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Paola De Simone

Una grande lezione di stile e di tecnica a fuoco, con piena quanto rara sinergia d’intenti, entro una sfida fra violino e pianoforte all’ascolto risultata mirabile tanto per le scelte metriche quanto per gli esatti equilibri sonori, per la salda lucidità delle architetture formali, l'intensità delle curve dinamiche e una raffinata sensibilità nelle rispettive gamme timbriche. Il tutto giocato allo specchio, fra il Classicismo di Mozart e l’ultimo Romanticismo di Brahms.

È quanto offerto con successo in occasione del primo dei dieci eventi proposti dal Conservatorio di Musica “Carlo Gesualdo da Venosa” di Potenza per la seconda tranche della locandina di Concerti, in corso in questi giorni, dal 21 settembre al 27 ottobre. Protagonisti sul palcoscenico dell'Auditorium, due docenti dell’Istituzione (nella foto e nel video): il violinista napoletano Alberto Maria Ruta, classe 1972, fondatore e leader del Quartetto Savinio, fra gli eredi di scuola partenopea del Maestro Leone quindi perfezionatosi con i maggiori archetti internazionali, mozartiano puro e, al "Gesualdo da Venosa", in cattedra per la classe di Musica da camera; al pianoforte, Dario Bonuccelli, genovese classe 1985 ma già interprete di straordinaria esperienza e versatilità (si è diplomato anche in Composizione, ha conseguito la laurea in Lettere, la laurea specialistica e si è perfezionato in musica da camera con Bruno Canino alla Scuola di Fiesole), vincitore di quarantadue primi premi, di cui venticinque assoluti, centinaia di concerti alle spalle e non a caso accompagnatore al pianoforte ricercatissimo (ha collaborato con il 54° Premio Paganini di Genova), docente di Pianoforte principale. In realtà un duo fin qui inedito, dunque a maggior ragione dall'intesa sorprendente, pronto a dar forma ad un programma sostanzialmente bipartito ma profondamente articolato, diviso fra il Mozart delle Sonate K. 454, K. 305 e il Brahms dell’op. 78.

Al decennio viennese (1781-1791) - ultimo della breve esistenza dell’autore salisburghese - e ad una costruzione formale insolitamente ampia riconduceva l’opera scelta in apertura, la Sonata in Si bemolle maggiore composta nel 1784 per la prima accademia pubblica nella capitale austriaca di una giovane e talentuosissima violinista italiana, la mantovana Regina Strinasacchi, eseguita in presenza dell'imperatore Giuseppe II con lo stesso Mozart che improvvisava a memoria al pianoforte (non avendo ancora terminato la propria parte) dopo aver consegnato la musica per la violinista appena la sera prima dell’evento ospitato al Teatro di Porta Carinzia. Una formula atipica di cui è esempio eloquente già il Largo introduttivo, argutamente ridisegnato da Ruta e Bonuccelli con una texture da Romanza beethoveniana pur senza mai appannare la lucentezza dello smalto tipicamente mozartiano così ben rilevato nel dialogo del successivo Allegro attraverso un perfetto taglio ritmico. Interessante anche il bell’equilibrio ricercato dagli esecutori tra l’afflato meditativo e l’esatta scansione motoria dell’Andante, a sua volta in efficace contrasto con il luminoso virtuosismo del Rondò finale pensato per la virtuosa Strinasacchi.

A seguire ancora Mozart, ma in altra dimensione di forma, stile e suono con la Sonata in La maggiore K. 305, scritta nel 1778 entro il gruppo delle sei Sonate "pour clavecin ou forte-piano avec accompagnement d'un violon". Solo due movimenti, dal pianismo più galante ma dalla singolare intesa paritetica per il tandem di strumenti in campo, in apertura lanciati attraverso una gioiosa corsa concertante, quindi in un delizioso florilegio di sei variazioni nell’Andante grazioso conclusivo.

Opposta e poeticissima tempra, infine, Alberto Maria Ruta e Dario Bonuccelli hanno sfoderato con la Prima Sonata di Johannes Brahms, scritta un secolo dopo e dallo stesso compositore amburghese ricollegata all’atmosfera di una tranquilla ora di pioggia serale, tanto da averla ribattezzata Regensonate anche per lo spunto motivico nostalgico mutuato da un proprio lavoro precedente (il Regenlied, Canzone della pioggia) per tenore. A staccare il bellissimo tema è lo strumento ad arco e, come giustamente colto e teso fin verso il finale da entrambi gli interpreti, spunti del Regenlied s'incontrano lungo l’intera partitura, sino a toccarne l’elaborazione più compiuta nell’Allegro molto moderato posto a sigillo di un’alta architettura non esente dal gusto per la variazione e l’elaborazione ciclica tipicamente brahmsiano. Speciale anche la loro rilettura dell’Andante centrale, densa e toccante così come suggerisce l’ispirazione – stando alla lettera inviata da Brahms nel febbraio 1879 all’adorata amica Clara Wieck Schumann – dovuta al suo incontro a Palermo durante l’estate precedente con Felix Schumann, violinista e giovane figlio di Robert e Clara inviato appunto nel Sud dell’Italia nella vana speranza di una guarigione.

Al termine meritatissimi applausi e un bis, a cornice, riprendendo Mozart con il delizioso Rondò dalla Sonata in Do maggiore K. 296.

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