«È un grande piacere essere in Napoli, per la prima volta» confessa sorridente verso il pubblico con il suo simpatico italiano incerto e sotto un'immensa pioggia di applausi, ampiamente meritati, il pianista macedone Simon Trpčeski al termine del suo folgorante quanto raffinato "Rach 3". Ossia, il grande Concerto n. 3 in re minore op. 30 di Rachmaninov cavalcato dal film Shine, scolpito nella discografica storica dai titani Horowitz, Gieseking e dallo stesso compositore nel primo Novecento, quindi l'altra sera in ascolto con il primo protagonista ospite in locandina secondo un'originale visione andata a siglare il suo trionfale esordio partenopeo. Ad offrirne l'occasione, in data unica, la luminosa inaugurazione della Stagione di Concerti del Teatro San Carlo dedicata a due capolavori della moderna letteratura musicale russa, a cento anni esatti dalla Rivoluzione d'ottobre e affidata al giovane quanto notevolissimo direttore musicale Juraj Valčuha alla testa dell'Orchestra del Lirico e, a seguire, anche del Coro preparato da Marco Faelli per dar forma, epos e suono alla Cantata Aleksandr Nevskij per mezzosoprano, coro e orchestra op. 78 di Prokof’ev (sopra, nelle foto di Luciano Romano). Dunque, un gran bel programma e interpreti di vaglia ma, soprattutto, esiti di rara sintesi - sia alla tastiera che dal podio - fra il magistero della tecnica e la bellezza dello stile.
Si diceva, una visione singolare, fra le molteplici ad oggi in circolazione: a definirne la cifra, la tornitura "al platino" del primo tema, cesellato e dolcemente cantato da Trpčeski articolandone con delicato portamento il profilo disegnato per gradi vicini, entro un esatto equilibrio di semplicità e luce, di eleganza e respiro espressivo ripreso poi dall'orchestra mentre il solista s'inoltra verso la sezione in "più mosso". Uno scarto tecnico-ritmico che il pianista macedone dalla brillante carriera internazionale non ha genericamente caricato di densa e roboante sostanza russa quanto, piuttosto, definito nel dettaglio con nitore esemplare mirando a un retaggio concertistico, si direbbe, di sintesi fra l'articolazione bachiana e lo slancio dell'op. 54 di Schumann, fra lo smalto brillante degli esempi di Saint-Saëns e la fluida modernità dei due lavori di Ravel. Un pianismo formidabile, asciutto e dalla sensibilità intelligente, saldo e mai ridondante nell'attraversare i passaggi tecnicamente di fuoco, così come sempre molto attento nel dare senso e tensione ad ogni segno, accento, colore e tracciato dinamico sia nei tempi esterni che nel toccante Intermezzo. Il tutto sfoderando trilli puri come il cristallo, incroci e ritmi dallo scatto veloce, ribattuti perfetti, vertiginose raffiche di accordi e di ottave, vivide biscrome in "scherzando", arpeggi d'incanto e motto finale a bruciapelo in sintonia sorprendente con podio e quindi orchestra.
Al termine del suo cimento, un trionfo di consensi e due bis: ancora Rachmaninov con Vocalise per un canto struggente originalmente condiviso con il primo violoncello dell'Orchestra del San Carlo - l'intenso Luca Signorini (nella foto sotto, ai ringraziamenti) - e in via ancor più singolare dedicato all'accordatore del Teatro, Thomas Goodman; in seconda battuta, il Valzer n. 19 in la minore, opera postuma, di Chopin.
Nella seconda metà della serata e con la partecipazione del mezzosoprano di origine georgiana Ketevan Kemoklidze, c'era dunque la Cantata tratta dalle musiche composte da Prokof'ev nel 1938 per il film di Sergej Ėjzenštejn sul leggendario eroe russo Aleksandr Nevskij (1220-1263), principe di Novgorod e di Vladimir, che in due celebri battaglie sconfisse in epoca medievale gli invasori svedesi e teutonici. Dalla prima, combattuta il 15 luglio 1240 sulle rive della Neva, ossia nei luoghi paludosi dove secoli dopo sarebbe sorta la meravigliosa Pietroburgo, trasse origine il soprannome di Nevskij. La popolarità dell'eroe, addirittura santificato, risulta tuttavia in gran parte legata alla clamorosa sconfitta inferta all'armata germanica che, nel 1242 presso il lago Čad, fu spinta nel punto in cui la lastra di ghiaccio era più sottile, dunque sprofondando nell'acqua gelata tirata giù dal peso delle ferree armature. E appunto La battaglia sul ghiaccio, con i suoi clangori sonori entro lo scontro effettivo nell'ampio esercito strumentale di temi, timbri, stili e tonalità, è il centro apicale di una partitura che racconta per grandi quadri gli eventi intorno al mitico condottiero. Dalle atmosfere lontane di una Russia sotto il giogo dei Mongoli per sola orchestra alla Canzone dell'eroe intonata dal Coro, così come meravigliosi capitoli corali sono I Crociati a Pskov dai ritmi barbarici e il possente canto d'incitazione Insorgi, popolo russo! accanto alla toccante e dolorosa intonazione affidata al mezzosoprano - ottima la Kemoklidze sia per tinta che tempra drammatica - per il Campo dei caduti. E fino al trionfale ingresso di Aleksandr Nevskij a Pskov che chiude in misura grandiosa e nell'unione delle masse artistiche la bellissima pagina sinfonico-corale diretta con gran polso, logica e bel gesto da Valčuha. Coro e Orchestra in buona forma, con notevole metallo sfoggiato dai tenori ed appropriata resa stilistica, nel complesso, di tutte le voci in campo. Sul fronte strumentale si lodano, infine, clarinetti, ottoni, percussioni e violoncelli.
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