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  • Paola De Simone

Giovani, tecnicamente compatti e dallo stile coeso ma anche, musicalmente, molto maturi e singolarmente articolatissimi nei rispettivi interventi melodico-ritmici interni al gruppo. Sono i trentasette strumentisti provenienti da tutto il mondo (italiani compresi) e da realtà musicali di prestigio, a raccolta nell'originale Orchestra autogestita Spira Mirabilis (nelle foto). Ossia, l'interessante e - a sentirla dal vivo - realmente emozionante formazione da camera fondata dieci anni fa, allenatissima a suonare senza direttore e scegliendo un solo brano per programma, sul quale poi si va al termine dell'ascolto a discutere con il pubblico.

A proporli di nuovo dopo il 2012, a Napoli, sempre l'Associazione Alessandro Scarlatti ma nella prima stagione veramente pensata per i giovani e al Teatro Sannazaro, con la Sesta Sinfonia di Beethoven, la "Pastorale".

Sorvolate le note esplicative data la celebrità dell'ampia pagina di robusta fibra stürmeriana più che semplicemente d'imitazione o descrittiva, quindi abbozzata una rapida introduzione su una spina dorsale per loro ineludibile costituita da tutte e nove le Sinfonie beethoveniane, quindi dal principio di un'interpretazione totalmente condivisa, i ragazzi di Spira Mirabilis hanno rapidamente preso le proprie postazioni. Imbracciati con entusiasmo e bel temperamento i rispettivi strumenti (gli archi seduti, i fiati in piedi), seguendo con piena empatia il rapido impulso impresso dalla vivace spalla fiorentina classe 1983, Lorenza Borrani (in primo piano nella foto centrale), splendida nel suo autentico ruolo di Konzertmeister, hanno dato con prontezza il via a un quasi miracoloso, unico respiro per la genesi di quel suono naturale e dalle armonie rigogliose con cui si entra nel mondo della "Pastorale" di Beethoven, in tempo d'Allegro ma non troppo, per ripercorrere i "Piacevoli sentimenti che si destano nell'uomo all'arrivo in campagna".

Quali gli esiti in assenza di bacchetta dal podio tra l'altro entro un'architettura sinfonica ad ampia gittata e fitta di suggestioni molteplici? A sorprendere è stata innanzitutto la grande precisione degli incastri e degli equilibri sonori fra le parti. Ma non solo. Assai lucida si è presto rivelata anche la definizione degli attacchi così come insolitamente ricca è stata la gamma di accenti, metri, dialettiche e dinamiche sfoderata fra concertazione, fraseggi e rimbalzi coreutici. Ben solida, innanzitutto, la base degli archi, con mansioni di controllo delle diverse entrate, quindi lodevoli gli interventi dei fiati. In special modo, a svettare, un primo fagotto eccellente, con rilievi curati sempre a meraviglia, nel timbro come nella sostanza motivica, nei contrappunti ritmici quanto nelle bellissime sfumature di suono. Efficace inoltre il timpanista e interessante il primo flauto per lo stile delle frasi mentre, per la plasticità dei dialoghi ornitologici oltre che campestri, si citano il primo oboe e il primo clarinetto. Più delicate risultavano, invece, le parti assegnate ai corni da caccia, alle trombe e ai tromboni a tiro, così come la tenuta in tensione all'interno delle sezioni di tempo lento.

Momento più alto, su tutti, il temporale al quarto dei cinque movimenti, un Allegro dagli effetti quasi cinematografici, già solo nelle premesse additato come "Tuono e tempesta": spettacolare nelle spire sonore di graduale forza esplosiva, serrato e possente, vertiginoso quanto di rara forza evocativa. A nostra memoria, fra i più belli ed intensi ascoltati a Napoli negli ultimi tre decenni dal vivo. In chiusura e come promesso, dopo una meritatissima pioggia di applausi, l'incontro con il pubblico senza strumenti, dal palco alla platea, per un'ulteriore, vivace condivisione fra domande, curiosità e risposte oltre le note.

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