Concerto, per premesse ed esiti, a fuochi multipli quello diretto al Teatro San Carlo da un direttore di illustre e soprattutto autentica carriera quale Leonard Slatkin, per la prima volta sul podio dell'Orchestra della Fondazione e in locandina per la sinfonica (nelle foto di Francesco Squeglia). A cornice della proposta, infatti, due pagine dal grande repertorio per sola orchestra che all'ascolto mancavano da tempo, ossia la raffinatissima Danse et Sarabande di Debussy, nell'orchestrazione elaborata negli anni Venti del Novecento da Ravel, e la Sinfonia n. 3 “Renana” del romantico Robert Schumann; quindi, al centro, di nuovo la Francia ma dell'ultimo Ottocento (nel caso specifico, di quel 1896 che qui in Italia segnava la "prima" assoluta della Bohème pucciniana) con il Concerto per pianoforte e orchestra n. 5 op. 103 “Egiziano” di Saint-Saëns nelle mani di un pianista fra i più apprezzati della sua generazione, il russo oggi quarantenne Alexei Volodin mentre, in apertura della seconda parte, una bella pagina dei nostri giorni a firma della moglie di Slatkin, Cindy McTee, composta nel 1990 ma per Napoli in prima esecuzione. Dunque cifre stilistiche, modalità tecniche e coordinate cronologico-geografiche differenti e distanti ma, in via analoga, restituite con esatta analisi e a briglie parimenti ben tese dal direttore Slatkin sia nella scelta dei metri che delle soluzioni espressive, per gli equilibri dei piani sonori fra le sezioni in orchestra quanto nell'efficace e controllatissimo gioco concertante fra il Solo e il Tutti nell'"Egiziano" di Saint-Saëns, o nella pienezza d'eloquio della Sinfonia "Renana".
Quanto ai dettagli rilevati in ciascuna prova, si premiano nel Debussy-Ravel, fluido e intenso anche se ne avremmo preferito una texture complessiva maggiormente luminosa e acuminata, i tributi notevolissimi messi a segno dai legni (dal sempre speciale Hernan Garreffa al primo oboe e da entrambi i fagotti, Mauro Russo al primo e Giuseppe Settembrino al secondo), quindi dalle trombe grazie alla particolarmente talentuosa prima parte Fabrizio Fabrizi. Mentre, per quanto prodotto dai corni, si rinvia ai certamente migliori risultati registrati in unione con gli altri ottoni nella "Renana" posta in chiusura.
A seguire, il colpo grosso con il binomio vincente formato da Volodin (nella foto sotto) e Saint-Saëns: un pianismo saldo e brillante, quello dell'interessante interprete di San Pietroburgo, di lucida eleganza quanto in volo fra le mille note e i tanti colori distillati in pentagramma alternando le suggestioni esotiche dell'Oriente egiziano e l'arte compositiva di Francia, fra suoni argentei all'acuto e sostegni intensi al grave, ritmi ragtime e una tecnica prodigiosa apprezzata in special modo nel velocissimo, folgorante movimento finale. Tanti, per lui, gli applausi (ma ottimo anche l'accompagnamento garantito da Slatkin e dall'Orchestra), ricambiati nell'occasione al turno pomeridiano da due bis assolutamente impeccabili e quasi emblema di due capisaldi della letteratura pianistica particolarmente vicina alle sue radici e alla sua sensibilità: il Valzer op. 64 n. 2 di Chopin e il Preludio op. 32 n. 12 di Rachmaninov.
Poi, i sei minuti ostinati e ossessivi di Circuits, la sapiente quanto non facile composizione contemporanea composta (con dedica al marito Leonard Slatkin) da Cindy McTee, tra l'altro presente in Teatro e uscita al proscenio per raccogliere i consensi più che meritati (sopra, nella foto di Francesco Squeglia). Solo sei ma efficacissimi minuti per dar forma ad una trama serrata e dinamica, giocata per antitesi centripete. Ossia su connessioni e contrasti fra gli stili del be-bop, del posterialismo e del minimal, fra ritmi latino-americani e accenti della Mitteleuropa, nonché sullo scontro-incontro fra le linee affidate su triplice livello agli archi, alle percussioni molteplici e ai fiati. Il risultato? Un corto circuito sonoro-esistenziale pronto a restituire, in misura fulminea con il suo lampo da 152 beats al minuto e in simultanea attraverso canali di conduzione differenti, l'esasperata corrente urbana che attraversa e innerva i nostri giorni.
Al termine, la Terza Sinfonia di Schumann, staccata dal direttore Slatkin sollevando una vera e propria ondata di suono e, a seguire, ben tornita nei diversi movimenti esaltandone magistralmente sia la logica che lo stile fra i mutevoli dettagli sonori.
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