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Paola De Simone

All'ingresso del palco di barcaccia in prima fila, verso la quinta di sinistra guardando il palcoscenico del Teatro San Carlo, c'è una grande targa in ottone che unisce e ricorda i gloriosi nomi di Rossini e Donizetti seduti con ogni probabilità in quel luogo durante i rispettivi anni di direzione del Lirico napoletano, fra il 1815-1822 per l'autore del Barbiere e, a seguire, fino al 1838 per l'autore di Lucia. Una traccia storica importante che il Quartetto d'archi della Fondazione, creato non troppi anni fa da alcune prime parti del Teatro e dunque formato da uno dei due violini di spalla, Cecilia Laca, da Luigi Buonomo al violino secondo, da Antonio Bossone alla viola e da Luca Signorini al violoncello, ha voluto e saputo cogliere al volo collegando il proprio, nuovo appuntamento per la stagione concertistica alle celebrazioni per il centocinquantenario della morte dell'autore pesarese. Il tracciato d'ascolto si apriva dunque con l'ultima e più celebre delle Sei Sonate a quattro scritta da un Rossini appena dodicenne per due violini, violoncello e, al posto della viola, un contrabbasso stando all'organico informale messo in piedi fra musicisti-amici nella tenuta del conoscente di famiglia Agostino Triossi, al Conventello nel Ravennate. Un camerismo gradevole ma spiccato e ben serrato, soprattutto nella Tempesta, sorta di prova generale in miniatura per quanto poi il compositore avrebbe prodotto nelle sue opere teatrali, qui posta in chiusura come Allegro finale. Dunque un camerismo che subito ha detto molto delle parti in gioco lasciando registrare alcuni importanti passi in avanti compiuti dal gruppo innanzitutto in termini di fusione e intesa, così come nella parte del violino leader, molto più chiara e sonora rispetto al passato entro la razionale costruzione di un discorso saldo nelle note, nelle arcate e in particolare marcato nei portamenti, puntato sulla velocità più che sull'espressione o emozione e sempre un po' troppo in prima linea rispetto agli altri archi, ma nel complesso efficace nel restituire la freschezza e la vivacità ritmica della scrittura rossiniana. In pari ordito si distinguevano, nel respiro dell'Andante come negli interventi a dialogo, gli altri strumenti del gruppo e, in special modo per la bellezza musicale del suono, il violoncellista Luca Signorini e il contrabbassista Ermanno Calzolari. Di leggera semplicità haydniana era quindi il Quartetto n. 17 in re maggiore di Donizetti, parimenti ben evidenziato, stavolta dalla formazione dei quattro archi canonici, negli spunti cantabili e nei bei rilievi assegnati alla viola. Infine il Beethoven dell'op. 18 n. 4, studiato con cura e per lo più speso fra dettaglio tecnico e velocità.

Molto calorosi gli applausi al termine da parte di un pubblico visibilmente contento (alcune signore, in platea, hanno giustamente commentato che avrebbero preferito in abito lungo la violinista), per quanto molto meno folto rispetto all'ultimo appuntamento da camera, e dunque premiato con un bis di maggior fuoco, il secondo movimento dal Quartetto n. 8 op. 110 di Šostakovič (foto di Luciano Romano).

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