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Paola De Simone

Da stasera va in scena al Teatro San Carlo l'Evgenij Onegin di Čajkovskij. Lo spettacolo, firmato da Barrie Kosky per la Komische Oper Berlin, sarà musicalmente diretto da Fabio Luisi




Da stasera mercoledì 15 giugno (ore 20), e fino al giorno 26 per cinque recite in totale, va in scena al Teatro San Carlo Evgenij Onegin di Pëtr Il’ič Čajkovskij nell’acclamata produzione della Komische Oper Berlin (nella foto) con la regia di Barrie Kosky.

Fabio Luisi dirige Orchestra e Coro del Teatro San Carlo, Maestro del Coro José Luis Basso. Le scene sono di Rebecca Ringst, i costumi di Klaus Bruns mentre a firmare le luci è Franck Evin.

Il cast vocale annovera Elena Stikhina nei panni di Tat’jana, Artur Rucinski in quelli di Onegin e Michael Fabiano in quelli di Lenskij. Nino Surguladze sarà Olga mentre, Monica Bacelli interpreterà Larina.

Completano il cast Larissa Diadkova (Filipp’evna), Alexander Tsymbalyuk (Il principe Gremin), Roberto Covatta (Triquet), Antonio De Lisio (Un comandante di compagnia), Rosario Natale (Zareckij), Mario Thomas (un contadino).

Tra i più celebri registi contemporanei, noto per le sue produzioni innovative, Barrie Kosky mette in scena il malinconico dramma psicologico di Čajkovskij sulle speranze, i desideri e i fallimenti dei quattro giovani protagonisti.

“In Evgenij Onegin abbiamo a che fare con più storie – afferma Kosky -. Non è solo la storia di una giovane ragazza che scrive una lettera, è la storia di una ragazza che cresce, di un uomo cinico che impara che deve in qualche modo scendere a patti con il proprio universo emozionale, è la storia di persone che dalla campagna si muovono in città, è una storia di snobismo, è la storia di una comunità, è una storia sul tempo. Come in tutte le grandi opere abbiamo a che fare con tante storie diverse e con molti livelli diversi, che l’autore combina brillantemente in un unico grande paesaggio teatrale musicale”.

Di nuovo sul podio al Massimo napoletano dopo cinque anni di assenza, Fabio Luisi è attualmente Direttore musicale della Dallas Symphony Orchestra, Direttore principale della Danish Radio National Symphony, Direttore emerito dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI e Direttore onorario del Teatro Carlo Felice di Genova, sua città natale. A partire dalla stagione 2022/2023 assumerà la carica di Direttore principale della NHK Symphony Orchestra di Tokyo.

Evgenij Onegin è l’opera più amata di Čajkovskij, su libretto di Konstantin Šilovskij e dello stesso Čajkovskij, dall’omonimo poema di Aleksandr Puškin, fu rappresentata per la prima volta, al Teatro Malyj di Mosca il 17 marzo 1879 ed è, insieme a La dama di picche, l’opera più famosa ed eseguita del compositore.

Nonostante la drammaticità e la fonte letteraria siano prettamente russe, la grande ammirazione del compositore per il melodramma italiano, l’opera tedesca e il grand-opéra francese si leggono ampiamente in questa partitura ricca di preziose gemme musicali.


Teatro di San Carlo mercoledì 15 giugno 2022, ore 20:00 - sabato 18 giugno 2022, ore 19:00

martedì 21 giugno 2022, ore 20:00 - venerdì 24 giugno 2022, ore 20:00

domenica 26 giugno 2022, ore 17:00


Pëtr Il'ič Čajkovskij

EVGENIJ ONEGIN

Opera in tre atti e sette scene

libretto di Pëtr Il'ič Čajkovskij, Konstantin Stepanovič Šilovskij e Modest Il'ič Čajkovskij. L’opera è tratta dall'omonimo romanzo in versi di Aleksandr Sergeevič Puškin.

