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  • Paola De Simone

Annullato l'atteso evento per l'esordio a Napoli del tenore Lawrence Brownlee, Il Teatro San Carlo riparte oggi in data unica con un concerto sinfonico diretto da Marco Armiliato nel segno di Schubert e Rachmaninov



Riparte oggi, domenica 12 settembre, alle ore 18.00 e in data unica la programmazione del Teatro San Carlo. E lo fa non con l'atteso appuntamento previsto per l'esordio concertistico napoletano del magnifico belcantista americano Lawrence Brownlee, tenore particolarmente apprezzato la scorsa stagione dell'Opera di Roma con il Lord Arturo Talbo accanto all'Elvira di Jessica Pratt nei Puritani di Bellini, così come con la bella sfida rossiniana in cd fra tenori (con Michael Spyres) "Amici e rivali" per l'etichetta Erato e, comunque, prossimamente a Napoli in locandina parimenti con Bellini per la sua "prima" partenopea in "Sonnambula" (purtroppo in forma di concerto) a fine gennaio. Bensì con un sinfonico diviso fra Schubert e Rachmaninov affidato all’Orchestra della Fondazione e alla bacchetta dell'ottimo Marco Armiliato - recentemente applaudito nel Trovatore di Verdi in Piazza del Plebiscito e nome di riferimento del panorama lirico internazionale - perché Lawrence Brownlee, solista inizialmente annunciato, ha dovuto annullare l’impegno sancarliano a causa di un’improvvisa indisposizione.

Fin dagli esordi Marco Armiliato (nella foto di Johannes Ifkovits), genovese classe 1967 e fratello del noto tenore Fabio (compagno di vita e nell'arte della prematuramente scomparsa Daniela Dessì), ha diretto artisti del calibro di Luciano Pavarotti, Placido Domingo e più recentemente Angela Gheorghiu ed Anna Netrebko. È ospite dei teatri più prestigiosi del mondo e collabora stabilmente con il MET, l’Opéra de Paris e la Wiener Staatsoper. Molto attivo in campo discografico, incide per Decca e Atlantic Records. Recentemente ha ricevuto il prestigioso Grammy Award per il suo cd "Verismo" con Renée Fleming.

Il programma del concerto di stasera si aprirà quindi con un doppio Schubert rivolto all'Italia di Rossini (con l’Ouverture in re maggiore "im italienischen Stile", D. 590 e con l’Ouverture in do maggiore "im italienischen Stile", op. 170, D. 591) mentre, a completare la proposta, sarà la Sinfonia n. 2 in mi minore, op. 27 di Sergej Rachmaninov.



Concerto Sinfonico

Teatro di San Carlo domenica 12 settembre 2021, ore 18:00

MARCO ARMILIATO

Direttore | Marco Armiliato

Programma

Franz Schubert, Ouverture in re maggiore "im italienischen Stile", D. 590

Franz Schubert, Ouverture in do maggiore "im italienischen Stile", op. 170, D. 591

