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  • Paola De Simone

«Avrà la luce e i colori di Napoli, con quel suo mare trasparente che si confonde nel cielo e a specchio dinanzi alla presa di coscienza di un'innocenza e di un gioco per sempre ormai perduti: fra uomini, donne e il loro diverso modo di amare. Fra lo scambio, il confronto, la scelta e il perdono entro un'opera fatta di elementi, di sentimenti veri quanto di purezza impalpabile». È il Così fan tutte di Mozart secondo Chiara Muti, figlia d'arte e regista di rara intelligenza scelta per la nuova produzione, ieri mattina presente al San Carlo al fianco del sovrintendente della Wiener Staatsoper, Dominique Meyer, del vertice del Lirico napoletano, Rosanna Purchia con il direttore artistico Paolo Pinamonti, e della scenografa Leila Fleita, per illustrare l'ultimo tassello della Trilogia Da Ponte-Mozart (prima rappresentazione a Vienna nel 1790 e ambientazione sul Golfo di Napoli) che andrà a inaugurare la stagione sancarliana del prossimo anno, quindi a seguire in locandina sul palcoscenico viennese, chiudendo l'edizione 2018 di “Napoli Città Lirica” con targa Regione Campania. E dunque, in parallelo, andando a siglare la prestigiosissima liaison con il tempio della lirica viennese (unici precedenti, le "Nozze" mozartiane firmate dal mitico Reinhardt nel 1959 al Teatro di Corte per il II Autunno Musicale Napoletano e il più recente Alles Walzer nel 2003 dell'allora direttore del polo coreutico viennese Renato Zanella) un'inedita coproduzione internazionale affidata all'aurea bacchetta di Riccardo Muti (In apertura: Chiara Muti nella foto di Ida Sumiyo, il maestro Riccardo Muti; sotto, da destra, nel palco reale del Teatro San Carlo: Dominique Meyer, Rosanna Purchia, Chiara Muti, Paolo Pinamonti, Leila Fteita; a seguire, l'interno della Wienr Staatsoper) .

«Una nuova coproduzione - aggiunge entusiasta e commossa la sovrintendente Purchia - che intende approfondire un gemellaggio culturale tra Napoli e Vienna, capitali della musica nell’Europa del Settecento, storicamente unite, ad esempio, dal nume tutelare di Giovanni Paisiello, ammiratissimo dallo stesso Mozart e artista che influenzò il gusto della vivace vita teatrale ai tempi del regno di Giuseppe II d’Asburgo. Il primo passo di questa rinnovata relazione tra le due città e tra i due teatri sarà l’ultimo capolavoro della trilogia del genio di Salisburgo, nata dalla collaborazione con Lorenzo Da Ponte, Così fan tutte, che il compositore volle ambientare a Napoli, città dove soggiornò nel 1770 e dove ascoltò opere di Jommelli, Cafaro e de Majo». Parimenti soddisfatto il governatore Vincenzo De Luca che, prima dell'incontro stampa, ha voluto fortemente ricevere, al Mav di Ercolano, i sovrintendenti Meyer e Purchia dicendosi «molto soddisfatto di una coproduzione pronta ad unire due capitali della cultura per troppo tempo “disconnesse”», quindi assicurando di seguire il progetto in tutte le tappe in attesa dell’inaugurazione della stagione 2018-19.

Ancora in progettazione l'impianto dell'opera che si avvarrà delle scene di Leila Fteita e dei costumi di Alessandro lai. Ma, come già ampiamente dimostrato nella raffinatissima quanto efficace rilettura delle Nozze di Figaro che hanno segnato lo scorso anno l'esordio a Napoli di Chiara Muti regista, il suo Così fan tutte eviterà la canonica visione storico-realistica al pari degli inutili stravolgimenti contemporanei. «Nessuna visione presepiale per intenderci - spiega subito la Muti che da sempre conosce e ben sa citare l'opera a memoria - ma anche nessuna intenzione di reinterpretare, ossia di rimaneggiare l'originale. Il che non significa - ribadisce additando l'esempio di Strehler, "che non invecchia mai" - fare un'operazione superata. Cos'è dunque la modernità registica? È riuscire a mio avviso - risponde - a dare innanzitutto alle nuove generazioni il messaggio più autentico che è nel testo e nella partitura. Si vuole osare? Allora, in quel caso, anche la spinta più estrema deve portare a convincere, non puntando al mero effetto del sorprendente e non mandando all'aria logica e struttura».