Direttore | Fabio Luisi

Regia | Barrie Kosky

Scene | Rebecca Ringst

Costumi | Klaus Bruns

Luci | Franck Evin


Interpreti

Larina | Monica Bacelli

Tat’jana | Elena Stikhina

Olga | Nino Surguladze

Filipp’evna | Larissa Diadkova

Evgenij Onegin | Artur Ruciński

Lenskij | Michael Fabiano

Il principe Gremin | Alexander Tsymbalyuk

Un comandante di compagnia | Antonio De Lisio

Zareckij | Rosario Natale

Triquet | Roberto Covatta

Un contadino | Mario Thomas

debutto al Teatro di San Carlo ♮ Artista del Coro


Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo Maestro del Coro | José Luis Basso


Produzione Komische Oper Berlin


Appunti su Evgenij Onegin

di Franco Pulcini

L’uomo, nell’inseguire l’amata, ha sempre, agli occhi del mondo, una qualche dignità. Non avviene lo stesso per le donne, almeno nei secoli scorsi. L’inseguitrice svilisce la propria immagine, autocondannandosi all’insuccesso e al ridicolo. E dall’impotenza insorge il rancore amoroso: il risentimento non la abbandona neppure dopo molti anni, riuscendo addirittura a convivere con l’amore stesso. La sua sincerità e il suo orgoglio sono stati feriti troppo nel profondo, per poter perdonare e dimenticare.

Vi sono uomini, segnati da brutte esperienze d’amore, cui è precluso il sentimento. Sono tipi inariditi, che non conoscono purezza d’animo e si beffano dell’altrui delicatezza, mentre inconsciamente l’invidiano. Avvelenati dalla mancanza d’amore, divengono accidiosi e ammorbano il mondo con la propria nauseata disillusione, facendo terra bruciata intorno al sentimento altrui.

Evgenij Onegin narra, tra diversificati paesaggi della Russia dell’Ottocento, la vicenda di un amore mancato per un soffio tra una nobile fanciulla e un giovane ignobile. Onegin, dandy pietroburghese, fa innamorare di sé Tat’jana, una ragazza di provincia; la respinge quando costei gli dichiara incautamente il suo amore in una lettera e se ne innamora quando la ritrova, divenuta moglie di un altolocato generale e gran dama del mondo zarista. Alla fine di un’intricata vicenda psicologica di amore e snobismo, Onegin diviene così uno dei rari casi in cui l’uomo inseguitore è condannato al contrappasso e in parte al ridicolo: “chi la fa l’aspetti...”.

Si è spesso insistito sul carattere squisitamente russo del personaggio di Onegin, che rappresenterebbe il primo di una lunga serie di eroi negativi della letteratura nazionale, dall’Oblomov di Gončarov, ad altri sradicati e sfaccendati usciti delle penne di Turgenev e di Dostoevskij. Simile a un pariniano “giovin signore” nato sulle rive della Neva, Onegin è un ricco uomo superfluo, vanitosamente vestito alla moda londinese, che, fra lusso e capricci esterofili, non riconosce i valori autentici del proprio paese.

Russo filo-europeo, uomo senza ambiente, antologia vivente di orecchiati argomenti culturali alla moda, presuntuoso e pettegolo animale da salotto, Evgenij è uno di quei demoni della vita quotidiana che brillano per la loro meschinità. Libertino settecentesco nato dalle Relazioni pericolose di Laclos, esperto in civetterie, trucchi e bassezze dell’amore, si annoia presto di facili avventure e ipocrisie mondane.

Seduttore annoiato, scrittore fallito, pseudo erudito demotivato, misantropo originale e bilioso nullafacente, appartiene alla schiera degli “egoisti che soffrono del proprio egoismo”, come ha scritto Belinskij. Il suo cuore, acido, corrotto e infrigidito, sprofonda nello spleen, o più esattamente nella russa malinconia, la chandrà. Eroe ipocondriaco e “antipoetico” (come lo definì Puškin), diviene pesce fuor d’acqua nell’Ottocento sentimentale, e la sua cinica indifferenza fermenta in livore verso l’incantata ricchezza spirituale altrui.

Gli abiti trendy di Onegin rifulgono accanto a quelli fuori moda di Tat’jana, ma scompaiono quando la goffa ragazza di campagna, divenuta sposa del principe Gremin, gli appare nei suoi abiti principeschi color cremisi. L’abbigliamento è uno soltanto degli snobismi di cui l’amore romantico è vittima nell’Evgenij Onegin, che può essere anche visto come un quadro epico del sentimento, condizionato e strapazzato dalla mondanità.

