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Paola De Simone

Uno Stabat Mater di Giovan Battista Pergolesi nel remake con fiati e quattro voci firmato nel primo Ottocento da Giovanni Paisiello, così come ascoltato al Teatro San Carlo in occasione della Settimana Santa, dalle linee asciutte e scattanti, dai metri veloci, dalle tinte leggere e dalle dinamiche in gran parte galanti. Un capolavoro altissimo ma in versione meno geniale e per la prima volta proposto sul palcoscenico del Lirico dopo l'applaudita esecuzione per la scorsa Pasqua nella Cattedrale di Pozzuoli in virtù del protocollo d'intesa fra il Comune flegreo, la Curia e la Fondazione, parimenti nella recente revisione curata da Giuseppe Camerlingo. A rileggerlo con diverso piglio, stavolta, Pietro Borgonovo (nella foto) che, per l'occasione sul podio dell'Orchestra del Lirico in formazione da camera più le voci soliste di Cinzia Forte, Marina Comparato, Matteo Falcier e Abramo Rosalen, ha probabilmente inteso restituirne i ritmi e lo stile a specchio di un Settecento saldamente radicato in una produzione teatrale del genere in cui sia il primo che il secondo compositore di Scuola musicale napoletana ebbero ad offrire risultati mirabili. Ossia, un'idea spensierata e finanche allegra, in linea con i registri dell'Intermezzo o della commedia musicale anziché affine alle originarie vocazioni della Sequenza e alle profonde meditazioni religiose sui pentagrammi del tempo, con accenti più profani e brillanti che ieratici e dolenti.

Nel complesso ben dosato il gioco concertante dei fiati sulla base degli archi e in calibrata interazione con le quattro voci che invece, da parte propria, sono approdate singolarmente a traguardi qualitativi alquanto differenti. In ordine di merito, si segnala l'eccellente prova del mezzosoprano Marina Comparato che, attraverso i numeri di pertinenza contraltile, ha tenuto come un faro ben ferma l'identità dello Stabat non solo attraverso notevolissime virtù di tecnica e stile, ma anche puntando sull'autenticità della dizione come del canto, nel dolore, nello scavo di timbri, nelle dinamiche espressive. Meno chiara nel testo, ma come sempre assai efficace musicalmente, il soprano Cinzia Forte, apprezzata in special modo nella piena fusione di tinte e intenzioni nei numeri d'assieme con la Comparato, come nello Stabat mater dolorosa d'apertura o nel serrato Fac ut ardeat (n. 8). Fuori forma, e senz'altro non aiutati dalle scelte metriche, sia il tenore Matteo Falcier, dall'emissione e intonazione impiccate, sia il basso Abramo Rosalen, poco duttile e privo di armonici. Completavano il programma, nella prima metà della proposta in data unica, l'Ave verum corpus di Mozart, eseguito con approccio stilistico non dissimile, e una bella pagina sacra contemporanea, il Requiem per archi di Tõru Takemitsu, distesa ed estatica riflessione sulla morte composta nel 1957 quale prima, emblematica pagina del raffinato musicista giapponese scomparso nel febbraio di vent'anni fa.

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