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  • Paola De Simone

Gala Belcanto stasera al Teatro San Carlo con il ritorno del soprano sudafricano dalla super estensione Pretty Yende più un doppio debutto che vedrà ospiti per la prima volta a Napoli il tenore Xabier Anduaga e, sul podio dell'Orchestra della Fondazione, Riccardo Frizza. Nei giorni delle prove, il direttore ha voluto visitare la gloriosa Biblioteca del Conservatorio "San Pietro a Majella"


Una sola data, questa sera (alle ore 20) all'interno del Teatro San Carlo, per un appuntamento della locandina concertistica che svetta per debutti e virtuosismi da ugola d'oro. Dopo essere stata presente lo scorso dicembre sul palco sancarliano fra le stelle in differita streaming per il Gala Mozart e Belcanto, torna infatti a Napoli Pretty Yende, soprano sudafricano forte di un’estrema facilità nelle colorature all’acuto e di un’estensione in grado di sostenere non pochi ruoli da contralto o mezzosoprano d’agilità mentre, al suo fianco, il tenore Xabier Anduaga affronterà il suo esordio sul palcoscenico del Lirico napoletano.

In realtà il debutto sarà doppio perché anche il direttore Riccardo Frizza, fresco della vittoria a giugno della terza edizione del Premio Ópera XXI per la direzione della Lucia di Lammermoor all’ABAO Bilbao Ópera nel 2019 e chiamato nell'occasione a dirigere l'Orchestra della Fondazione, salirà per la prima volta sul podio partenopeo.

Direttore musicale del festival Donizetti Opera di Bergamo, Frizza è uno dei più acclamati direttori d’orchestra della sua generazione, ospite regolare di teatri e festival nazionali e internazionali quali l’Opéra di Parigi, la Lyric Opera di Chicago, il Metropolitan di New York, la Bayerische Staatsoper di Monaco, il Teatro alla Scala di Milano, il Rossini Opera Festival di Pesaro, il Festival Verdi di Parma, il Maggio Musicale Fiorentino, l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, la Gewandhausorchester di Lipsia e la Sachsische Staatskapelle di Dresda.

Nei giorni delle prove del concerto, Frizza ha voluto visitare il Conservatorio di "San Pietro a Majella", dove ad accoglierlo ha trovato il direttore Carmine Santaniello, il responsabile della Biblioteca Cesare Corsi e il docente di Composizione Gaetano Panariello.

(nelle foto: il tenore Xabier Anduaga; Riccardo Frizza in visita al Conservatorio di Napoli, in Biblioteca e nella sala del direttore accanto al direttore Carmine Santaniello, al maestro Gaetano Panariello e al bibliotecario Cesare Corsi; il soprano Pretty Yende)

«Per quelle casualità che spesso determinano il formarsi delle nostre agende, non ho mai diretto al Teatro di San Carlo e, purtroppo, non sono riuscito a visitare prima nemmeno la celeberrima Biblioteca del San Pietro a Majella» ha dichiarato Riccardo Frizza subito dopo la visita al Conservatorio. quindi ha aggiunto: «Ho apprezzato la cortesia tutta partenopea dei miei ospiti, la chiacchierata sulla vita del Conservatorio con il direttore Santaniello e la guida attenta del maestro Panariello e del responsabile della Biblioteca Cesare Corsi che, ovviamente, si sono premurati di farmi accedere ai manoscritti di Donizetti e a tutto quanto si può trovare solo qui per una conoscenza documentata. Ho già preso contatto con i colleghi del "San Pietro a Majella" per tornare con calma a studiare alcune partiture autografe, non solo di Donizetti».

Il programma si aprirà con il Donizetti comico e sentimentale, eseguendone la Sinfonia dal Don Pasquale e, dall'Elisir d’amore, Una parola o Adina”, la romanza cult “Una furtiva lagrima” e “Prendi per me sei libero”.

Dal più noto catalgo di Verdi si ascolteranno quindi la Sinfonia dalla Luisa Miller, “Caro nome” e “La donna è mobile” dal Rigoletto, il Preludio del terzo atto, “Parigi, o cara” e “È strano …. Sempre libera” dalla Traviata.

Chiude il concerto “Ah mes amis … pour mon âme” da La fille du régiment di Gaetano Donizetti con i celebri 9 do di petto.


Progetto Regione Lirica / Regione Campania


Teatro di San Carlo sabato 24 luglio 2021, ore 20:00

GALA BELCANTO

Direttore | Riccardo Frizza♭

Soprano | Pretty Yende

Tenore | Xabier Anduaga♭

Don Pasquale – Sinfonia

L’elisir d’amore “Una parola o Adina”

“Una furtiva lagrima”

“Prendi per me sei libero”

Giuseppe Verdi,

Luisa Miller – sinfonia

Rigoletto “Caro nome”

“La donna è mobile”

La traviata – preludio atto III

“Parigi, o cara”

“È strano …. Sempre libera”

Gaetano Donizetti,

La fille du régiment “Ah mes amis … pour mon âme”

debutto al Teatro di San Carlo

Orchestra del Teatro di San Carlo


Il crocevia del gusto: cantare l’opera italiana da una metà all’altra dell’Ottocento

Dal testo di presentazione di Alberto Mattioli nel programma di sala Regione Lirica 2021