In questo capolavoro della letteratura e della musica russa contano ancora più le mode letterarie europee. La way of life di Evgenij è una caricatura orientale dell’egoismo e dell’immoralità romantica british alla Byron. Lenskij, l’amico diciottenne del protagonista, è schiavo di miti dell’idealismo tedesco; l’ingenuo poeta dilettante scrive versi d’amore per la scanzonata e rubiconda Ol’ga. La pallida Tat’jana è una sognatrice languida e timorosa, schiva e lunare, totalmente posseduta da estasi sentimentali desunte dalla letteratura di Rousseau e di Richardson. Le loro pose amorose sono versioni reali di atteggiamenti letterari talora contrastanti. In questo senso, Tanja, la accanita lettrice di romanzi, dovrebbe essere più adatta al romantico poeta Lenskij, come osserva a un certo punto lo stesso Onegin, tanto in Puškin quanto in Čajkovskij. Invece, novella Werther, s’innamora del crudele Onegin.

La ben nota vicenda ruota intorno un duello nato da uno stupido equivoco di cui è colpevole Onegin, che fa ingelosire di proposito Lenskij, burlandosi dei suoi sentimenti. Il duello è rivelativo della complessa psicologia di Onegin, la cui freddezza si accanisce contro il calore del sentimento. Onegin abbatte in duello l’amico che possedeva un bene a lui sconosciuto: la capacità di amare. Il cinismo e la mancanza di ideali (come nota Dostoevskij) uccidono con un colpo di pistola la poesia e l’assolutismo del cuore. Onegin uccide ciò che lui stesso avrebbe potuto essere. E Tat’jana odierà in Onegin l’assassino di un “fratello”, l’omicida del suo stesso corrispettivo maschile.

A proposito del destino di Tat’jana, si potrebbe interpretare il matrimonio con un anziano come la necessità di essere adorata dopo essere stata respinta da un coetaneo che ama ancora pur disprezzandolo: il fatale ripiego di una donna passionale e bisognosa di un affetto riparatore a qualunque costo. La fedeltà al marito rientrerebbe inoltre in un progetto di punizione per Onegin, che scatta quando Tat’jana si accorge che questa volta è lui ad essere innamorato. La giovane fa una concisa analisi psicologica dell’innamoramento tardivo di Onegin (che appare anche nell’ultima delle “scene liriche” di Čajkovskij), con forte intento moralizzatore, in un finale gioco al massacro, che culmina nell’accennare quanto i due erano stati vicini all’amore perfetto.

Così come Onegin potrebbe essere oggi il rampollo viziato di una genia di “oligarchi”, Tat’jana è il lato sano di quel mondo – “l’apoteosi della donna russa”, secondo la definizione di Dostoevskij - l’eroina popolare in cui convivono passionalità, fragilità, riserbo, correttezza, forza di carattere, equilibrio e senso di giustizia.

La riduzione librettistica dell’Onegin – approntata in parte dal musicista stesso, ritoccando il lavoro di Konstantin Šilovskij, che aveva lavorato su una traccia già stabilita da Čajkovskij – non prevede significativi allontanamenti dall’originale, a parte i tagli e l’abolizione delle digressioni di Puškin. Scrisse il musicista: “Non mi sbaglio: so che l’opera avrà una limitata teatralità e poca azione. Ma è così piena di poesia, che queste imperfezioni risultano controbilanciate da un soggetto universale e semplice”. Fin dall’inizio del lavoro, Čajkovskij nutriva sospetti sulla possibilità di rendere teatrale l’Onegin: quei dubbi gli suggeriranno di sottotitolare l’opera “scene liriche” anziché “opera”, per prevenire le accuse di scarsa drammaticità. Temeva che la sua non-opera, alla quale tanto teneva, fosse destinata all’insuccesso, ma si sbagliava.

L’Evgenij Onegin fu rappresentato per la prima volta il 17 (29) marzo 1879 al Teatro Malyj di San Pietroburgo con una compagnia di studenti diretta da Nikolaj Rubinštejn. Alla ripresa del Teatro Mariinskij, il 19 (31) ottobre 1883, direttore Napravnik, vi fu un successo di stima da parte del pubblico e i giudizi della critica non furono negativi come il musicista paventava. Poi l’Onegin, neppure troppo in sordina, iniziò a fare il giro del mondo. E non ha ancora smesso. Merito del geniale soggetto, ma anche della musica.

Pur non essendovi Leitmotive di tipo wagneriano, nelle “scene liriche” si ascoltano alcuni temi ricorrenti. Ad esempio quello del preludio: una musica che parla dell’insorgere dell’amore di Tat’jana, che si ripete nella scena precedente all’aria di Ol’ga, quando ella accusa la sorella di essere troppo sognatrice, nella chiusa del primo quadro del primo atto e nel successivo duetto tra Tat’jana e la nutrice Filip’evna. Un altro dei più evidenti ritorni tematici è quello dello slancio amoroso di Tat’jana, nel corso della «scena della lettera», che passa a Onegin nell’ultimo atto, quando anche in lui scatta l’infatuazione amorosa.

