"[...] Su toccala un po'! La scrofa canta come un usignolo! [...] Stringila... Ancora! Frugala un po', fruga! / Diavolo schifoso, non ti infilare! / Ecco così, la tetta [...] stringila [...] / Ah! Che male! / Mi lasciate succhiare un po'? / Accidenti a te, carogna, il mio petto è tutto un livido!": lo stupro beffardo e violento del gruppo dei lavoranti del podere degli Ismailov, a danno della vecchia cuoca Aksinja, occupa analogamente all'amplesso fra gli amanti Katerina e Sergej (rispettivamente, quadro secondo e terzo dell'atto primo) solo pochi, ma feroci istanti innanzitutto scolpiti dalla musica nella Lady Macbeth del distretto di Mtsensk, opera in bilico fra tragedia e satira a firma di Dmitrij Šostakovič, d'impatto potente e difatti capolavoro fra i massimi del teatro musicale nati nella prima metà del Novecento. Due climax che in realtà, attraverso un'intera rete di episodi che pescano fra le pieghe più basse ed efferate dell'animo umano - l'ignoranza, la lascivia e il cieco egoismo del ceto mercantile di provincia nella Russia pre-rivoluzionaria, l'ingannevole ricerca di una vita felice attraverso l'adulterio, tre omicidi e un suicidio - non sono che l'esatta radiografia di quanto può annidarsi nel mondo, allora ma in maniera neanche troppo diversa a tutt'oggi - che circonda la condizione della donna. Un mondo così marcio che anche un sentimento meraviglioso come l'amore, non conoscendo né distinguendo l'autenticità dei valori, degenera nel torbido, nell’odio e nel delitto, così come, ben oltre le parole del libretto di Aleksandr Prejs da una novella di Nikolaij Leskov, è descritto da Šostakovič in partitura con forza e sarcasmo impressionanti.
(In apertura e a seguire, lo spettacolo al Teatro San Carlo nelle foto di Luciano Romano; seconda foto d'apertura di Francesco Squeglia).
In tal senso l'esperienza di poter assistere dal vivo e per la prima volta in Italia a una regia particolarmente forte e realmente moderna, serrata e dissacrante, esattamente in linea con quanto espresso dalla genialità musicale dell'autore qual è quella creata nel 2006 da Martin Kušej per il National Opera Ballet di Amsterdam, con le scene di Martin Zehetgruber, i costumi di Heide Kastler e le luci di Reinhard Traub, ripresa con pieno successo in queste sere al Teatro San Carlo da Herbert Stöger e in scena ancora domani, venerdì 20 aprile (ore 20), sabato 21 allo stesso orario e domenica 23 alle ore 17, è a nostro avviso una lezione di altissima drammaturgia musicale, assolutamente da non perdere. Anche perché, a dirigere Orchestra e Coro del San Carlo, più il Coro Maschile del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo (preparati dai rispettivi maestri Marco Faelli e Andrei Petrenko), c'è la bacchetta principale di Juraj Valčuha che, nel giorno della sua prima Lady Macbeth, è stato più volte lungamente applaudito dopo aver tra l'altro ricevuto a giusto merito, nelle ore pomeridiane, il prestigioso Premio della Critica "Franco Abbiati" 2018 quale migliore direttore d'orchestra dell'anno.
