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  • Immagine del redattore: Paola De Simone
    Paola De Simone
  • 9 feb 2018
  • Tempo di lettura: 3 min

Un bellissimo quanto raro equilibrio fra l'intatta sostanza delle rispettive identità tecnico-espressive e una sintonia totale in termini di suoni e respiri, d'intenzioni stilistiche, di incastri perfetti fra stacchi metrici, accenti ritmici, dialoghi serrati e dinamiche dalle sfumature molteplici. La sorpresa è che a garantirlo è un gruppo giovanissimo, il Trio Sitkovetsky (nelle foto), fondato una decina di anni fa e già ampiamente affermato nel panorama concertistico internazionale, primo vincitore del Premio internazionale Commerzbank nel 2008 e del Mecklenburg Vorpommern Festival nel 2009, ospite di realtà di primo piano alla Wigmore Hall, all'Alte Oper di Francoforte, al Palais des Beaux Arts di Bruxelles. In campo: un violinista leader bravissimo e di grande maturità musicale, Alexander Sitkovetsky, figlio d'arte con alle spalle una rosa di celebri artisti e primi studi con un amico di famiglia d'alto calibro quale Yehudi Menhuin; il violoncellista tedesco-coreano Isang Enders, forte di una tecnica infallibile e di una condotta sempre ben allineata con l'economia dell'insieme quindi, al pianoforte, una camerista veramente "doc", la coreana Wu Qian, dotata di un impressionante controllo digitale unito a una notevolissima personalità riconoscibile ad ogni battuta tanto nel tocco quanto nelle curvature dinamico-timbriche, nel taglio dello stile, nel controllo sia ritmico che dei piani sonori.

A guardarli già solo in foto sono deliziosi ma, in concreto all'ascolto, si rivelano addirittura sorprendenti andando ad offrire, dall'alto della loro comunque recente storia (che da questa stagione risulta aggiornata per l'ingresso del nuovo violoncellista), un modello di riferimento esemplare d'ultima generazione per tale genere da camera per archi con pianoforte. A proporlo con vivo successo, l'altra sera, la stagione di concerti dell'Associazione Alessandro Scarlatti, al Teatro Sannazaro. L'itinerario in ascolto è significativamente partito da un autore miliare per la cameristica pura e, nello specifico, per l'evoluzione dei rapporti interni ad una formula nata sul ceppo della Sonata a tre barocca. In evidenza infatti, con il limpido ma ben caratterizzato Trio n. 25 "Gipsy" di Haydn, le capacità di chiarezza e significato sfoderate, con peso paritetico dalle singole parti del Sitkovetsky, attraversando le diverse articolazioni tematiche e fraseologiche del lavoro: dall'Andante con variazioni all'intenso Poco adagio centrale, culminando nello spirito vivace di un rimbalzante Rondò all'Ongarese innescato con scatto brillante dalla pianista Wu Qian ed ulteriormente esaltato nel canto tzigano dal violinista leader.

Ancor più interessante, a seguire, la tenuta del gruppo entro le non facili architetture e trame del Trio op. 70 n. 2 di Beethoven, disegnato con cura nelle meste battute introduttive, nella densa dialettica in 6/8 fra archi e pianoforte interna al collegato Allegro ma non troppo, così come analizzato e restituito con tempra e sonorità, archi e ribattuti sempre assai efficaci nei successivi tre tempi.

In special modo apprezzata nella duplice funzione di punta ed amalgama, la pianista coreana è stata diciamo pure la chiave di volta del bellissimo Trio in re minore op. 49 di Mendelssohn, posto in chiusura di programma: l'ampio tema del violoncello subito passato all'intenso vibrato del violino ha gettato luce sulla bella qualità degli archi lungo l'intero, virtuosistico percorso dei quattro movimenti ma, al contempo, trovando in lei (spettacolare il suo contributo nello Scherzo) un raro motore fra canto e controcanto, brillante staccato e funambolici arabeschi, fino alla corsa a tre, sfrenata e perfetta, in coda all'Allegro assai appassionato con richiami non troppo lontani dal pianistico Rondò capriccioso. Il tutto a una velocità estrema che tuttavia mai ha compromesso, neppure per un istante, la piena tornitura della loro grande musica d'insieme.

Al termine tanti gli applausi, meritatissimi, e un gratificante bis con i due movimenti finali dal Trio "Dumky" di Dvořák.

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