Alla Pietà de' Turchini, "Il Cimento di Partenope. Virtuosismo e sperimentazione tra Napoli e l’Europa" con i Talenti vulcanici diretti da Stefano Demicheli
S'intitola "Il Cimento di Partenope. Virtuosismo e sperimentazione tra Napoli e l’Europa" il nuovo appuntamento con le "Note svelate" della Fondazione Pietà de' Turchini e con l'Ensemble Talenti Vucanici diretto da Stefano Demicheli, sabato 28 (ore 19) nella Chiesa di Santa Caterina da Siena.
Senza alcun dubbio agli inizi del XVIII secolo Napoli divenne il centro propulsore di un’originale e brillante tradizione strumentale, una fonte di un genio creativo costantemente in tensione fra antico e moderno. La predilezione per una scrittura contrappuntistica è uno dei tratti caratterizzanti la sonata strumentale napoletana di questo periodo. La marcata preferenza per una scrittura a quattro parti, con tre parti acute, determinò la popolarità di un tipo specifico di sonata, quella per tre violini e continuo. Sonate e concerti di questo tipo sono presenti nella produzione di compositori quali Giuseppe Antonio Avitrano, Francesco Barbella, Angelo Ragazzi, Nicola Fiorenza. L’eccezionale sviluppo della musica strumentale napoletana non coinvolse solo il repertorio violinistico: si assiste, infatti, alla straordinaria fioritura di una vera e propria scuola di virtuosi di violoncello. Grazie anche al mecenatismo di alcuni aristocratici dilettanti di violoncello, questi musicisti contribuirono all’avanzamento tecnico e all’internazionalizzazione della letteratura per violoncello.
Note di sala a cura di Guido Olivieri
Gli studi condotti negli ultimi tre decenni hanno riportato all’attenzione la centralità della musica per archi napoletana. Sviluppatasi già a partire dalla fine del secolo XVII, la tradizione strumentale napoletana acquista una dimensione europea intorno al primo quarto del secolo successivo grazie anche alla circolazione di musicisti formatisi in uno dei quattro antichi conservatori. I virtuosi napoletani, violinisti e violoncellisti in particolare, portano in Europa non solo un avanzato livello tecnico, ma soprattutto diffondono un nuovo gusto che nel corso del Settecento contribuisce al rinnovamento del linguaggio e delle forme musicali.
Espressione più avanzata del virtuosismo strumentale è naturalmente il concerto, sia solistico che orchestrale, un genere che a Napoli non aveva incontrato un particolare favore di pubblico, ma che trovò invece in Europa un rapido e costante successo presso il pubblico delle corti e delle istituzioni di concerti. Già il chirurgo e scrittore inglese Samuel Sharp – assiduo frequentatore nel 1765 del salotto dell’ambasciatore inglese, sir William Hamilton – notava che un musicista italiano “se ben consigliato, partirebbe certamente alla volta dell’Inghilterra, dove il talento viene premiato dieci volte meglio che a Napoli.” È infatti nelle vivaci capitali come Parigi e Londra che si avvia la commercializzazione della musica e trionfano le stagioni di concerti pubblici. Non sorprende dunque che a Londra si trovino virtuosi violinisti come Francesco Scarlatti, Francesco Geminiani o violoncellisti come Salvatore Lanzetti e Andrea Caporale – per citare solo alcuni dei virtuosi provenienti da Napoli.
All’ambiente inglese va ricondotta la raccolta di Concerti per 2 violini, viola e basso di Francesco Scarlatti, fortunosamente ritrovata nel 2000 fra le carte del musicista inglese Charles Avison. Francesco Scarlatti – fratello minore del più celebre Alessandro – giunse a Napoli intorno al 1674 per studiare violino. Dieci anni più tardi, quando Alessandro fu chiamato a dirigere la Cappella Reale, Francesco venne impiegato nell’orchestra del Teatro di S. Bartolomeo e quindi nella stessa Cappella Reale fino al 1691, anno in cui fece ritorno nella nativa Palermo. Dopo frequenti peregrinazioni fra Napoli, Palermo, Barcellona e Vienna, Francesco, forse su invito di Händel, si trasferì definitivamente a Londra. Fra il 1719 e il 1724 il suo nome appare nei programmi di diversi concerti, ma se ne perdono poi le tracce fino agli ultimi anni di vita quando alcune sporadiche notizie lo collocano a Dublino.
