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Paola De Simone

Un'esatta dimensione cameristica e un'intima meditazione religiosa sono state le coordinate entro le quali, con successo, è stata riproposta la Petite messe solennelle, ultimo capolavoro di Gioachino Rossini a 150 anni dalla sua scomparsa e pagina bellissima quanto piuttosto rara del repertorio sacro, in apertura della nuova stagione del Maggio della Musica, eccezionalmente ospitata per l'occasione in un'affollata Basilica di San Pietro ad Aram, tempio a un passo dalla stazione centrale di Napoli e presumibilmente custode dell’Ara Petri (nelle foto).

A garantirne il pregio e il taglio, il direttore artistico della rassegna, Michele Campanella, dal primo pianoforte in qualità di concertatore e direttore, quindi la moglie Monica Leone a perfetto complemento per lo speciale rigore e la misurata sensibilità al pianoforte "di ripieno", il basso-baritono Simone Alaimo, forte di un timbro e di una tecnica di altissima scuola accanto all'Ensemble Vocale di Napoli, preparato come sempre con puntualità estrema da Antonio Spagnolo. Completavano l'organico, Davide Falsino all'harmonium, il soprano leggero Linda Campanella e le voci ancora in erba del tenore Carmine Riccio e del mezzosoprano palermitano Adriana Di Paola.

Dato di primario interesse, dunque, il senso che Michele Campanella ha individuato e scolpito in un'interpretazione che ha avuto i suoi punti di forza nei numeri con coro posti a cornice, in special modo in un Agnus Dei conclusivo dilatato e poggiato sull'opera con trasparenza, dolcissima e dolente, pari ad un estatico velo. A spiegarne il senso della singolare ricerca fra gli stili, le parole espresse a tal merito dallo stesso pianista napoletano: "Nel volgere lo sguardo all’antico, Rossini compie il prodigio di preparare il futuro. Quei suoni scarni del suo pianoforte prosciugato di ogni inutile orpello, quella linea di canto che non sai se definire da teatro o da chiesa, dove non c’è una nota in più del necessario, quel coro che nella sua trasparenza celebra l’amore di Rossini per i testi antichi, persino il suono demodé dell’harmonium che si nasconde dentro quello dei pianoforti arricchendoli di vibrazioni acidule, tutti questi elementi insieme fanno del timbro della Petite un unicum che guarda all’oggettivazione stravinskiana, al Novecento che prende le distanze dalla retorica romantica e dai vapori decadentistici di fine secolo. Compito non facile degli esecutori è trovare uno “stile” che renda giustizia del linguaggio miracolosamente a cavallo tra altare e palcoscenico". Un equilibrio, negli esiti ascoltati, senz'altro centrato ma, anche, evidenziato in formula originalissima attraverso l'esatta percezione e restituzione di tutte le tracce delle intenzioni musicali e della tecnica di scrittura lasciate genialmente in pentagramma dal compositore Rossini: lezione contrappuntistica bachiana e antico stile polifonico palestriniano, teatralità, spigliata visione concertante e un moderno disincanto pianistico, direttamente attinto dai suoi peculiari Péchés de vieillesse.

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