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Paola De Simone

Tutto a memoria ma dal moderno respiro sinfonico e sostanzialmente sostenuto fra i pilastri esterni della melodia e del basso, più che cesellato nelle settecentesche articolazioni interne e dettagliato a briglie tese fra le diverse sezioni strumentali o fra i molteplici rilievi concertanti. È il Mozart secondo l'australiano Alexander Briger, direttore d’orchestra considerato uno specialista delle opere di Janáček, appunto di Mozart e della musica contemporanea in genere, con alle spalle direzioni importanti alla testa di compagini quali la London Symphony Orchestra, la London Philharmonic, la Philharmonia, la BBC Symphony Orchestra, la Israel Philharmonic, l’Orchestre de Paris, l’Orchestre Philharmonique de Radio France. E, dall'altra sera, direttore anche qui a Napoli salendo per la prima volta sul podio dell'Orchestra del Teatro San Carlo in occasione dello scorso sinfonico dedicato, fra Sette e Novecento, a Mozart e a Ravel. In programma, del primo autore, l'Ouverture dal Don Giovanni, il Concerto per pianoforte e orchestra K. 595 e la Sinfonia in La maggiore K. 201; del secondo, la Pavane pour une enfant défunte e il Menuet antique.

Nel complesso, uniforme l'Ouverture dal dramma giocoso centrale interno alla superba trilogia dapontiana mentre nel Concerto per pianoforte e orchestra lasciava in primo piano il solista in gran parte assolvendo al mero ruolo di accompagnamento, ossia con pallida tensione concertante e attacchi dagli spigoli non sempre a taglio o vivi. Meglio, se vogliamo, la Sinfonia K. 201 e, in special modo, l'Allegro finale, movimento maggiormente lavorato e dunque serrato sia nel ritmo che nelle dinamiche d'assieme. Sempre restando sul fronte del podio, altro il discorso per Ravel, ben più efficace sia negli ampi respiri melodici, nelle suggestioni timbriche quanto nell'equilibrio tra legni, ottoni, archi e arpa con vette raggiunte grazie ai talenti della compagine sancarliana, ossia ai clarinetti (Luca Sartori al primo e Stefano Bartoli al secondo), ai fagotti (pur non segnati nell'organico in coda al programma di sala ma con il sempre efficace Mauro Russo al primo) e all'arpa eccellente di Antonella Valenti.

Quindi l'ultimo Mozart del Concerto in Si bemolle maggiore K. 595 affidato al veneziano trentatreenne arrivato per la prima volta al Teatro San Carlo in sostituzione del previsto Piotr Anderszewski. Da un lato, un interprete di nuova generazione distintosi a partire dall'oro vinto nel 2009 al Concorso Pianistico di Leeds e dalla presenza in sale prestigiose (Musikverein di Vienna in primis) dove approda grazie al fascino sonoro esercitato all'epoca sui coniugi Maazel e in special modo sulla moglie dell'oggi scomparso Lorin (l’attrice Dietlinde Turban) che lo ascolta a Castleton, sede di un loro festival. Interprete dalle non comuni doti in termini di dolcezza e nitore del suono, pianisticamente al meglio nei passaggi dalla tecnica veloce ma vicina; dall'altra, una forma e soprattutto un numero d'opera al vertice entro lo straordinario rapporto d'invenzione fra l'autore e il genere che non può e non deve ignorare quanto maturato fino a quel punto stilistico e a quel fatidico anno 1791, almeno in termini di approfondimento e tensione considerando se non altro lo straordinario itinerario cameristico, teatrale e sinfonico sin lì compiuto. La scelta interpretativa del caldamente applaudito Alessandro Taverna, sintonizzata invece per tinta e intenzioni lungo il canale timbrico-espressivo della Piccola Sonata in Do maggiore n. 15, andava in pratica a cercare e ad esaltare in tutti e tre i movimenti un unico ideale di semplicità e purezza estreme, del tocco e dunque del suono, finanche in rarefazione nel Larghetto centrale. Ma niente di più. Maggiore verve e sostanza, invece, nel repertorio moderno offerto al pubblico fuori programma con il primo bis, il Presto possibile in stile "rag" del Play piano play n. 6 composto dal versatile pianista austriaco classe 1930 (scomparso nel 2000) Friedrich Gulda, mentre la cantabilità di tempra operistica e romantica veniva efficacemente ritagliata dal secondo omaggio, con la Parafrasi lisztiana sul Quartetto dal Rigoletto di Verdi.

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