Nell’opera, l’atmosfera naturalistica iniziale, il tono “puramente russo”, vengono via via ammorbati e corrotti da snobismi cittadini. L’opera scivola, per così dire, dalla campagna alla città, anche musicalmente. Temi popolari russi non sono solo inseriti nei cori en plein air del primo atto, ma invadono anche il duetto tra Tat’jana e la nutrice Filip’evna, e persino la scena della lettera. La musica popolare parla della freschezza di Tat’jana, che al mattino ascolta la zampogna di un pastore: mentre quelle «alla moda» (valzer, scozzese, mazurca, polka) sono piuttosto relative al territorio di Onegin, uomo delle feste e degli atteggiamenti manierati, per non dire falsi. Nell’opera è altresì presente il tono occidentale settecentesco nei couplets del precettore francese Triquet. Lo spirito di danza tipico della musica di Čajkovskij, autore di grandi balletti, si sente anche in altre zone della partitura, come ad esempio nella seconda sezione del primo coro.

Vorrei commentare i rilievi che Janáček mosse a Čajkovskij, pur amando molto l’opera, sull’uniformità ritmica del suo stile canoro. Sosteneva che gli interpreti tendessero a cantare tutti nello stesso modo “amoroso”. Le sue osservazioni si riferiscono alle ricerche compiute dal musicista ceco sul linguaggio parlato. In effetti gli accenti in Onegin, ad esempio nei recitativi, sono più vicini alla recitazione del classicismo accademico che al realismo. Non si dimentichi che parliamo di personaggi appartenenti spesso a classe elevata, in cui la precisione delle locuzioni, modellata su versi perfetti, non ha probabilmente bisogno di tutte quelle infinitesimali varianti ritmiche auspicate da Janáček.

Inoltre, in Onegin, arie, ariosi, duetti e recitativi sono spesso arricchiti da melodie interne, autentici florilegi dell’orchestra: tale originale recitativo sinfonico, di gusto floreale, riesce a differenziare personaggi e situazioni, anche oltre l’uniformità ritmica del canto. Gli accompagnamenti, del resto, hanno pure un notevole valore espressivo: si pensi a quelli sincopati di Tat’jana, che suggeriscono l’ansia amorosa della ragazza. In Onegin vi sono diverse temperature sentimentali, ma nel complesso il tono non sconfina troppo dall’eleganza necessaria in ambienti raffinati: è un’opera borghese, e non solo perché si svolge in buona parte nei salotti.

Ad ascoltare con attenzione, però, le stesse melodie differenziano la psicologia dei personaggi. Lenskij e Tat’jana hanno musica da innamorati, i cui accenti di passione, dolore e rassegnazione paiono sinceri. Tra le invenzioni più belle dell’opera vi sono le parti intonate dal poeta Lenskij. Ol’ga e Onegin hanno invece la musica sussiegosa di chi è amato. Onegin, per il quale Čajkovskij non nutriva simpatia, non ha bella musica: la sua aria del primo atto (che nel Settecento si sarebbe definita di «mezzo carattere») – con quel burocratico disegno dei clarinetti che ben rende il tono asciutto e predicatorio del personaggio – è emblematica di un essere freddo. L’unico suo momento di autentico lirismo, si diceva, viene rubato a Tat’jana, ricantando Onegin la musica della scena della lettera. E anche nell’ultima scena il suo sentimento è manierato ed enfatico, come paiono suggerire le goffe trasposizioni armoniche. Persino per l’aria di Gremin, «l’amor ci rende tutti eguali», Čajkovskij riesce a trovare qualche ben distinguibile tratto di dolcezza senile, per quanto leggermente rimbambito…

La musica resta comunque in Onegin sempre e uniformemente soffusa di un insoddisfatto languore amoroso. Potrebbe definirsi un Liederabend della malinconia sentimentale, con cori, danze e recitativi. La stessa scena della lettera è una serie di romanze da salotto con recitativi; per usare il corrispettivo settecentesco, una specie di «cantata da camera» (da letto).

Resta comunque il fatto che Onegin, pur con la sua aura fin de siècle, non abbia interessato Mahler, quando la diresse ad Amburgo, ma musicisti senza nostalgie e totalmente immersi nella problematica moderna, come Janáček e Stravinskij.





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