Tra la folgorante intelligenza del segno registico-visivo e quanto Valčuha con grande sapienza metrico-ritmica e arguzia sonora di spigoli, affondi e dettagli ha saputo tirar fuori in primis da una compagine strumentale della Fondazione in buona forma (bravi i legni con fagotti in testa guidati dal sempre bravissimo Mauro Russo, percussioni e ottoni assai efficaci, archi in buona forma, arpa impeccabile grazie alla sempre perfetta Antonella Valenti), si apprende un mirabile quadro di sintesi fra i contenuti ideologici e le vicende che dal 1934 in poi accompagnarono dell'inquietante Lady Macbeth del distretto di Mtsensk. Dalla genesi al motivo degli iniziali successi raccolti toccando le quasi duecento repliche fra Leningrado e Mosca, il perché dell'ingiusta censura staliniana attraverso le clamorose accuse sulla "Pravda" che portarono il compositore fin quasi alle soglie del suicidio, le ragioni per cui il titolo è fra le punte più avanzate del teatro musicale europeo. E in special modo se ne comprende, nella regia di Kušej-Stöger, l'elevata temperatura erotico-sensuale, senza mai scivolare nella volgarità offensiva o fine a se stessa, persino nella scena in cui il contadino ubriaco (Evgeny Akimov), che scopre in cantina il cadavere del marito di Katerina, arriva a orinare al proscenio verso il pubblico.
Quattro atti e nove quadri concentratissimi in scena - sullo sfondo di alte pareti color piombo, la vita di Katerina scorre fra la noia di un matrimonio infelice e l'amore sbagliato per il lavorante Sergej entro i vetri di una gabbia-veranda, unico elemento fino al cambio per gli ultimi due atti con i non meno essenziali ma plastici quadri della polizia, del matrimonio e della deportazione in Siberia - attraverso i quali si consuma il dramma di un'anima coraggiosa e straziata. Il dramma senza via d’uscita di Katerina L’vovna, giovane affascinante ma di umili origini che entra a far parte del ricco ma squallido mondo del ceto mercantile sposando Zinovi Ismajlov. Alla resa dei conti, uno sguardo dolorosissimo ma profondamente realistico - di qui il taglio della regia, fra naturalismo e astrazione simbolica - sull’impossibilità della felicità umana.
Per i dettagli dell'allestimento si rinvia alla mia recensione pubblicata sulla testata online Connessi all'Opera (https://www.connessiallopera.it/recensioni/2018/napoli-teatro-san-carlo-lady-macbeth-del-distretto-di-mtsensk/) mentre, relativamente agli esiti interpretativi, oltre il trionfo del direttore d'orchestra Valčuha, si premia l'intero cast di interpreti specializzati nel repertorio d'opera russo.
Il basso-baritono Dmitry Ulianov (in alternanza con Vladimir Vaneev) restituisce con piena prestanza sia vocale che scenica la tracotanza e la libidine del vecchio mercante Boris Ismajlov, in parallelo notevole l'interpretazione del soprano Natalia Kreslina (Elena Mikhailenko nel secondo cast) per dar voce, carne e sangue a una Katerina assassina per amore: autentica, sensuale e umanissima in ogni tessitura, colore e occasione, dal canto all'urlo, dal confronto al monologo. Seduttore di bel timbro e sfrontato al punto giusto si è rivelato quindi Ladislav Elgr (poi Ian Storey) per Sergej mentre il più che rodato tenore Ludovit Ludha, inizialmente stimbrato e attorialmente piuttosto anemico, ha sostanzialmente riprodotto fedelmente quello che il marito di Katerina, Zinovi, in fondo è. Gran merito, poi, alla Aksinja del soprano Carole Wilson e bravi sia il Pope del basso Goran Jurič e la Sonietka del mezzosoprano Julia Gertseva, unitamente all'intero gruppo dei personaggi minori.
Una graduatoria a parte spetta infine alle tre sezioni del Coro: ottimo quello del Mariinskij, di rara tinta musorgskiana, buono per integrità delle voci e precisione ritmica quello maschile del San Carlo mentre, come al solito, disomogeneo quello femminile della Fondazione (sporco l'attacco nel secondo quadro e brutto il timbro in quello delle nozze alla grande tavolata scomposta, fra una che vomita da un lato del muro, e l'altra che consuma un amplesso alla parte opposta), con esiti tuttavia migliori nell'umiliato quadro finale della deportazione in Siberia.
In chiusura, entusiasmi per Juraj Valčuha e applausi convinti sia per gli interpreti che per tutti gli artefici dello spettacolo.
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