Limpido nella definizione dei profili melodici quanto chiarissimo nell'esposizione dei diversi tracciati metrico-formali, rilucente nell'infinita gamma di note e sonorità distillate in volo e ad ogni punto della tastiera quanto esatto nella raffinata caratura di un Novecento francese dallo stile saldo e dalla dolcezza infinita.
Elegante, brillante, seducente. E, in più, unico per tocco e temperamento entro il non facile equilibrio fra architetture antiche e i lessemi musicali più moderni, fra un approccio che ricorda l'allure dei grandi del passato e un talento nuovo, che è soltanto suo. Bello e ideale, in special modo per le note al platino di Maurice Ravel: questo, in sintesi, il pianismo di Roberto Cominati (nella foto), quarantasette anni, orgoglio napoletano che nel '93 vinse il prestigioso "Busoni" di Bolzano, dunque un paio di anni dopo la conquista del Concorso "Casella" alla Rai, secondo quanto da noi apprezzato nel tempo e ulteriormente confermato dal suo concerto in meraviglioso volo monografico per la prima volta in recital al Teatro San Carlo dove, quattro anni prima, si era esibito con l'Orchestra della Fondazione e sotto la direzione di Valčuha per il Ravel del Concerto in Sol.
Folgorante e al contempo quasi impalpabile l'inizio del programma: Roberto Cominati entra rapido dalla quinta laterale sinistra, siede al gran coda e, neanche il tempo di vederlo, che già brucia in un soffio sublime quel minuto e mezzo corrispondente alla durata del Prélude composto nel 1913, anno fatidico per la rivoluzione ritmico-sonora impressa dal Sacre di Stravinskij come, dall'altro capo del mondo, a New Orleans, i media seguivano l'ascesa di un nuovo genere musicale al vessillo dell'Original Dixieland Jass Band. Il pubblico neanche se ne accorge (infatti niente applausi) e, intanto, il pianista napoletano, lasciati velocemente svaporare verso l'alto gli ultimi suoni dell'aforistico brano d'apertura, già è entrato nel Modéré "doux et expressif" della Sonatine, anno 1905, brano per nulla facile data la sincerità della texture motivica, per i vari rinvii e i tanti cambiamenti d'umore interni. Anche in tal caso, alta la velocità ma sempre prestando grande attenzione alla vivida tornitura enunciativa del primo tema, svettante fra quarto e quinto dito della destra fra le ampie arcate di briscrome alternate sul sostegno melodico-accordale dell'altra mano. Così come netta la caratterizzazione della seconda idea "Un peu retenu" in triplo piano. Semplicissimo e di ampio respiro a seguire il portamento impresso al movimento di Menuet così come, a contrasto, rapido e leggero il finale in 3/4 Animé, ben sgranato ad ogni nota, di cristallo nei suoni apicali e contemporaneamente ambrato nelle suggestioni degli impasti armonici interni. Ulteriormente sorprendente quanto da Cominati disegnato attraverso le differenti pagine del successivo Tombeau de Couperin: perfetto il medium da lui ricercato e trovato fra il tocco clavicembalistico e la sensibilità del nostro tempo, fra ornato e canto, colore e significato. Puntuale quindi la scansione degli intrecci (Fugue) unita al gusto delizioso degli accenti, singolare l'efficacia dell'elasticità nel rimbalzo dei ritmi (Forlane) o dell'evocazione di un gusto da antica chanson francese (Rigaudon), di velature da sogno (Menuet) o ad alta quota entro il gioco di ribattuti e legati. Una vera e propria vertigine di virtuosismo e suggestioni con i cinque mirabili capitoli di Miroirs per poi chiudere l'itinerario in programma con una magistrale interpretazione de La valse, montata sull'onda crescente di una marea sonora immensa, luminosa e travolgente, da cui il pianista lascia affiorare ad arte i ritmi e le schegge di una danza di giro che ormai non c'è più.
Nella memoria del San Carlo e nei cuori dei tanti spettatori resta dunque il bel dono di un recital speciale, applaudito da tutti con vivo entusiasmo e dal protagonista Cominati ripagato con due splendidi bis: il François Couperin del virtuosissimo Le Tic-Toc-Choc ou les Maillotins, come da noi preannunciato, e la quanto mai appropriata versione pianistica dell'Aria per soprano "Lascia ch'io pianga" di Händel, cavallo di battaglia del mitico Farinelli e dallo stesso compositore riutilizzata per l'Aria di Almirena nel Rinaldo.
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