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Paola De Simone

Due ore ad alta tensione drammatica e dall'intensità vocal-strumentale immensa, strette in un unico arco entro l'atto unico dell'Elektra straussiana, la tragedia musicale sul testo di Hugo von Hofmannsthal tornata fra applausi e ovazioni al Teatro San Carlo nell'edizione prodotta dallo stesso Lirico nel dicembre 2003. Dunque sempre con la regia di Klaus Michael Grüber, nell'occasione ripresa da Elena Hammer, e con la scena fissa simile a un moderno cantiere in cemento vivo, abbandonato, ideata così come i costumi senza tempo dall'artista Anselm Kiefer, all'epoca (2004) premiato con il prestigioso "Franco Abbiati". Nuovo tuttavia stavolta il cast vocale, così come diversa la direzione musicale, affidata alla nuova bacchetta stabile dell'Orchestra della Fondazione, l'eccellente Juraj Valčuha, al suo primo impegno lirico alla guida della "sua" compagine dalla nomina nel ruolo di direttore principale e dopo il bel successo registrato, sempre al San Carlo ma per il sinfonico, lo scorso dicembre.

Un unico arco si diceva, teso fra i quattro suoni che scolpiscono fra l'inizio e la fine, in minore quindi chiudendo e sublimando in maggiore, il volto del re morto Agamennone, a partire da quel rullo di timpani e gran cassa che Valčuha ha tirato fuori dai percussionisti in buca, così come da partitura, fortissimo e vibrante, come una profonda scossa della terra su cui poggiare a incastro il primo fra i quarantasette temi in campo staccato da oboi, clarinetti, corni, trombe e archi. Poi, da quel punto, il via al grande ingranaggio in sei articolazioni drammaturgiche attraversate secondo le diverse istanze espressive da un canto continuo e al limite della dissonanza, in declamato asciutto tendente all'urlo come all'inflessione lirica lancinante e acuminata, in sottile rispondenza con un tessuto orchestrale costellato da un'ampia gamma timbrica (sebbene non tanto quanto previsto dalla prima versione comprendente l'heckelphone, le tube wagneriane, la celesta e una miriade di percussioni oltre all'esercito di archi e fiati) per seguire fino in fondo e restituire in superficie le pieghe del dramma, i gorghi della psiche, le visioni sanguinarie e i tormenti della furia vendicatrice di Elettra.

In termini critici e secondo quanto ben compreso anche dal pubblico, il merito dell'esatta messa a fuoco di tutto ciò, ossia degli equilibri fra le voci in palcoscenico e gli strumenti in orchestra entro l'alternanza continua fra la seduzione delle linee sinuose accanto agli esasperati impasti timbrici è andato, innanzitutto, al quarantenne direttore slovacco, forte di un controllo assoluto di tinte ed accenti, di ritmi e dinamiche pronti a sostenere e ad esaltare magistralmente la forza del monologo di Elektra, lo scontro con la madre Clitemnestra chiusa nel suo abito-bozzolo di gesso e la luce brillante nell'apice del riconoscimento del fratello Oreste, con relativa sovrapposizione dei temi legati al padre, alla famiglia e al trionfo. Una direzione frutto di grande intelligenza storico-stilistica e di competenza tecnica vera, chiara nel gesto, esemplare negli esiti. In special modo laddove il pensiero di Juraj Valčuha è arrivato a toccare nei "soli" delle parti più talentuose il cuore di Strauss, ben oltre le pur non semplici note: dunque negli interventi del primo violino ospite Stefano Ferrario, del mai sufficientemente lodato primo oboe Hernan Garreffa, del primo clarinetto Luca Sartori, del primo corno Ricardo Serrano e, con la relativa fila, della prima tromba Giuseppe Cascone e del primo trombone Gianluca Camilli. Efficace inoltre, nei violenti e sordi colpi di grancassa, Marco Pezzenati.

Quanto alla gerarchia qualitativa delle voci, straordinaria su tutte e finanche sulle varie Elektre fin qui personalmente ascoltate dal vivo e non, la prova del soprano Elena Pankratova: intanto una voce per il ruolo insolitamente assai bella, e non per questo meno aggressiva o fuori stile, perfetta nella proiezione in ogni zona del registro e intonatissima fin nelle note armonicamente più estreme, con acuti sempre perfettamente centrati. Notevolissima, tra l'altro, la sua gamma espressiva, nelle tre sfere emotive che ne attraversano la prima, grande sortita e, a seguire, fino alle soglie della sua danza di morte e di gioia. In genere contraltare vocale e dunque più dolce dovrebbe risultare la sorella Crisotemide, nell'occasione affidata a Manuela Uhl, soprano di bel timbro ma spesso calante persino nella dissonanza e talvolta sforzata nell'emissione. Brava invece la Clitemnestra del mezzosoprano di ampia estensione, oltre che di buona efficacia drammatica, Renée Morloc e ancor più apprezzabile è stato l'Oreste del baritono Robert Bork, dal canto curato e possente quanto di salda presenza scenica. Buona la resa anche del tenore Michael Lauren nei panni dell'amante Egisto e degli altri personaggi in scena, in particolare della più giovane fra le cinque ancelle, quindi del Coro preparato da Marco Faelli. Al termine, grandi applausi (fra il pubblico, in uno dei palchi di prima fila, anche il tenore stellare Jonas Kaufmann) per artefici, interpreti e uno spettacolo assolutamente da non perdere: ultime due repliche, giovedi 13 (con l'Elektra di Sabine Hogrefe) e sabato 15 (con la straordinaria Pankratova) alle ore 18.

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