«Ai Signori Professori dell'Orchestra del Teatro e agli Artisti del Coro.
Il mio profondo ringraziamento a tutti voi per lo straordinario contributo artistico alla realizzazione di "Così fan tutte" (nelle foto di Silvia Lelli, autrice anche dello scatto sul podio). Ho molto ammirato la vostra preparazione musicale e la grande sensibilità nel rendere così viva e palpitante questa difficile e misteriosa Opera! Grazie e a presto!». Firmato, Riccardo Muti.
È così che il Maestro di origini pugliesi (in apertura, nella foto della Quinta giusta) ha voluto salutare ieri nel tardo pomeriggio le compagini del Lirico della città dove in un giorno d'estate (in via Cavallerizza a Chiaia, il 21 luglio del 1941) è nato, dunque al termine dell'ultima recita del dramma giocoso di Da Ponte-Mozart in scena per l'apertura della nuova Stagione d'opera e di balletto dal 25 novembre e per cinque date con la regia della figlia Chiara. Per Muti, unico impegno d'opera per quest'anno in Italia, terza collaborazione con la figlia regista (dopo un Hindemith e un Puccini), quinta sua direzione di un "Così fan tutte" che nel 1979 segnò il suo debutto a Salisburgo su invito fortemente voluto dal grande Karajan quindi, per il San Carlo, primo tassello di una prestigiosa collaborazione con l'Opera di Vienna che ospiterà la produzione nel 2020, registrando a sua volta il ritorno del Maestro dopo un'assenza di dodici anni da quel podio. Nell'occasione, poltronissime record da 1200 euro, niente diretta su RadioTre ma, in compenso, a dispetto di qualche anziano dormiente o di quel telefonino trillato da lontano che alla prima lo ha visto girarsi indispettito verso la platea, tanti i giovani fra i palchi e fin su al loggione dalla cui balconata, in due diverse occasioni, sono stati stesi due striscioni a lui dedicati e riportati nelle foto a seguire. Quindi fra scena e podio, proprio come fra musica e azione, un gioco esatto e simmetrico fra sentimento e ragione, amore e disincanto, stile viennese e matrici italiane entro una sospensione - in special modo a rilevo del motto discendente a sigla del titolo - pari alla malinconia del mozartiano sguardo sulle relazioni umane, osservate sotto la tersa luce di Napoli e sotto quella ragionevolezza che il philosophe Don Alfonso al termine ben ci rammenta sentenziando sul doppio pedale dell'amore e del perdono: "L'amante che si trova alfin deluso / Non condanni l'altrui ma il proprio errore; / Giacché, giovani. vecchie, e belle e brutte, / Ripetete con me: «Così fan tutte!»".
Grande il suo personale successo (per la recensione si rinvia al link https://www.connessiallopera.it/recensioni/2018/napoli-teatro-san-carlo-cosi-fan-tutte/), coronato da entusiasmi striscioni di bentornato e di auspicio per un suo prossimo ritorno al Teatro San Carlo, dai citati striscioni di bentornato come di auspicio per un suo prossimo ritorno al Massimo. Ma, soprattutto, tanti per la prima volta i giorni
trascorsi a Napoli essendo tornato per la prima volta a dirigere un'opera dal Macbeth verdiano di ben 34 anni a fronte di presenze più recenti quali il Concerto per l'Europa nel 2009 ma alla testa dei Berliner, nello stesso anno uno Jommelli sacro e nel dicembre 2011 il Requiem di Verdi nei 150 dell'Unità d'Italia con Orchestra e Coro finalmente sancarliani, un sinfonico con la "sua" Orchestra di Chicago nell'aprile 2012. Pertanto, stavolta, grandi passeggiate nel centro storico e per la via dei presepi a San Gregorio Armeno dove gli hanno pure dedicato una statuetta, la lunga permanenza all'Hotel Vesuvio nelle settimane di prove, spettacoli, e il gran vortice di incontri e appuntamenti, fra la visita in Conservatorio e nei luoghi fondamentali della Biblioteca Nazionale "Vittorio Emanuele III" dove, oltre ad aver ricevuto la tessera d'onore dell'Associazione Musicale Ex Allievi del Conservatorio San Pietro a Majella dai vertici Vincenzo De Gregorio ed Elio Lupi, ed oltre ad aver offerto la propria testimonianza in apertura di presentazione del nuovo libro dell'ex sovrintendente Canessa sul binomio Tebaldi-Callas, ha ripercorso tra i flash e al fianco dei responsabili Mariolina Rascaglia e Gennaro Alifuoco gli itinerari espositivi, soffermandosi con particolare emozione e al fianco di Jeff Alexander, presidente della Chicago Symphony Orchestra di cui Muti è direttore musicale, sui manoscritti autografi leopardiani degli Idilli L'infinito e A Silvia corredati da correzioni e ripensamenti, sulle miniature preziose per il De institutione musica di Severino Boezio, sull'Album Verdi e gli altri materiali musical-teatrali conservati nella sezione Lucchesi Palli, sui documenti relativi a Vito Fornari, primo direttore della Nazionale e, come il Maestro, originario di Molfetta.
