Quattro atti entro un unico interno del tardo Ottocento alto-borghese dalle pareti di smalto color latte, in duplice valenza e in alternanza di due opposte realtà sociali e in fondo, esistenziali: fra quinte e velluti rosso rubino, più Coro maschile, per la casa del piacere della bellissima incantatrice Nastas'ja detta Kuma mentre, gli accessori in nero e le voci dietro le quinte del Coro femminile, ci portavano dritti nell'asfittica dimora del principe Nikita Kurljatev e della moglie Evpraksija Romanovna. Vale a dire, un contesto in cui la forza del sentimento è libera e verace contro l'ipocrisia di una gabbia familiare che si ostina a tenere in piedi, ben strette, relazioni ormai sepolte. Intorno, e attraverso, scorre il sangue, vivo, dell'opulenta musica teatrale dell'ultimo Čajkovskij, fluido, denso e avvolgente nella sua autentica tempra di matrice russa per sonorità e radici popolari, armonie, coralità e proiezione in avanti e per lo più in arioso di un canto a pasta acida entro formule melodrammatiche assai distanti dai canonici tracciati di tradizione italiana. È il Čajkovskij meno noto e anche meno fortunato di Charodeika (L'Incantatrice o, come in traduzione più nota, La maliarda), l'opera nata dopo la Quarta Sinfonia negli anni 1885-87 che il Teatro San Carlo di Napoli ha portato fra meritati applausi e consensi per la prima volta in scena in Italia per cinque sere, dallo scorso 17 febbraio fino a venerdì e sabato prossimi, con una compagnia di canto specialista del repertorio accanto alle masse artistiche della Fondazione, con la mirabile regia di David Pountney, le raffinate quanto intelligenti coreografie di Renato Zanella e l'efficace direzione musicale di Zaurbek Gugkaev, allievo del grande Gergiev. Il tutto, nella produzione nata quindici anni in collaborazione fra il Marinsky di San Pietroburgo e il São Carlos di Lisbona, all'epoca guidato dalla direzione artistica dell'oggi vertice artistico sancarliano Paolo Pinamonti (a seguire, lo spettacolo nelle bellissime foto di Luciano Romano).
Il primo atto si apre dunque con un ampio affresco corale e coreutico nella locanda di Kuma. Fra gioia e baldoria mentre dall'alto lentamente scende, su una dormeuse e come una Maja vista da Goya, la seducente incantatrice. Vi svettano le voci scure dei comprimari e, nei raffinati interventi coreografici firmati Zanella argutamente misti di elementi ironici ed erotici, fra l'etereo e il salottiero, i ballerini della Compagnia della Fondazione oggi diretta da Giuseppe Picone.
Quindi il canto intenso della maliarda Marija Bajankina e un singolare coro a cappella che, con i tanti temi affidati ai legni e al bel gioco di contrasti fra i volumi dell'Orchestra, sono emersi come i tratti tipici e maggiormente apprezzabili della partitura in ascolto.
Particolarmente interessanti gli esiti espressivi e canori messi a segno con grande temperamento dal mezzosoprano Liubov' Sokolova (Principessa Evpraksija Romanovna) nell'Atto secondo, sia nella scena d'apertura più arioso, sia nel tenero duetto in cui confessa il proprio dolore al figlio Jurij che, interpretato dal tenore Nikolaj Emcov, decide di vendicare l'onore della madre e della famiglia uccidendo personalmente la donna che ha irretito i sentimenti del Principe padre.
Poi, con impronta registica non dissimile da un film, l'azione ci ha condotto nell'alcova della maga d'amore Kuma, fra ampie tende trasparenti mosse dal vento e un letto centrale sul quale il Principe Jurij spara con riuscito effetto teatrale i suoi colpi di rivoltella in luogo dei colpi di pugnale più volte ricordati e scanditi in contrappunto dal testo del libretto. Se vogliamo, una frizione non errata ma, piuttosto, scarto utile a rimarcare la mirata scelta di far slittare la vicenda di circa quattro secoli e, dunque, avvicinando maggiormente ai nostri tempi una dicotomia sentimentale a tutt'oggi attualissima. Il terzo è quindi l'Atto di due formidabili duetti che vedono protagonista al centro il soprano Marija Bajankina, prima nel coraggioso rifiuto delle pressanti avances del Principe padre (Jaroslav Petrjanik); poi, nella confessione di onestà e nella vertigine di amorosi sensi ricambiata dal Principe Jurij, siglata dalla sentenza-cardine "perché l'anima non si comanda / e il cuore non conosce catene" pronunciata dalla donna. Infine il tragico epilogo dell'Atto quarto: la scena dell'inganno e dell'avvelenamento di Kuma da parte della gelosa Principessa, con i legni che balzano unitamente agli effetti letali della pozione fin giù per le viscere del bel corpo di Kuma e la straniata, grottesca cena finale nella dimora del Principe che, stravolto dal dolore e dalla follia per la perdita della fanciulla in parallelo all'infuriare della tempesta, litiga fino ad uccidere il figlio. Lasciandolo lì dov'era, morto, seduto a tavola con la sua bella famiglia.
Da segnalare al termine, alla prima, la presenza di un gran numero di spettatori di nuova generazione fra palchi e platea grazie ai progetti Educational promossi dal Teatro. Certo, qualche ragazza rideva, qualche altra dormiva o si è alzata guadagnando l'uscita nel buio ma, la maggior parte dei giovanissimi liceali, eleganti ed attenti, hanno intanto varcato quella sacra soglia dell'opera dal vivo e di uno dei più gloriosi teatri lirici del mondo.
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