È sorprendente come la qualità delle proposte e l'impegno virtuosistico dei nuovi talenti del pianismo italiano, in special modo del Sud, stiano procedendo non solo a grandi passi ma addirittura, e dunque con maggior lode, in misura inversamente proporzionale alle crescenti spine del contesto. Vale a dire, ostacoli e asperità sotto gli occhi e le orecchie di tutti, sia in termini di un sostegno ministeriale che poco aiuta il sistema di formazione, produzione e circuitazione, sia per un pubblico in impressionante contrazione quanto sempre più irriverente fra commenti a voce alta, rumori di ogni genere (buste non si sa poi contenenti cosa, scartocciamenti ad libitum di caramelle, tosse, starnuti, rantoli, più i puntuali trilli di cellulare o le mini sveglie da pillola), oltre al brusco ingresso nei palchi e persino in sala (pensiamo al San Carlo ma anche ai tacchi delle mascherine), a musica iniziata da un pezzo. Il tutto, senza il minimo rispetto per la sempre più funambolica concentrazione dell'interprete.
Ciò premesso, si segnala all'attenzione soprattutto di chi non c'era il fenomenale pianismo - per concentrazione appunto ma, innanzitutto, per una tecnica di fuoco unita a una grande sapienza timbrico-espressiva - del pluripremiato Leonardo Colafelice (nelle foto), giovane artista pugliese conterraneo del nostro grande Mercadante e dunque di Altamura, formatosi con Pasquale Iannone e protagonista di un virtuosissimo recital con originalità, intelligenza e pieno successo costruito intrecciando i fili tematici dell'addio e quelli della danza, l'altra sera, per l'Associazione Alessandro Scarlatti al Teatro Sannazaro. Sin dall'apertura, con la visione iperclassica, limpida, scattante ma al contempo non meno cantabile della Sonata in mi bemolle maggiore op. 81a “Les adieux” di Beethoven, si è compreso quanto il giovane interprete possa vantare a soli ventidue anni già una propria, unica e nuova cifra interpretativa, ferrea nella memoria e affilatissima nel controllo fra rilascio e tensione muscolare, pronta a tener testa a qualunque velocità o furia tecnica ma, cosa più rara, parimenti attenta a non trascurare il senso ritmico, lo stile e l'effetto del colore, persino nel quadruplo forte, al pari degli indirizzi di ogni curva dinamico-espressiva. A provarlo, su qualunque altro brano, la versione pianistica di Michail Pletnëv - bellissima quanto al limite dell'ineseguibile - elaborata nell'anno 1978 sulla Suite dallo Schiaccianoci di Čajkovskij: un vortice impressionante che attira sui due pentagrammi l'intero arsenale delle risorse pianistiche per una timbrica e una tavolozza armonica proprie di una grande orchestra sinfonica, da far uscire con le sole due mani correndo, saltando e facendo miracoli lungo l'intera tastiera (sotto, nell'esecuzione in video su YouTube al prestigioso Concorso Internazionale Cleveland).
Sette i quadri coreutici fra la celebre Marcia posta ad Ouverture e le successive pagine caratteristiche quali la dolce Danza della Fata dei confetti, la sapida Tarantella scolpita nello scarto fra le due mani in controtempo, il tenero arpeggiato cantabile dell'Intermezzo, il sostanzioso staccato della Danza russa, l'acuminata Danza cinese (unico punto meno lucido) per poi chiudere con il meraviglioso Andante maestoso del Grand Pas de deux finale riproducendo l'esatta tornitura del canto dei violoncelli sull'accompagnamento ondivago dell'arpa: in 31 pagine, raffiche e agglomerati di suoni, scale, arpeggi, salti, incroci superiori e inferiori, ottave spezzate e sciolte, intervalli e accordi di ogni misura e specie, ritmi divaricati e accenti, vibranti note di canto fra la sovrapposizione di piani sonori e funzioni ritmico-armoniche differenti, con quel culmine d'incanto nel movimento conclusivo che assomma in sé arpeggi, sestine, scale per seste e quinte, ascendendo con tinte parossistiche fra vertigini irregolari da tre a venti note.
A seguire, l'oasi nitida e raffinata della Suite bergamasque di Debussy, ritagliata bilanciando con stile sempre assai sensibile le sonorità novecentesche - per nulla banale, infatti, il suo Clair de lune - con il Settecento clavicembalistico francese alla Rameau, per poi tornare alle tinte calde del balletto russo ma ulteriormente spingendone in avanti, ad altissima velocità, la tempra e il linguaggio con i difficili Trois mouvements de Petruška di Stravinskij, esempio fra i più alti del virtuosismo pianistico moderno. Tanti gli applausi al termine e due bis con uno Schumann (Romanza op. 28 n. 2) rivelatosi altro autore a lui particolarmente congeniale.
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