Sergej Rachmaninov, Sinfonia n. 2 in mi minore, op. 27

Orchestra del Teatro di San Carlo



Guida all’ascolto di Angela Annese

dal programma di sala del concerto


Cuore musicale d’Europa, all’indomani del Congresso che nel 1815 sancisce la restaurazione post-napoleonica, Vienna accoglie con fervido calore il teatro musicale di Gioachino Rossini, del quale, mentre è direttore musicale del Teatro di San Carlo a Napoli, tra il novembre del 1816 e il giugno del 1817 vengono rappresentate L’inganno felice, Tancredi – che, presentata nell’originale italiano, a distanza di poco più di un anno tornerà in scena in lingua tedesca –, L’italiana in Algeri e Ciro in Babilonia. Una novità dirompente per gli ambienti musicali viennesi, ancor memori del beethoveniano Fidelio, andato in scena al Theater an der Wien nel novembre del 1805, e ben consapevoli del significato e della portata della concezione nazionalistica dell’opera convintamente propugnata e attuata in quegli anni da Carl Maria von Weber. Colpito dall’immediato e indiscusso successo di Rossini, più anziano di lui di cinque anni soltanto ma già sulla cresta dell’onda nei maggiori teatri d’Europa, nel novembre del 1817 Franz Schubert (Vienna, 31 gennaio 1797 – 19 novembre 1828) compone in pochi giorni, un po’ per omaggio e un po’ per scommessa, due Ouverture per orchestra sul modello di quelle che aprono le opere rossiniane, come lascia intendere la dicitura “im italienischem Stile”, giustapposta nel titolo all’indicazione della forma probabilmente dal fratello Ferdinand. Il giovane musicista, che ha cominciato a comporre ancora dodicenne e a vent’anni è già autore di cinque sinfonie e di numerosissime pagine pianistiche, vocali e cameristiche, è in questo momento fatalmente attratto dal Lied, per lui quasi una vocazione, a dispetto della scarsa fiducia mostrata dal suo maestro Antonio Salieri nelle concrete possibilità di carriera offerte da un genere di natura tanto intima e complessa. Una prodigiosa creatività consente tuttavia a Schubert, accanto a tante altre realizzazioni compositive nello stesso periodo, di risolvere brillantemente il confronto con l’esempio rossiniano, cui egli aderisce non solo in alcuni elementi evidentemente riconoscibili – la plastica evidenza dell’invenzione tematica, le figurazioni di accompagnamento degli archi, il tipico crescendo – ma anche nella freschezza comunicativa e nella sapiente strumentazione, le qualità della scrittura rossiniana che più apprezza e più gli sono congeniali. Ciò mantenendo intatta la propria voce raffinata e raccolta così come la peculiare mobilità di una conduzione armonica che nelle ardite modulazioni a tonalità lontane, spesso inattese, talvolta sorprendenti, arricchisce di colori la tavolozza espressiva pur nel pieno rispetto del canone formale, in una conduzione del discorso musicale scorrevole e affettuosa che è un tratto distintivo della produzione schubertiana.

Così è per l’Ouverture in re maggiore D. 590, che si apre con uno splendido Adagio percorso da un tema di toccante lirismo sempre trasfigurato nel rapido attraversare tonalità e timbri strumentali, in netto contrasto con il successivo Allegro giusto, lieve e spigliato, in cui il riferimento a Rossini si fa esplicito con la citazione nel secondo tema dell’aria “Di tanti palpiti” dal Tancredi, che Schubert ha ascoltato dal vivo, così come nel fitto dialogo tra gli strumenti e nella ‘stretta’ che dà corpo all’Allegro vivace conclusivo. La seconda Ouverture, in do maggiore D. 591, non offre citazioni esplicite di Rossini, ma rimanda comunque allo stile del compositore di Pesaro, soprattutto nell’Allegro che segue all’Adagio iniziale. Lo “stile italiano” ricordato nel titolo non è dunque riferito come in Bach (evocato evidentemente nel titolo) alla musica strumentale barocca, ma all’opera italiana del tempo di Rossini, trionfante in tutta l’Europa del tempo.


Quattordici anni ha Sergej Vasil’evič Rachmaninov (Velikij Novgorod, 1 aprile 1873 – Beverly Hills, 28 marzo 1943) quando compone le prime pagine sinfoniche ed è in procinto di compierne ventiquattro quando nel marzo del 1897 a San Pietroburgo la sua Prima Sinfonia, composta due anni prima e presentata per la prima volta al pubblico, conosce un insuccesso senza appello. La sciatta direzione di Alexander Glazunov non giova alla buona accoglienza del lavoro presso gli ambienti musicali pietroburghesi, diffidenti quando non pregiudizialmente ostili al promettente compositore che a Mosca ha compiuto la propria formazione e ha colto appena ventenne al Teatro Bolshoj una brillante affermazione con l’opera Aleko, da un poema di Puškin. “Dopo lo scacco subito dalla mia Prima Sinfonia, al rientro a Mosca ero un altro uomo. Quel colpo inatteso mi aveva indotto ad abbandonare la composizione. Sono stato vinto da un’apatia insormontabile. Non facevo più niente, non mi interessavo più a niente, passavo le mie giornate accasciato sul divano, con tetri pensieri sulla mia vita finita. Non avevo che qualche lezione di pianoforte come unica attività. Non avevo alcuna opportunità di concerto né la speranza che il Conservatorio mi assumesse come professore”. Tale è lo stato cui il clamoroso fiasco riduce il musicista, che è prodigioso pianista ed eccellente direttore d’orchestra ma aspira in primo luogo a essere un compositore e in questa direzione persegue la definizione e l’affermazione della propria identità.