Sebbene riconducibile all’interesse per il concerto grosso a Londra ancora a inizio Settecento, il Concerto in fa maggiore per archi mostra una chiara derivazione dal modello corelliano specie nell’impianto in quattro movimenti, e nello stile imitativo che caratterizza in particolare la sezione veloce del secondo movimento, ma il Larghetto e l’Allegro conclusivo – con le movenze di giga – presentano un gusto armonico e strutturale napoletano.
La musica napoletana circolava a Londra anche grazie ai frequenti contatti stabiliti fra la capitale del regno e gli ambienti degli aristocratici inglesi, che a Napoli potevano contare su una robusta presenza. Fu grazie a queste intermediazioni, per esempio, che Emanuele Barbella riuscì a far circolare e stampare la propria musica nella capitale inglese. Barbella fu infatti uno dei regolari frequentatori delle raffinate riunioni organizzate negli appartamenti degli aristocratici inglesi di stanza a Napoli. Il violinista napoletano prendeva regolarmente parte agli intrattenimenti organizzati da lord Hamilton – egli stesso violinista dilettante – nella sua residenza di Palazzo Sessa, che nella seconda metà del Settecento divenne il centro dell’influente circolo di nobili inglesi a Napoli. Fu nel corso di una di queste serate che Barbella entrò in contatto con Charles Burney, lo storico inglese in visita in Italia per raccogliere informazioni utili alla compilazione della sua storia della musica. Burney riferisce come Barbella gli avesse fatto da guida, lo avesse introdotto nei salotti più in vista della città e fosse stato prodigo di preziose informazioni sulla storia dei conservatori napoletani. Stando al breve cenno autobiografico che Barbella inviò a Burney, e che questi inserì nella sua storia della musica, Emanuele aveva ricevuto “il violino dalle mani del padre, Francesco Barbella [insegnante di violino al conservatorio di S. Maria di Loreto], all’età di sei anni e mezzo. Dopo la morte del padre, ebbe lezioni da Angelo Zaga, fino all’arrivo a Napoli di Pasqualino Bini, allievo di Tartini, con il quale studiò per lungo tempo.” Barbella fu primo violino al Teatro Nuovo e quindi violinista al San Carlo e alla Cappella Reale. A giudizio di Burney, il violinista napoletano, pur non possedendo una forte personalità o un suono potente, certamente aveva “un ottimo gusto e espressività. Se avesse un po’ più di brillantezza e pienezza di tono e una maggior varietà di stile, la sua maniera di suonare sarebbe eccezionale e forse superiore a quella di molti violinisti d’Europa.” Qualità – insieme a influenti relazioni personali – che assicurarono alle composizioni di Barbella un ampio successo all’estero. Gran parte della sua produzione cameristica venne infatti pubblicata a Londra fra il 1762 e il 1774, ed entrò quindi a far parte del repertorio insegnato al Conservatorio di Parigi da autorevoli violinisti quali Baillot e Alard. Il Concertone per violino– attribuito in alcune fonti erroneamente all’altro violinista napoletano Nicola Fiorenza – è appunto caratterizzato da un virtuosismo brillante, ma sempre raffinato e dai tratti galanti, specie nell’Andante “alla polacca.” Il Largo e staccato mostra, invece, un linguaggio vicino al classicismo viennese.
Caratteri simili si ritrovano anche nel concerto per violoncello di Nicola Porpora, uno dei più celebri operisti e maestri di canto – fra i suoi allievi vi furono i castrati Farinelli e Caffarelli e più tardi a Vienna, lo stesso Haydn, che ammise di aver appreso dal maestro napoletano “i veri fondamenti della composizione.” La carriera di Porpora si muove in un contesto internazionale: formatosi al conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo, negli anni in cui Napoli si apriva ai più vitali fermenti del pensiero europeo, Porpora ottenne i primi successi nei teatri di Napoli e Venezia, per poi spostarsi a Dresda e quindi a Londra (1733-36), chiamato a competere con Händel, e infine a Vienna. Sebbene circoscritta in termini quantitativi, la musica strumentale di Porpora è tuttavia di eccezionale qualità, portatrice del nuovo stile musicale che ebbe un impatto decisivo nella trasformazione dello stile settecentesco europeo.
La fonte di ispirazione dei concerti per violoncello fu probabilmente la presenza a Londra di numerosi virtuosi di questo strumento. Dei due concerti per violoncello sopravvissuti, quello in Sol maggiore è entrato stabilmente a far parte del repertorio. Le qualità liriche dello strumento emergono in particolare nel secondo Adagio, in cui il violoncello intreccia le sue linee melodiche con la parte dei violini. I passaggi virtuosistici dei due Allegri, che vedono il frequente uso di doppie corde, arpeggi, salti di corda e in generale di una brillante ornamentazione, offrono un saggio dell’avanzamento tecnico della tradizione violoncellistica napoletana che a metà Settecento poteva ormai vantare virtuosi di fama europea.
