezzo e nell’occasione, invischiato in una tresca amorosa con la moglie di un fattore della donna, uccide entrambi gli antagonisti, finendo condannato e bandito dal Gran Ducato di Toscana. È infine accademico “forestiero” del cenacolo filarmonico di Verona, si esibisce alla corte di Praga, a Salisburgo e a Innsbruck, scrive versi per favole da “recitarsi cantando”, ma spesso annullate, compone monodie su versi propri. A Roma esegue il Lamento di Andromeda di Marliani e chiude la sua vivace esistenza rientrando a Mantova, dove si spegne il 30 novembre 1621, nella contrada del Grifone.
Esaltandone dunque l’estro entro un vissuto artistico particolarissimo e la riconosciuta abilità d’interazione fra la parola poetica e l’intonazione musicale maturata a partire dal rodaggio fra il recitar cantando fiorentino e il parlar cantando monteverdiano, l’arte di Francesco Rasi è qui narrata e restituita attingendo dalle sue due principali raccolte per il pentagramma (le Vaghezze di musica, edite nel 1608 a Venezia da Gardano, e i Madrigali pubblicati due anni dopo a Firenze dal Marescotti). Degna di nota è inoltre la formula, atta a ricostruirne l’itinerario seguendo, in una sorta di plastica drammaturgia interna, lo schema emotivo e formale del suo stesso Canzoniere barocco, la Cetra di Sette Corde.
A tal merito gli interpreti e autori del programma, Francesco Cera al clavicembalo e concertazione unitamente al tenore Riccardo Pisani, spiegano: «È una storia fatta di corde dell’animo umano», il cui punto più vivo coincide con il mito di Orfeo. «Da lì – proseguono – prende vita il nostro viaggio immaginario nella relazione amorosa (Indarno Febo). A partire dall’innamoramento e dalla lode alla donna amata (Filli mia), dagli sguardi amorosi (Un guardo), degli effetti benefici dell’amore (Cor mio, mentre vi miro), passando per la rottura improvvisa ed il tradimento (Deh, come in un momento) e infine il ricordo (Sento l’antica fiamma). Culmine della narrazione è l’ampio madrigale “Ferma Tersilla mia”, unico momento in cui uno sguardo esterno osserva una precisa actio teatrale, e ci svela un finale amaro. Una sorta di componimento “in stile rappresentativo”, un dramma poetico in cui tempo e spazio sono precisi e fermi. Un dramma che ci riporta anche alla vita avventurosa e per nulla tranquilla del Cavalier Francesco Rasi. Segue un altro, il Madrigale spirituale “O pura, o chiara stella” che trasforma l’eros in agapé: una nuova forza spirituale trascina il poeta-cantore dall’ humane miserie verso un epilogo felice». A mo’ di prologo, le diverse “corde” sono precedute da brani strumentali dei maggiori compositori-strumentisti del primo Seicento italiano e, con esso, fra balli e arie le principali città di quella mappa policentrica (restando fuori giusto Venezia e Napoli) che resero celebre il Rasi, dunque Firenze, Mantova, Roma. A complemento, due estratti monteverdiani, “Et è pur dunque vero” e la canzonetta “Eri già tutta mia”, a sigillo di quella serrata intesa che legò l’autore dell’Orfeo e l’interprete Rasi, ala corte dei Gonzaga.
A seguire, la nuova programmazione della Fondazione Pietà de’ Turchini proporrà, principalmente presso la storica sede di Santa Caterina da Siena, un ciclo di 13 concerti articolati fino al prossimo 10 giugno con alcuni eventi speciali previsti alla Cappella del Tesoro di San Gennaro, al Conservatorio di San Pietro a Maiella e alla Chiesa di San Rocco a Chiaia.
Gli incassi dei concerti sosterranno le attività di Save the Children-Ukraine. Biglietto di posto unico euro 7. Prenotazione obbligatoria per email a coordinamento@turchini.it . Necessario Green Pass Rafforzato e l’uso della mascherina FFP2. Info: www.turchini.it
La Cetra di Sette Corde
Madrigali e Vaghezze di Francesco Rasi (1574-1621)
PROLOGO Lamento di Orfeo
Francesco Rasi (1574-1621) Indarno Febo
PRIMA CORDA Occhi di Filli
Anonimo (1600 ca.) Aria di Fiorenza
Francesco Rasi Filli mia, Filli dolce
Francesco Rasi Un guardo ohimè
Francesco Rasi Occhi sempre sereni
SECONDA CORDA Amorosi affetti
Girolamo Frescobaldi (1583-1643) Capriccio sopra l’aria “Or che noi rimena”
Francesco Rasi Hor ch'a noi rimena
Francesco Rasi Cor mio, mentr'io vi miro
TERZA CORDA Sconsolati desiri
Giovanni Battista Ferrini (1600-1674) Ballo di Mantova
Francesco Rasi Filli deh mira
Francesco Rasi Ahi, fuggitivo ben (sul basso di Ruggiero)
QUARTA CORDA L'amorosa pena
Girolamo Frescobaldi Canzona a basso solo “La Tromboncina”
Francesco Rasi Deh, come in un momento
Francesco Rasi Schiera d'aspri martiri
QUINTA CORDA Ultimo addio
Anonimo (1630 ca.) Romanesca
Francesco Rasi Ferma Tersilla mia
Claudio Monteverdi (1567-1643) Et è pur dunque vero
SESTA CORDA L'antica fiamma
G. Girolamo Kapsberger (1550c.-1651) Toccata seconda
Francesco Rasi Sento l’antica fiamma
SETTIMA CORDA Sapienza amorosa
Ascanio Maione (1570c.-1627) Toccata seconda
Francesco Rasi O pura, o chiara stella
EPILOGO
Claudio Monteverdi Eri già tutta mia
Francesco Rasi O che felice giorno
Riccardo Pisani tenore
Ensemble Arte Musica
Chiara Granata arpa
Silvia de Maria viola da gamba e lirone
Giovanni Bellini tiorba e chitarra barocca
Francesco Cera clavicembalo e concertazione
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