Al Teatro San Carlo, per la Giornata della Memoria, il Quatuor pour la fin du Temps di Messiaen con inserti recitati da Guido Barbieri sull'autore e sugli altri primi interpreti detenuti nel campo di concentramento di Görlitz. Con lui sul palco, il violino di spalla della Fondazione Gabriele Pieranunzi, il clarinettista Gabriele Mirabassi, la violoncellista Silvia Chiesa e il pianista Maurizio Baglini
Come ormai da tradizione, anche il Teatro di San Carlo celebra la Giornata della Memoria, e lo fa con un concerto speciale proposto oggi in locandina, giovedì 27 dicembre alle ore 20.30, sotto il titolo Il tempo della fine - Quattro vite nell'apocalisse Görlitz.
Il quartetto composto da Gabriele Pieranunzi (violino), Gabriele Mirabassi (clarinetto), Silvia Chiesa (violoncello) Maurizio Baglini (pianoforte) eseguirà infatti il Quatuor pour la fin du Temps di Olivier Messiaen, una delle partiture simbolo di questa doverosa giornata, eseguita per la prima volta dallo stesso Messiaen insieme ad altri tre detenuti il 15 gennaio 1941 nel campo di concentramento tedesco di Görlitz.
Tra una sezione e l’altra delle otto che compongono il brano, la voce narrante di Guido Barbieri - critico musicale, drammaturgo, voce storica di Radio3 - racconta le vicende dei quattro musicisti detenuti, esecutori della prima assoluta del Quatuor:, oltre a Messiaen al pianoforte, il violinista Jean Le Boulaire, il violoncellista Etienne Pasquier e il clarinettista Henri Akoka.
Dalla guida all’ascolto di Guido Barbieri
nel programma di sala del concerto del 27 gennaio
La fotografia in bianco e nero della “prima volta” non la possiamo dimenticare. Siamo nello Stalag VIII-A, il campo di concentramento tedesco per prigionieri di guerra situato nei pressi di Görlitz, nella Bassa Slesia. All’incrocio tra due strade di fango c’è un edificio lungo e basso, col tetto spiovente e senza finestre: è il teatro del campo. L’orologio, nell’ufficio del comandante, l’unico di tutto lo Stalag, segna le sei del pomeriggio: sul calendario è scritta la data del 15 gennaio 1941. Buio, freddo, neve. Seduti su dieci file di panche ci sono quattrocento detenuti senza nome: affamati, malati, vestiti di stracci. Quattro uomini, con addosso la divisa dei prigionieri di guerra, sono invece schierati su una piccola pedana di legno. I loro nomi li conosciamo: sono Olivier Messiaen, seduto ad un pianoforte verticale che sta in piedi per miracolo, Jean Le Boulaire, che tiene sulla spalla un violino scordato trovato in una soffitta del paese, Etienne Pasquier, con un violoncello di fortuna, comprato da un liutaio di Görlitz grazie ad una colletta tra i detenuti, e infine Henri Akoka con il suo clarinetto, che ha tenuto stretto a sé sin dal giorno della cattura. Qui dentro, quella sera, per quanto impossibile possa sembrare, nasce uno dei capolavori indiscussi della musica del Novecento: il Quatuor pour la fin du temps che Messiaen scrive, con un mozzicone di matita, nella sua baracca di prigioniero, tra il maggio del 1940 e pochi giorni prima di quel 15 gennaio. Una meditazione senza parole – ispirata però all’Apocalisse di San Giovanni - sulle infinite aporie del tempo: il tempo della religione, il tempo della filosofia, il tempo della musica.
Ma che cosa accade se quella fotografia diventa un film, se facciamo tornare l’orologio del campo al 10 maggio del 1940, il giorno buio in cui inizia l’invasione nazista della Francia, e se poi lo facciamo ruotare in avanti, fino al 25 agosto del 1945, il giorno di festa in cui Parigi viene liberata? Come sono arrivati quei quattro uomini, che non si erano mai incontrati prima, nella stessa baracca dello Stalag VIII-A? Chi erano, come vivevano, che mestiere facevano prima di essere risucchiati dalla macchina della guerra? E come sono riusciti a passare tre mesi della loro esistenza di prigionieri provando tutte le sere, dopo il lavoro massacrante del campo, un’opera astrusa, difficile, oscura di un compositore di appena trent’anni? E poi, dopo quel 15 gennaio, che cosa ne è stato di loro? Come sono riusciti ad evadere dall’inferno di Görtlitz? Come e quando sono tornati alle loro case, alle loro famiglie, ai loro mestieri? Si sono più incontrati, hanno ancora suonato insieme, che cosa hanno conservato di quella esperienza dura, sconvolgente, dolorosa? Sono rimasti quelli di prima o hanno cambiato vita, idee, fede? A queste domande cerca di rispondere – basandosi sui dati storici certi e trasformandoli in racconto – lo spettacolo “Il tempo della Fine. Quattro vite nell’apocalisse di Görtlitz”. Il Quatuor di Messiaen viene eseguito integralmente, nella versione originale, ma tra una e l’altra delle otto sezioni interviene, per sette volte, una voce narrante. I primi tre intermezzi sono dedicati all’itinerario che i quattro musicisti hanno seguito prima dell’arrivo a Görlitz, dalla cattura fino alla detenzione, il quarto intermezzo, quello centrale, descrive la “fotografia” di quel 15 gennaio 1941, gli ultimi tre raccontano infine le vite dei quattro musicisti, dal giorno successivo fino alla fine della guerra. Quattro esistenze diverse che racchiudono speranze, oblii, pentimenti, delusioni e che costituiscono lo specchio fedele del tempo storico, tragico e irto di conflitti, in cui si sono svolte. Ne nasce, anche in questo caso, una riflessione sul tempo: su ciò che un’opera d’arte cardine del Novecento come il Quatuor di Messiaen ha seminato, ha fatto germogliare e ancora oggi continua a raccogliere. Una “apocalisse contemporanea” che – come quella narrata dal Nuovo Testamento, – non segna affatto la fine del tempo, bensì, sempre e comunque, l’utopia di un nuovo inizio.
Teatro di San Carlo giovedì 27 gennaio 2022, ore 20.30
Clarinetto | Gabriele Mirabassi
Violoncello | Silvia Chiesa
Pianoforte | Maurizio Baglini
Voce Narrante | Guido Barbieri
Programma
Olivier Messiaen, Quatuor pour la fin du temps per violino, violoncello, clarinetto e pianoforte
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