Quanto alla sua idea: «È un gioco di sentimenti e prospettive simmetriche: intorno a due coppie in cui l'uomo - sottolinea - è sull'oggetto, la donna è sull'idea dell'oggetto. Ne vediamo abbandonare il mondo dell'innocenza, amando diversamente, secondo quegli abbinamenti invertiti che confermano quanto gli uomini e le donne si perdano in maniera differente. E diciamo pure che nell'inversione, così come ben ci svela l'incastro delle rispettive linee musicali, si va a ritrovare la combinazione migliore».

E poi, nel suo Così fan tutte, c'è tanta Napoli: «Come ha sempre detto mio padre, "anche se non l'hai vissuta, ce l'hai nel sangue". Non è un caso che mia nonna, fra le doglie, è sempre corsa in viaggio qui a partorire sostenendo "Se un giorno dirai 'sono nato a Napoli' vedrai che la gente ti rispetta". Una Napoli che qui - prosegue la Muti - si ritrova al fianco di Mozart, l'altra mia grande passione. La città è già tutta nelle note, nella tessitura musicale, nelle trasparenze del cielo e del mare, nei riflessi della luce partenopea che sicuramente deve essere rimasta negli occhi del compositore salisburghese durante il suo viaggio nel 1770, così come raccontano le immagini scolpite nelle tante lettere scambiate con il padre Leopold: il Vesuvio che fuma assai, le carrozze illuminate dalle fiaccole in riva al molo al passaggio della Regina, la bellezza del sole. Da qui sentiamo quanta Napoli gli sia rimasta nel cuore, tanta da averla racchiusa nella musica e nell'ambientazione di quest'opera, dopo vent'anni. Un'opera che, secondo me, è una grande prova d'amore di Mozart per una Napoli nella quale era venuto ad ascoltare il canto della più celebre Scuola. E città dalla quale avrebbe tanto voluto strappare, senza riuscirvi essendo all'epoca solo un giovanissimo intrattenitore, un contratto per il San Carlo» nel quale, ricordiamo, si era recato a vedere l'Armida abbandonata del celebre Jommelli lasciando sempre nelle lettere singolari commenti sulla musica, sul re Ferdinando IV, sulla regina Maria Carolina, sulla cantante in palcoscenico de Amicis.

Restando poi sul tema padri e figli, scottante in giorni in cui i genitori stanno oltrepassando i confini della decenza pur di assicurarli nelle graduatorie di un lavoro sicuro... «È un problema che oggi non mi pongo neanche più - chiarisce la regista ben comprendendo l'etica della domanda - essendo alla mia sesta opera e avendo sin qui ricevuto grandi consensi sia di pubblico che di critica. Il mio percorso non è quello di un figlio che si è improvvisato, ma ben costruito in tanti anni di scuola di teatro. È la seconda opera che facciamo insieme ed è il mio primo Mozart con lui, per di più per un connubio Napoli-Vienna di cui mio padre è senz'altro l'interprete-emblema. Diciamo che, già la sola richiesta di lavorare insieme su un simile progetto e su un'opera che ha accompagnato tutta la mia infanzia dopo averne visto una sua meravigliosa esecuzione nei primi anni Ottanta a Salisburgo, è il segno che non c'era più nulla da giustificare. Anzi, è un grande onore e un mio sogno che si realizza, nel segno della profonda stima e della consapevolezza. Spero solo di riuscire a restituirgli quello che si aspetta da me».

Infine l'amore: riprendendo e leggermente manipolando i versi dal Demetrio metastasiano, don Alfonso lancia la sua sfida sulla "fede delle femine" che è "come l'araba fenice"... «La risposta? Ce la dà proprio lui, nel finale a doppia lama in cui il concreto filoso - cita al termine Chiara Muti a memoria - conclude "Ebben pigliatele com'elle son [...]; in ogni cosa ci vuol filosofia [...] frattanto un'ottava ascoltate: felicissimi voi se l'imparate. Tutti accusan le donne ed io le scuso se mille volte al dì cangiano amore; altri un vizio lo chiama ed altri un uso ed a me par necessità del core. L'amante che si trova alfin deluso, non condanni l'altrui, ma il proprio errore giacché giovani, vecchie, e belle, e brutte, ripetete con me: Così fan tutte!».

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