Un Barocco strumentale dalla magia folgorante, ascoltato a Palazzo Zevallos di Stigliano e in collaborazione con Gallerie d'Italia grazie alla Fondazione Pietà de' Turchini in due diversi capitoli e a pochi giorni di distanza nel carnet di un'unica stagione, con pari targa italiana, con vivissimo, meritato successo e, diciamo pure, con esiti da sindrome di Firenze o di Stendhal per la sublime bellezza dello stile, il pregio dei tanti dettagli virtuosi e la perfezione assoluta dell'insieme.
Un doppio centro, in entrambi i casi e alla luce di una valutazione che va dalla disamina di ogni singolo suono alla visione armonica nel suo complesso, di qualità costante e sempre altissima.
In prima battuta, c'era Il Giardino Armonico diretto da Giovanni Antonini (nella prima e terza foto), tra gli ensemble di punta del panorama internazionale sia in termini di rigore esecutivo su strumenti originali, sia per il valore delle interpretazioni di volta in volta ritagliate. Il tracciato proposto in ascolto dal gruppo, nell'occasione, era polarizzato intorno alla figura di Vivaldi e alla sua Venezia, dunque con un cuore vivaldiano diviso fra il Concerto in do minore per violoncello archi e continuo affidato al protagonismo di Marcello Scandelli, violoncellista meraviglioso per la sua speciale intensità timbrico-espressiva, il Concerto "La notte" per flauto e il Concerto in Do maggiore RV 443 per flautino più archi e continuo con il fondatore Antonini nel ruolo di un solista in superbo volo oltre il pentagramma ed oltre la stessa fisicità dello strumento per distillare un'infinità di suoni purissimi, di accenti sorprendenti, di diminuzioni e fioriture funamboliche ma, anche, di respiri e silenzi mozzafiato. Quindi, intorno, le pagine strumentali del primo Seicento di Giovanni Gabrieli e del secondo Seicento di Giovanni Legrenzi, di Giovanni Bassano, Dario Castello e fino ai pienamente settecenteschi Pietro Nardini e Baldassarre Galuppi, modulando in varia soluzione le peculiarità di un organico dalla serrata intesa fra tutti i parametri in gioco e del quale corre l'obbligo citare, almeno, l'ottimo primo violino Stefano Barneschi, musicista di bel suono e di non comune temperamento. Al termine, applausi intensi e bis sullo sfondo in video dei dettagli preziosi di una tela caravaggesca dedicata ai Musici presente nel museo della galleria e, a liaison, alle spalle anche del successivo concerto scelto in chiusura del ciclo “Bach to Naples”. Ospite, l'Ensemble di non minore calibro e prestigio La Risonanza di Fabio Bonizzoni (nella seconda, quarta e quinta foto) che, martedì scorso, ha restituito in formula esemplare alcuni dei più alti capolavori strumentali di Bach, tra l'altro da tempo assenti dalle maggiori sale concertistiche partenopee. In programma, tre dei sei Concerti brandeburghesi e la Suite o Ouverture n. 2 in si minore.
Intanto in primo piano, iniziando con il Quinto brandeburghese, lo stile prezioso e l'agilità digitale dello stesso fondatore Bonizzoni al clavicembalo entro una raffica di note staccate con un impressionante equilibrio fra velocità, chiarezza, tornitura e intensità entro i tre tempi e sul tessuto sempre ben teso quanto definito delle voci di sostegno o concertanti con impiego magistrale, oltre che fondamentale data l'acustica ridondante, di un contrabbasso suonato veramente ad arte dal bravissimo Nicola Dal Maso. Del Sesto brandeburghese si premia in special modo la sezione del continuo mentre nel Terzo, posto in chiusura, svettava il violinista Carlo Lazzaroni. Al centro, poi, l'Ouverture n. 2: un miracolo di eleganza e sostanza, di caratterizzazione metrica e coreutica, di equilibri timbrici e di fitte rispondenze, con notevole impegno di Marco Brolli al flauto traverso - perfetto nella finale Badinerie - e, ovviamente, del mai fin troppo lodato Fabio Bonizzoni, applauditissimo con l'intero ensemble sia al termine del programma che dei due bis generosamente regalati al pubblico in overbooking.