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Paola De Simone

Arriva lentamente al pianoforte, preceduto da un immenso abbraccio di applausi atto a restituirne una storia che, da tempo, è già leggenda. Ha 88 anni, Jörg Demus (nelle foto d'apertura), nome ed emblema di un pianismo austriaco fatto di sonorità ampie e prettamente attinenti allo strumento, di tracciati analitici e metrici assoluti, sospesi nella definizione esatta di quanto scritto dall'autore in pentagramma e dunque esenti da elementi esornativi di superficie quanto, piuttosto, alimentati alla radice dall'esaltazione delle note e della costante caratura timbrico-espressiva di respiri, accenti, pause e contrasti. Il tutto con una singolare messa a fuoco dei differenti stili ma pur sempre entro un'ottica meramente pianistica, intensa, dalla proiezione potente e dagli ampi pedali. Sorprendente già solo la scelta di un programma che raccoglieva, come in una summa, alcuni snodi fondamentali e formali nell'evoluzione tecnica della scrittura per tastiera: vale a dire, il Bach della Fantasia cromatica e Fuga con la sua vertigine barocca di arpeggi, accordi e scale, cromatismi, dissonanze e intreccio a tre voci, quindi il doppio Mozart diviso fra l’Adagio in si minore K. 540 e la cangiante Fantasia in re minore K. 397, limpido, rotondo e dallo scatto galante a un tempo. Poi, la trentaduesima ed ultima Sonata per pianoforte di Beethoven, l'op. 111 in do minore, restituita con la forza di un'intera orchestra e con una rara capacità di distinzione fra i livelli sonori. Oltre che con una tenuta della concentrazione andata a sfidare le distrazioni delle telecamere e dei colpi di tosse più volte da lui maledetti, quindi scacciati a mo' di mosche con la mano sinistra senza perdere, però, né il ritmo, né togliere una sola nota dalla tastiera. Pari sostanza c'era persino nel suo Debussy, tuttavia in perfetto stile Novecento e taglio francese, così come scolpito fra le immagini sonore evocate nella Terrasse des audiences du clair de lune (II Libro dei Preludi, 1913), nelle palpabili suggestioni della Cathedrale engloutie (I Libro dei Preludi, 1910) e nel celeberrimo Clair de lune tratto dalla Suite bergamasque, brano quest'ultimo attaccato due volte per colpa dei colpi di tosse sopra citati.

Infine il Preludio, Corale e Fuga (1884) del belga César Franck, dinamico ma pesato ad ogni nota, quasi filtrando gli opulenti affondi organistici attraverso una plasticità ancora una volta puramente pianistica. Al termine, due bis, il Notturno in Fa diesis maggiore di Chopin e una Ninna Nanna di sua composizione (un mix fra quella di Brahms e un valzer viennese) mentre, a metà serata, le giustissime parole riferite al pubblico dal direttore artistico Michele Campanella (nella foto sopra) sono andate a suggellare tanto le premesse che gli esiti dell'intero concerto inaugurale : «L'idea di invitare i grandi pianisti del Novecento - ha tenuto a specificare il celebre pianista napoletano - nasce dalla convinzione di fare ascoltare al nostro pubblico qualcosa che si sta perdendo. I giovani interpreti, per quanto bravissimi, suonando non dimostrano affatto di conoscere la vera cultura europea. Ebbene, il grande Maestro Demus, stasera, ci ha portato appunto il suo mondo e il suo percorso: ossia, la vera cultura di Vienna. Vi prego di considerare l'evento come straordinario - ha infine concluso al microfono il vertice artistico cogliendo anche l'occasione per porgere gli auguri per le festività pasquali -essendo oggi difficile, direi quasi impossibile, sentire qualcuno suonare così».

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