[…] Un concerto come questo porta a riflettere su quel crocevia del gusto che furono due decenni dell’Ottocento, dai primi anni Trenta agli anni Cinquanta. L’avvento di Rossini era stato la più clamorosa, categorica e repentina affermazione nella storia dell’opera italiana, aveva omogeneizzato i cartelloni, monopolizzati dal pesarese, e cristallizzato il modo di cantare nell’ultima grande stagione del Belcanto, inteso non solo come una tecnica ma anche e forse soprattutto come un’estetica. Ma il Romanticismo incombe. E così dal 1831, l’anno della famosa o famigerata (e soprattutto mitica) «invenzione del do di petto» da parte di Gilbert‑Louis Duprez in occasione della prima italiana, a Lucca, del Guillaume Tell, anzi Guglielmo Tell (e qui, il primo dei molti paradossi che incontreremo, sia pure in un’attività che è già abbastanza paradossale di suo come il canto: c’è un tenore francese che canta in italiano un’opera francese di un autore italiano e lo fa, lui francese, rompendo con una plurisecolare tradizione nazionale), la vocalità tenorile si sdoppia fra Giovanni Battista Rubini e i suoi eredi, cioè il romanticismo del sospiro, della voce mista, degli acuti in falsettone, della dolcezza ipnotica delle “cantilene” belliniane, e i seguaci di Duprez, i fautori della “voix sombrée”, dei fraseggi nervosi, dell’uso del registro di petto, dell’acuto elettrizzante: i nipotini di Edgardo, poi destinati a trionfare. In mezzo, i compositori. Nel 1843, Donizetti scrive Don Pasquale per Mario, al secolo Giovanni Matteo da Candia, il più celebre e celebrato similRubini, «il Rodolfo Valentino della scena operistica», come lo chiama Julian Budden, che però vent’anni dopo, nel ’62, ispirava a un giovane e ancora scapigliato Boito una definizione al cianuro: «ridevole cigolio di quella gola incensata». Però Verdi, il cui tenore di riferimento era semmai, all’epoca, un dupreziano come Gaetano Fraschini, non si farà pregare di omaggiare Mario, che nel ’46 riprendeva I due Foscari a Parigi, con una folle cabaletta nuova, tutta sospiri e perfino passi d’agilità, che porta la voce al mi bemolle acuto.

Come fosse invece Giovan Battista Genero, il primo Nemorino a Milano nel 1832 (ma alla Cannobbiana, non alla Scala) non lo sappiamo bene, perché non era un divo. Certo che la parte tenorile dell’Elisir d’amore è anfibia, si presta a esser cantata da tutti i tipi di tenori, dai leggeri agli spinti, volendo ancora dare retta a queste vetuste classificazioni. Al massimo, potrà capitare di non venire capiti dalla critica, come successe a Enrico Caruso giocando in casa, cioè al San Carlo nella stagione 1901‑1902, quando il suo Nemorino “scuro”, virile e forse un po’ verista fu sfavorevolmente paragonato a quello di Ferdinando De Lucia: “inde ira” del tenorissimo verso la sua città. Curiosamente, è una parte così anche quella del Duca di Mantova. Nel senso che la possono cantare tenori di tutti i generi (quanto a cantarla bene, si sa, è un’altra faccenda). Fedele D’Amico pensava che un lirico leggero fosse l’ideale per rendere l’aspetto frivolo e “volage” del personaggio; Eugenio Gara identificava il Duca ideale invece proprio in Caruso, nella sua sensualità predace o addirittura stupratoria. La parte fu scritta per un tenore che oggi definiremmo (forse) lirico spinto o addirittura drammatico: un altro napoletano, Raffaele Mirate, che alla prima assoluta veneziana del 1851 “trissò” la canzone. Però, ricorda Rodolfo Celletti, già all’epoca qualche critico osservò che la parte del Duca avrebbe richiesto una voce più leggera, chissà. […]E le signore? Il discorso è uguale e contrario, se pensiamo che l’Ottocento inizia con le voci scure di mezzosoprani nemmeno tanti acuti come la Colbran o la Pasta o la Malibran e finisce (non tanto in gloria) con i soprani di coloratura impegnati a trasformare Lucia o Gilda in bambole gorgheggianti come difesa a oltranza di una verginità obbligatoria, perduta la quale resta solo la fuga dalla realtà: vedi le celebri pazzie. Sabine Heinefetter, la prima Adina dell’Elisir d’amore, non è certo nell’olimpo delle primedonne ottocentesche; Teresa Brambilla, la prima Gilda di Rigoletto, sì. Come molte cantanti dell’epoca, in un gruppo sociale che praticava l’endogamia, anche in quanto membro di una famiglia supercanora: quattro sorelle tutte cantanti, due celebri contralti come Marietta e Giuseppina, due molto meno celebri soprani come Annetta e Lauretta, più una nipote di nuovo soprano e di nuovo famosa, Teresina, per inciso maritata Ponchielli. E poi c’è Violetta. Si sa che per molto tempo il fiasco della prima della Traviata alla Fenice nel 1853, che poi così fiasco non fu, fu attribuito alla povera Fanny Salvini-Donatelli (a sua volta matrigna di Tommaso Salvini, il Gassman del XIX secolo), accusata di aver sabotato il debutto per colpa del suo fisico, decisamente troppo abbondante per una tisica, e per aver avuto soltanto una delle “tre voci” di cui, secondo lo stupidario melodrammatico corrente, avrebbe bisogno la parte di Violetta. E tuttavia tutte le recensioni della prima sottolinearono che i brani solistici accolti meglio, o meno peggio, furono proprio quelli della Salvini. Però, a voler dare per una volta retta a Verdi e non ai suoi peggiori nemici, i sedicenti “verdiani”, la voce e la tecnica sono soltanto due dei requisiti richiesti a un cantante, certo indispensabili, ma nemmeno i più importanti in assoluto (cosa evidente se si pensa che per Verdi il canto e anzi la musica sono un mezzo e non un fine: il fine è il teatro).







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