Quindi le sue parole al tavolo dell'incontro in Sala Rari, dove ad accoglierlo c'era Francesco Mercurio, direttore della Biblioteca Nazionale di Napoli. Alla sinistra del Maestro, la sovrintendente del San Carlo, Rosanna Purchia; alla sua destra, l'ex sovrintendente e autore del testo in presentazione "C'eravamo tanto odiate", Francesco Canessa. E ancora, ai lati, per le battute di approfondimento, Massimo Lo Iacono mentre, per la recitazione, il soprano Leona Peleskova con il regista Riccardo Canessa.
«Sono particolarmente felice di essere qui, non solo perché è la città alla quale sono legate le mie basi, fra il "San Pietro a Majella" e il Liceo "Vittorio Emanuele", ma anche perché mi hanno appena fatto vedere documenti meravigliosi e il busto di Vito Fornari, di cui reco sempre con me, nel telefonino, due grandi iscrizioni, poste all'ingresso del cimitero di Molfetta». Coglie l'occasione per esprimere il proprio disappunto per lo stato di manutenzione sia del cimitero delle 366 fosse che dell'ingresso del Conservatorio sfregiato da «orrendi scarabocchi», (in realtà già presenti quando ebbe a visitarlo sotto altra direzione) auspicandone il ritorno allo splendore più appropriato. «Conservatorio che noi allievi, all'epoca, consideravamo come un luogo sacro e dove - prosegue - è nata quella disciplina artistica rigorosa che contraddistingue il mio modo di procedere. A qualcuno piacerà, ad altri no...». Poi bacchetta pure Canessa padre, perché distratto a parlargli sotto, per cui aggiunge facendo ridere tutto il pubblico assiepato fino in fondo alla stanza: «Si vede che lui non lo ha frequentato...».
Dunque entra nel merito: «Ma perché sono qui? Per rispetto e ammirazione verso un vecchio amico che, per vent'anni, ha guidato il Teatro San Carlo, e sono felice che al tavolo ci sia anche l'attuale sovrintendente: sono praticamente - ride - fra i due ladroni. Canessa ha scritto un libro che è molto bello e interessante perché svela caratteri, avvenimenti e situazioni intorno a due grandi protagoniste della lirica del nostro tempo. Si legge con estremo piacere, come un ruscello limpido che scorre. E ne vengono fuori episodi che io non conoscevo. Le due donne in questione: la Tebaldi e la Callas. In qualche modo sono stato legato a entrambe. Alla Tebaldi, personalmente conosciuta e frequentata, in modo molto forte.
Lei veniva sempre alle mie prove alla Scala. Nella sala vuota sedeva in fondo, verso le ultime poltrone, silenziosa. E io al termine del lavoro, lì la raggiungevo per parlare dello spettacolo in allestimento - uno per tutti, La forza del destino, titolo per il quale è stata una immensa Leonora - del passato o del presente. Interessantissimi i suoi giudizi molto netti per cantanti, uomini e donne, cosiddetti divi del momento e ancora oggi in carriera, sui quali lei aveva praticamente fatto croce. Con Renata Tebaldi, grande signora di rara modestia, oltre che meravigliosa cantante, c'è stata un'amicizia vera, fatta di silenzi, in quegli intervalli preziosi vissuti alla Scala. Il più alto segno di quell'amicizia e caro ricordo che ho di lei? Prima della prima di un Don Giovanni di Mozart a Milano venne a portarmi un pacchetto: dentro c'era una lettera autografa di Verdi. Mi disse: "L'ho tenuta sul mio pianoforte per tutta la vita. Adesso voglio che sia nelle sue mani". E se ne privò, ancora in vita, per me. Viceversa, non ho invece personalmente conosciuto la Callas, della quale però mi resta nel cuore un episodio molto toccante, del 1973. Io stavo preparando il Macbeth al Comunale di Firenze e il mio sogno era di avere lei come protagonista femminile. La Callas era in vacanza in Florida e, venuta a sapere tramite un comune amico della casa discografica EMI del mio desiderio, mi contattò al telefono, facendomi una specie di gioco. Senza dire il suo nome esordì: "So che lei mi sta cercando. Non so se sa il mio nome".
Quindi portò avanti il discorso in maniera scherzosa, destando sempre più la mia curiosità. "Chi è questa donna, mi domandavo, che mi chiama con una voce così sensuale e misteriosa?". Fin quando presentatasi come Maria Callas, suscitando in me una forte emozione per quanto non abbia mai amato molto le cantanti tranne rare eccezioni, commentò così la mia richiesta: "Mi farebbe molto piacere cantare il Macbeth con lei". Poi aggiunse, dopo una lunga pausa e cambiando completamente il tono, "È tardi", quasi riprendendo con lo stesso peso le drammatiche parole recitate da Violetta nel finale della Traviata. Da un lato, dunque, resta dentro di me, vivo, il ricordo di quella sua voce così calda e particolare ma, anche, l'idea giocosa di presentarsi in forma anonima che, a mio avviso, rivela della Callas un aspetto caratteriale per nulla o non abbastanza conosciuto».
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