Un Beethoven assoluto, energico quanto purissimo e coeso nel suo Classicismo marmoreo, dall'originale architettura teatrale e dunque, nell'occasione, riletto esaltandone le radici lessicali prettamente sinfoniche in unione agli alti ideali etici insiti fra testo e partitura: lucido, pulsante, esatto nel respiro ritmico quanto nel calibro dei rilievi concertanti, nei tracciati dinamici, nel tiro di un colore stilisticamente ben a fuoco tra le voci degli ottimi solisti, del Coro soprattutto nella formazione mista del finale, nel timbro puro del singolo strumento e di sezione. A restituire sabato sera (con replica domani, lunedì 25, alle ore 20) il Fidelio beethoveniano in misura sorprendente, e a maggior ragione apprezzabile data la concentrazione totale sul dato sonoro attraverso l'esecuzione in forma di concerto, più sintesi inedite recitate dall'attrice Sonia Bergamasco, è stato il direttore d'orchestra indiano oggi ottantunenne Zubin Mehta, alla testa della "sua" Orchestra (di cui è vertice onorario) più Coro (preparato da Marco Faelli) del Teatro San Carlo di Napoli (in apertura nelle foto di Luciano Romano).
Oltre due ore dirette a memoria senza perdere di vista il filo della drammaturgia sonora né un solo attacco, spingendo in apertura i violini primi entro il giusto regime metrico, cantando sottovoce assieme ai personaggi protagonisti, tirando fuori temi e dialoghi con risultati notevoli in special modo dalla famiglia dei legni, sezione di cui si premia ancora una volta su tutti una luminosissima punta di diamante quale il primo oboe Hernan Garreffa, nonché lo squillo di trombe e tromboni con l'autentico fuoriclasse Fabrizio Fabrizi, alla prima tromba. Buona la resa anche di viole e violoncelli, per lo più efficace il timpanista Matteo Modolo mentre défaillances metronomiche si riscontravano nel pur intonato impegno dei corni. Ancor più sorprendente poi, il grande Mehta, nell'impeccabile tenuta delle redini persino subito dopo la sua brutta caduta al proscenio avvenuta inciampando fra cavi e microfoni, messì lì per la registrazione dell'evento, mentre riguadagnava il podio tra la fila dei primi per attaccare il secondo atto (nella foto sotto).
Qualche secondo di suspence per il pubblico e per gli orchestrali raccoltisi rapidamente intorno a lui per aiutarlo, un grande spavento ma subito il Maestro si è rialzato salendo con elegante nonchalance in pedana, giusto un'occhiata per controllare che la gamba destra dei pantaloni fosse in ordine e via, con professionalità estrema il repentino attacco della seconda parte, come se nulla fosse accaduto.
Tra l'altro, opera singolare e dalla gestazione complessa, il Fidelio, unico lavoro teatrale composto da Beethoven esaltando l'amore coniugale e la lealtà, il coraggio e il sacrificio entro il solco del Singspiel nazionale ma puntando verso l'orizzonte a lieto fine tipico della pièce à sauvetage. Molteplici infatti le stesure (1803-1805, 1805-1806, 1814), circa duecentocinquanta le pagine di abbozzi e quattro le differenti Ouvertures (Leonora n. 1, 2 3 e Fidelio) rimaste, in via autonoma, costantemente in repertorio. Particolarmente denso di tensione ed emozioni il testo di Joseph Sonnleithner, rivisto da Stephan von Breuning e poi da Georg Friedrich Treitschke, tratto dal libretto originale francese a firma del magistrato Jean Nicholas Boully, pubblico accusatore a Tours durante il Terrore e, pertanto, profondo conoscitore dell'episodio di cronaca realmente avvenuto e utilizzato nella fonte della Léonore ou l'amour conjugale. Il tutto in bilico fra la tradizione teatrale tedesca con dialoghi in parlato (qui rimodulati negli interventi drammatici scolpiti con suggestiva voce alonata ma vibrata con eccessiva carica tragica dalla Bergamasco) e il filone avventuroso che nell'ultimo Settecento avrebbe trasformato l'opéra-comique in opera "a salvataggio" con relative, spericolate peripezie più lieto fine in extremis così come dettato dai tempi della Rivoluzione francese, e fino a sfociare in un inno di libertà e giustizia grazie al coraggioso eroismo di Leonore/Fidelio.
Ottime tutte le voci del cast: il soprano Anja Kampe per una Leonore di straordinaria tempra canora ed espressiva, il tenore di bel volume Peter Seiffert per un Florestan di viva intensità, Samuel Youn per il ministro Don Fernando, i bravi bassi Evgeny Nikitin (bass-baritone) e Wilhelm Schwinghammer rispettivamente per l'aguzzino Don Pizarro e il carceriere Rocco con relativa figlia (Marzelline), affidata al soprano di tinta più luminosa Barbara Bargnesi, quindi il portiere del tenore Paul Schweinester (Jaquino). Al termine, grandi applausi per tutti e in special modo per il Maestro Mehta che, nel risalire per i saluti sul podio, ha simpaticamente vacillato ironizzando sulla sua rischiosa caduta.
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