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  • Paola De Simone

Un canto di luce purissima, crepuscolare e lancinante a un tempo, in volo fra le stanche immagini poetiche del sogno e di un'esistenza al tramonto così come narrato fra archetipi e simboli dai versi struggenti di Hermann Hesse e di Joseph von Eichendorff. Quei versi scelti da Richard Strauss all'indomani della Grande Guerra e nei giorni del riparo in Svizzera per i suoi Vier letzte Lieder, i suoi Quattro ultimi canti: un capolavoro assoluto, estremo, una voce dell'anima e fra le cose più belle donateci dal Novecento storico, oltre che nel mero ambito della letteratura per soprano e orchestra. A riproporli con viva tempra e con innegabile rigore, ma senza quella tensione di luce paragonabile alle suggestioni di un effetto morgana lungo l'orizzonte della dissoluzione di parametri e forme, il recente sinfonico del Teatro San Carlo che ne vedeva affidata l'interpretazione al soprano Eleonora Buratto, voce lirica e intensa fra le più interessanti nell'attuale circuito lirico, e all'Orchestra della Fondazione diretta dal non meno valoroso Michele Mariotti (nelle foto), entrambi però a nostro avviso su tale titolo fuori repertorio.

La voce della Buratto, per quanto di ottima sostanza, tecnicamente salda e attenta alla coerenza del testo poetico-musicale, faceva infatti fatica a viaggiare e soprattutto ad abbandonarsi oltre l'orchestra, mostrando una tinta brunita e pieno agio nei centri ma perdendo tessuto al grave e tendendo all'urlo anziché al sottile vibrato verso l'acuto. Dunque, stando agli esiti, evidentemente mirando a restituire forza più che profondità e brividi all'unione di parole e canto. D'altra parte, dal podio, l'idea analitica corrispondeva ad una razionalità analitica più incline al linguaggio brahmsiano che non a quello dai filati e klimtiani arabeschi di Richard Strauss. Così come ci sarebbe piaciuto sentire con un minimo di scavo e intensità in più il meraviglioso "solo" del primo violino - nell'occasione Gabriele Pieranunzi - nel terzo Lied, Beim Schlafengehen, punto fra i più alti dell'intera raccolta, e non solo.

Ben più efficace infatti, a seguire, il lavoro messo a punto con la Quarta Sinfonia di Gustav Mahler: un ampio e complesso ordito di tasselli eterogenei, analizzati, calibrati e saldati con perizia sapiente dal direttore Mariotti, ben disciplinando le diverse sezioni dell'Orchestra sancarliana, valorizzando la lucidità dei timbri, esaltandone la scansione metrico-ritmica e accentuando il gioco delle dinamiche soprattutto nei vertici toccati nei movimenti pari e, dunque, anche in quel finale dove Eleonora Buratto ha ritrovato e restituito la più autentica bellezza del suo canto.

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