Un'antica viella, una lunghissima buccina e un salterio in mix o a dialogo con un moderno sax, un basso elettrico, una batteria. E, fra gli altri strumenti in campo, un liuto arabo, un'arpa gotica e una zampogna con un pianoforte più tastiere elettroniche, quattro voci differenti, qualche spiegazione seria e qualche altra in parodia attraverso uno schietto contrappunto partenopeo. Si è giocata così, vincendo a pieni voti, la bella sfida dell'Ensemble Micrologus dal titolo "Kronomakia" (La Battaglia del Tempo) in strano abbinamento con la Rote Jazz Fraktion capitanata da Daniele Sepe. Ossia, portando nella Stagione della prossimamente centenaria Associazione Alessandro Scarlatti di Napoli uno straordinario mash-up d'urto nato dall'amalgama e dalla metamorfosi, secondo l'antica tecnica del travestimento, di canti medievali sacri o profani del Mediterraneo attraverso il fuoco delle sonorità jazz o funk-rock dei nostri giorni.
Il risultato dell'azzardo? Pochi gli storici abbonati dell'Associazione nella semideserta platea del Teatro Sannazaro, ma tanti i giovani assiepati nei palchi pronti ad applaudire una svolta importante verso un nuovo format per la concertistica classica in virata crossover. E a dimostrarlo, osservando la performance a ritroso, il divertito entusiasmo con cui tutti, ma veramente tutti, hanno al termine costruito e intonato l'efficacissimo canone insegnato all'impronta dal vulcanico Daniele Sepe (nel nostro video, montato sulle foto di Giancarlo de Luca) mettendo a segno un mix raro e speciale, oltre che fra i generi, tra il pubblico e il palco.
In linea con l'originale progetto discografico ideato dal liutista e fondatore del Micrologus, Adolfo Broegg, mancato nel 2006 poche settimane dopo la registrazione dei brani confluiti nel CD omonimo, l'itinerario d'ascolto comprendeva un raro Saltarello del Trecento conservato in un manoscritto della British Library di Londra, pagine dalle duecentesche Cantigas de Santa Maria di Alfonso X "el Sabio", brani tratti dal Libre Vermell de Monserrat, dai Carmina Burana (Vite perdite, in traduzione Sepe "Vite jettate", Vinum bonum, Tempus transit gelidum), cammei anonimi del Trecento come La Manfredina e La Rotta, più, a conclusione, un paio di esilaranti esempi in cortocircuito con il Vivimus e il Norvegiae Lignum rispettivamente cantati e suonati rimodulando in latino e in stile antico la celeberrima "Staying alive" dei Bee Gees e la "Norwegian wood" dei Beatles. A garantire ad ogni tappa in ascolto le tinte e l'esatta cifra del repertorio medievale, l'impeccabile Ensemble Micrologus, forte della particolarmente versatile Patrizia Bovi divisa fra voce, arpa gotica e buccina accanto al solidissimo Goffredo Degli Esposti al flauto traverso e doppio, allo zufolo e al tamburo, alla cornamusa, all'electronic bagpipe e alla cennamella, quindi con il bravo Gabriele Russo (nickelharpa, viella, cornamusa e buccina), Peppe Frana al liuto arabo (oud), i meravigliosi Simone (canto, citola) ed Enea Sorini (canto, salterio a percussione, tamburello, darbukka, bendir, riqq), interpreti questi ultimi due che Daniele Sepe con le sue sapide battute ha fatto direttamente scendere, rispettivamente, dal 1300 e dai gargoyles di Notre-Dame. A fronte e dall'altro capo, del secolo Ventunesimo, c'era dunque la Rote Jazz Fraktion, band guidata dal grande Sepe al sax e ai flauti con la novità della singolare voce della giovanissima Emilia Zamuner, figlia d'arte già apprezzata nell'estate 2016 all'Arena Flegrea con l'opening act per il concerto di Diana Krall e interprete, nell'occasione, distintasi per un medium canoro dall'intonazione adamantina quanto per una duttilità mimetica al limite della perfezione strumentale. E, al loro fianco, il valente Alessandro Morlando alle chitarre, l'ottimo Tommy De Paola al pianoforte e alle tastiere, il bravo Davide Afzal al basso e l'eccellente Paolo Forlini alla batteria.
Pertanto, due poli d'interpreti distanti secoli, eppure, integrati a meraviglia nelle intenzioni dello stile e del gusto musicale quanto, sul piano tecnico, sempre a piombo e in osmosi nel calibrare a incastro i colori, i piani ritmici e dinamici, le più varie incursioni armoniche e le originali invenzioni melodiche. Ed è forse nella vertigine del viaggio oltre il tempo, nella trasformazione ben oltre il perimetro di genere dei singoli brani, che si coglie la vera scintilla della "Kronomakia", più che battaglia un fondamentale sguardo alle radici e al passato per arrivare ben saldi fin verso il futuro: così come ridendo, scherzando, divertendoci e fondendosi con arte audace e sottile ci hanno insegnato, per una sera, tutti gli artisti sul palco. Per poi chiudere, entro il canone in dissolvenza, con un arabesco intenso quanto sublime al sax di un Capitano speciale, per estro e sensibilità.
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