Prostrato da una depressione che lo conduce alla totale afasia creativa, Rachmaninov riprende a comporre solo tre anni dopo, non senza il determinante sostegno della cugina Natalija Satina, che diverrà sua moglie, e dello psicologo Nikolaj Dahl, cui non a caso egli dedica il celebre Concerto n. 2 op. 18 per pianoforte e orchestra che tra il 1900 e il 1901 riannoda i fili di un rapporto col pubblico bruscamente interrotto. Molto altro tempo e un deciso cambio di orizzonte sono necessari perché prenda reale consistenza l’idea di una nuova sinfonia, pure annunciata per la stagione concertistica 1902-1903 della Società Filarmonica di Mosca curata da Alexander Siloti, che di Rachmaninov è cugino ed è stato insegnante di pianoforte al Conservatorio di Mosca. Trasferitosi con la famiglia nel 1906 a Dresda, ritrovate tranquillità e fiducia in un contesto stimolante nel quale in particolare l’incontro ravvicinato con il sinfonismo di Richard Strauss desta in lui una forte impressione, nel corso del 1907 Rachmaninov si dedica alla sua Seconda Sinfonia con continuità, terminandone infine la composizione nel gennaio del 1908.

Non lontana da istanze e soluzioni proposte nella Prima, la Sinfonia n. 2 in mi minore reca anch’essa, sviluppati con maggior chiarezza e più raffinati strumenti, gli elementi fondanti della poetica del suo autore: il saldo riferimento alla lezione di Čajkovskij e di Rimskij-Korsakov, il costante richiamo all’idioma musicale e alla cultura della terra d’origine, l’espansiva espressività, il turgore orchestrale, il tenace legame con ‘il mondo di ieri’ nel suo ineluttabile dissolversi, la fedeltà alla tonalità di impronta post-romantica volutamente scevra da ogni sperimentalismo, l’impianto formale fondato, più che sulla dialettica tematica, sull’alternarsi di energico dinamismo e aperta cantabilità come sul susseguirsi di climax e anticlimax sonori ed emotivi. Su tutto, in un perenne rigenerarsi che avvince nell’ascolto valicando i confini della forma, la melodia: “I compositori esperti sanno bene che la melodia è suprema governatrice della musica. La melodia è fondamento di tutta la musica, poiché una melodia perfettamente concepita contiene in sé e genera il disegno armonico a essa naturalmente connesso. […] L’inventiva melodica intesa nel senso più elevato è requisito vitale per il compositore”.

Dedicata all’antico maestro Sergej Taneev ed eseguita per la prima volta a San Pietroburgo il 26 gennaio 1908 con la direzione dell’autore, la Sinfonia riceve una calorosa accoglienza anche dalla critica più esigente e, qualche mese dopo, il prestigioso Premio Glinka, entrando stabilmente nel repertorio sinfonico. Presto le amplissime dimensioni consiglieranno consistenti tagli alla partitura, che resteranno radicati nella prassi concertistica malgrado il dissenso e ben oltre la morte del suo autore. Per Rachmaninov una nuova ragione di amarezza, che solo il secondo Novecento saprà rimuovere archiviandola definitivamente nel passato.





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