I contatti e intensi scambi musicali fra Napoli e Londra si erano del resto già stabiliti sin dalla fine del XVII secolo, quando Nicola Matteis – violinista “Napolitano” come amava definirsi nei frontespizi delle sue raccolte – aveva portato in quella capitale le sue virtuosistiche e pirotecniche invenzioni. Il figlio, Nicola Matteis jr., fu anch’egli violinista a Londra. Le informazioni sulla sua biografia e la sua attività si intrecciano e talvolta confondono con quelle relative all’omonimo padre, ma sappiamo che Nicola “il giovane”, prese le mosse da Londra, entrò nel 1700 al servizio della cappella Imperiale a Vienna in qualità di Direttore della musica strumentale, dei balli di corte e violinista della Hofkapelle. Alla corte di Vienna compose una sessantina di balletti destinati fra l’altro a opere di A. Caldara, B. Conti, G. Bononcini, e A. Lotti. Nel 1723 fu insieme a Fux responsabile dei balletti per la splendida celebrazione dell’incoronazione di Carlo VI tenutasi a Praga. La sonata – preservata in una copia manoscritta a Dresda e qui presentata in prima esecuzione moderna – riflette l’esperienza Viennese di Matteis nella combinazione e sovrapposizione della sonata da chiesa con i caratteri della suite, rappresentata da un preludio lento, che insieme al successivo Presto di carattere fugato, costituiscono quasi una ouverture francese, cui fanno seguito una Sarabanda, Gavotta e Giga.
Sotto le ali dell’aquila asburgica si svolse invece l’intera carriera di Angelo Ragazzi, “virtuoso suonator di violino e famoso contrappuntista” – come ebbe a definirlo Jommelli in una lettera a Padre Martini – formatosi all’eccellente magistero di Gian Carlo Cailò presso il conservatorio di S. Maria di Loreto. All’avvento degli austriaci a Napoli, Ragazzi venne dapprima chiamato a far parte dello sceltissimo gruppo di musicisti della Real Capilla di Barcellona e quindi dal 1713 a Vienna al servizio dell’imperatore Carlo VI, cui dedicò alcune messe e la raccolta di sonate a quattro (1736). Ritornato a Napoli a occupare la piazza di primo violino della Cappella Reale, Ragazzi dovette lasciare nuovamente la città natale quando i suoi legami con gli Asburgo divennero invisi al nuovo regime dei Borbone installatosi nel 1734.
Nella scrittura di Ragazzi emerge con chiarezza la dicotomia fra virtuosismo e severità tipica del linguaggio strumentale napoletano. Nel concerto in sol minore l’impianto in quattro movimenti alterna la scrittura orchestrale a quattro parti tipica del concerto grosso con quella che, soprattutto nei movimenti veloci, privilegia il dialogo fra i violini e soprattutto i passaggi virtuosistici del violino solista.
Elisa Citterio, violino
Catherine Jones, violoncello
Stefano Demicheli, clavicembalo e direzione
Consulenza musicologia di Guido Olivieri
Talenti Vulcanici
Monika Toth, violino
Katarzyna Solecka, violino
Raffaele Nicoletti, violino
Andrea Beatriz Lizarraga, violino
Isabel Soteras Valenti, violino
Maria Bocelli, viola
Filippo Bergo, viola
Cristina Vidoni, violoncello
Federico Bagnasco, contrabbasso
Juan Jose Francione, tiorba
Davor Krkljus, clavicembalo e organo
Programma Angelo Ragazzi (Napoli 1680 – Vienna 1750) Concerto a quattro con ripieni in sol minore per archi Adagio, Allegro, Adagio-Allegro-Adagio, Allegro Nicola Antonio Giacinto Porpora (Napoli 1686 – Napoli 1768) Concerto per violoncello ed archi in sol maggiore Adagio, Allegro, Adagio, Allegro Nicola Matteis Jr (dopo il 1670 – Vienna 1737) Sonata per due violini, violoncello e basso continuo in sol minore Grave-Prealudium, Presto, Adagio, Sarabanda, Gavotte, Largo, Gigue Emanuele Barbella (Napoli 1718 – Napoli 1777) Concertone per violino solo con violini, viola e basso in sol minore In tempo giusto, Largo e staccato di molto e fortissimo, Allegro andante alla polacca Francesco Scarlatti (Palermo 1666 – Dublino 1741) Concerto n. 8 in fa maggiore per archi Allegro, Largo-[Allegro], Larghetto, Allegro
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