L'Amore che vince la Morte entro il fuoco della dialettica fra una realtà terrena, fatta di scontate quanto rigide convenzioni, e l'anelito verso l'eterno infinito di un etereo lunare, superiore e sublime. Attraversandone però d'obbligo, al centro, la fuga e la follia.
È quanto ci insegna sin dalle premesse ideologiche, nonché sul fronte degli esiti interpretativi migliori, il balletto Giselle, capolavoro di Jean Coralli, Jules Perrot e Marius Petipa sulle musiche di Adolphe Adam cogliendo in danza il senso più segreto ed autentico del sentire romantico, non solo in termini drammaturgico-pantomimici ma nel dettaglio e tensione di ogni singolo passo e port de bras.
Ebbene, esattamente in tale ottica si intende premiare la Giselle riportata in scena al Teatro San Carlo (foto di Luciano Romano) nel tradizionale ed efficacissimo allestimento (Del Savio-Giorsi-Giustino) della Fondazione e le due stelle Marianela Nuñez (dal Royal Ballet) e Vladislav Lantratov (dal Bolshoi) per cinque spettacoli con dedica alla recentemente scomparsa Elisabetta Terabust e fino a mercoledì 28 marzo nella raffinata quanto attentissima rilettura coreografica operata nell'assoluto rispetto dell'originale da Anna Razzi, ex scaligera e fra le grandi interpreti del ruolo eponimo nel Novecento oltre che, per un quarto di secolo, vertice insuperato della Scuola di Ballo sancarliana per la quale, attualmente, ricopre l'incarico di presidente onorario.
Dunque, danza vivace, colorata e terrena da un lato fra le scene caratteristiche e bellissime del villaggio di contadini sul Reno al primo atto; punte d'acciaio, sospensioni infinite e incorporee, salti verticali, bourrées e arabesque scivolati dall'altro, nel regno misterioso e notturno delle Villi. A restituirne l'esatta dimensione e tornitura, intanto, un Corpo di Ballo della Fondazione che, grazie allo svecchiamento operato in anni recenti e all'entusiasmo vincente dell'attuale Direttore Giuseppe Picone, può essere ben d'esempio per altre compagini meno felici dello stesso Teatro, come emerso dal recente Mosé rossiniano, sfoderando una preparazione tecnica impeccabile, linee e diagonali esatte ma, anche, una notevolissima sensibilità di espressione sia in assieme che nei ruoli solistici o principali. E pensiamo all'ottimo Ertugrel Gjoni, Hilarion scolpito con raro temperamento - violento persino - gestuale ed emotivo, alla coppia di contadini formata dalla sempre limpida Sara Sancamillo e da un eccezionale Carlo De Martino, alla finalmente bellissima Myrtha della brava Luisa Ieluzzi.
In primo piano, quindi, la Giselle di Marianela Nuñez, credibilissima nella fisicità spontanea e naturale durante l'intero Atto I, con culmine nei suoi giri e voli mozzafiato più che in una scena della pazzia pur originalmente rivisitata, ben tesa e accentuata negli scatti, ma comunque ancora lontana dai vertici toccati da alcuni modelli del nostro recente passato ad oggi rimasti senza eguali.
Pienamente apprezzata invece nell'Atto II, laddove la sua straordinaria poesia di braccia, envol e ampie sospensioni ha garantito un protagonismo di perfezione ideale. Al suo fianco l'Albrecht di Vladislav Lantratov, più che identità e carattere, ha invece messo a segno una grande eleganza di salti e portamenti, in virtù anche del suo fisico particolarmente prestante. Completavano il cast, Valentina Vitale (Berthe), Natalia Mele (Bathilde), Fabio Gison (Duca di Courland), Massimo Sorrentino (Wilfried) e Marcello Pepe (cacciatore).
E una particolare nota di merito spetta infine al navigatissimo direttore d'orchestra d'ambito coreutico David Garforth, preciso e sempre molto attento alla sintonia totale fra buca e palcoscenico - anche se, nell'atto delle Villi, ci sarebbe piaciuto qualche accento o contrasto agogico in più - impressa sul podio dell'Orchestra del Teatro San Carlo, di cui si lodano il primo violino Gabriele Pieranunzi, l'arpista Viviana Desiderio, il flautista Bernard Labiausse, il cornista del segnale rivelatore lanciato da Hilarion, le trombe e i tromboni rispettivamente guidati dalle prime parti Fabrizio Fabrizi e Sergio Danini.
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