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  • Paola De Simone

Lent et mystérieux, Animé, Très animé, Un peu lent, Lent, secondo quanto prescritto in partitura. E, attraversando le cinque articolazioni interne disegnate ad arte da un compositore dell'ultimo Ottocento di Francia dalla sensibilità raffinata, formatosi con Massenet, César Franck e non a caso maestro delle nuances quanto di un nobile lirismo scolpito lungo un mirabile tracciato artistico bruscamente spezzato all'età di 44 anni per un banale incidente di bicicletta, c'è un'intera gamma di tinte, accenti, ripiegamenti introspettivi e dinamiche espressive sollecitate puntualmente in pentagramma pungolandone l'esecuzione con arco, espressione, in "flottato", pizzicato, con o senza sordina, stringendo, allargando, con andamento tranquillo, fino ai trilli in dissolvenza sublimati nel crepuscolare ma acuminato triplo piano del finale. Vale a dire che il Poème per violino e orchestra, op. 25 di Ernest Chausson, pagina capitale della letteratura tardo-romantica per violino solista e compagine strumentale, inizialmente quanto significativamente intitolata “Le Chant de l’amour triomphant” traendo spunto dall’omonimo racconto di Turgenev, quindi divenendo “Poème symphonique” e poi semplicemente “Poème” con ispirazione, dedica e prima esecuzione assegnata - si badi - a uno dei massimi archetti del tempo, Eugène Ysaÿe, è sì una meditazione libera. Ma intensa, e da solisti veri: cangiante, mista di canto e recitazione, di luce e di ombra, di slancio e di tempra, non uno studio di Ševčík da riprodurre senz'anima e con tanto di parte sul leggìo, senza tensione nell'arco né nel vibrato, a mezzo volume - difatti completamente ingoiato nei Tutti orchestrali - e con suoni non curati attraverso un periodare che non si spinge a colpi di schiena o di spalla, ma con l'arte dell'arco e una buona cultura musicale. L'ultima volta, al San Carlo, lo ascoltammo nel novembre 1991 con la violinista Kathrin Rabus; sabato sera, in data unica, a eseguirlo è stata Cecilia Laca, altro violino di spalla - oltre Gabriele Pieranunzi - dell'Orchestra della Fondazione lirica napoletana (sopra, nella foto di Luciano Romano). Violinista sulla cui preparazione accademica non si discute, ma ci sia lecito esprimere perplessità sulla scelta di brani che, in base a quanto ascoltato, non rendono giustizia ad una propensione a nostro avviso di matrice più paganiniana che duttilmente affine alla sensualità della musica francese tra Otto e Novecento. Maggiore il suo agio nella successiva, brillante Tzigane di Ravel, infatti suonata a memoria, ma parimenti sterilizzandone lo slancio luminoso, il piglio magiaro e lo smalto raveliano che avrebbe dovuto scattar fuori ben oltre un funambolismo tecnico incollato paratatticamente sulle corde e non proiettato in sala, pensiamo già solo e chinando doverosamente il capo al recente Pinchas Zukerman, con agile disinvoltura, cavate serie, consapevolezza stilistica e personalità da spadaccino. Al termine della prova con solista, niente bis ma applausi generosi sia dal pubblico che da buona parte dei colleghi in Orchestra più, agli atti e in via d'eccezione, la registrazione dal vivo dell'evento.

In effetti non dissimile, dal podio, l'approccio al bel repertorio francese predisposto in un programma bipartito fra Chausson e Ravel, secondo quanto messo a segno dal direttore Eduard Zilberkant (nelle foto). Tratto comune alle diverse partiture in disamina, l'attenzione per un'agogica puntata sulla deflagrazione di climax sonori in assenza della cura dello stile e dei percorsi in tiro per arrivare a darvi forma. È così che in Alborada del gracioso, quarto capitolo della raccolta pianistica Miroirs in non facile rielaborazione per orchestra, le prime battute appaiono prive di nerbo per poi caricare sull'Orchestra direttamente un fortissimo sgargiante, pronto a restituire la Spagna di un Turina o di un Bacarisse ma non certo il filtro delle filigrane eleganti e le spire seducenti impresse e senz'altro volute dal francese Ravel. Analogamente nei brani con il violino solista nei quali, tuttavia, non sono mancati interventi stilisticamente centrati grazie alla peculiare qualità dei legni, delle due arpe e degli ottoni tutti; quindi nella Rapsodie espagnole, appunto giocata fra picchi dinamici e una curiosa leggerezza alla Paul Whiteman. Infine una pagina rara del parigino Ernest Chausson, la scena finale da Le Roi Arthus, con un baritono (Gary Griffiths) dalla vocazione tenorile, buona prestazione del Coro preparato da Marco Faelli più i rilievi delle cinque voci femminili soliste (Olga Cafiero, Angela Gaetana Giannotti, Giuseppina Perna, Daniela Salvo e Leslie Visco) apprezzati al pari della salda tenuta dell'Orchestra.

E con il prossimo appuntamento in Stagione, domenica 4 giugno in data unica alle ore 18, si vira oltre la classica, con tag jazz fusion, ospitando Al Di Meola e la sua Band.

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