Un trionfo, meraviglioso ed immenso, per Martha Argerich, tornata con il Terzo Concerto di Prokof'ev e per la quarta volta in trent'anni sul palcoscenico del Teatro San Carlo in data unica e fuori abbonamento al fianco dell'Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo diretta dal grande Yuri Temirkanov (nelle foto di Luciano Romano).
Energica e dolcissima, tecnicamente tagliente, ferrea nel dominio analitico dei percorsi formali quanto autenticamente istintiva in un fuoco espressivo sfoderato, con la forza di una tigre, fra molteplici timbriche e sferzanti dinamiche. Ma soprattutto regina di un pianismo dei nostri giorni che, emblema stesso delle più alte vette della Musica, ne consegna l'Arte assoluta, umanissima e al contempo baciata dal Cielo, oltre ogni immaginabile classifica mondiale. Parlare di lezione o di esecuzione virtuosistica, in sostanza, sarebbe nel suo caso veramente fuori luogo. La pianista argentina Martha Argerich, oggi settantacinquenne, pluripremiata protagonista di una carriera concertistica straordinaria, a nostro avviso non ha realmente uguali fra gli interpreti del Novecento ad oggi in campo perché è sapienza, sensibilità e intelligenza volte appunto in Arte vera, fonte di un talento non solo inesauribile ma, addirittura, oggi ancor più sorprendente a fronte di un rapporto Solo/Tutti nel quale, mentre Temirkanov e la compagine di San Pietroburgo consegnavano un Prokof'ev magmatico e compatto, era lei a darvi senso e sostanza, spinta, nervi e sangue.
Dopo l'ampia parentesi sinfonica dedicata in apertura alle più facili seduzioni per grande orchestra di Aram Il'ič Khačaturjan con tre brani - "Adagio di Spartaco e Frigia", "Danza delle Gaditanee" e "Vittoria di Spartacus" dalle Suites n. 1 e n. 2 Suites del balletto Spartacus - in assoluta quanto non fondamentale "prima" al San Carlo, il suo ingresso dalle quinte al proscenio ha innescato un'impennata nella temperatura degli applausi. Poi si è seduta al pianoforte, ha raccolto solo per un attimo a forma di coda i suoi lunghi capelli d'argento, da sempre lasciati sciolti, e sull'incipit modale dei clarinetti ha rivolto rapidamente lo sguardo verso i palchi, quasi a voler godere velocemente dell'opulenta bellezza del Lirico napoletano. Quindi, giù gli occhi sulla tastiera e il via come una folgore attraverso gli incalzanti passaggi che saldano l'Andante d'apertura al fervore nervoso dell'Allegro in forma-sonata, nelle cui fibre ritorna il bel lirismo staccato dal primo clarinetto. A seguire il movimento centrale, un tema di Andantino a cornice di cinque variazioni ritagliate dalla Argerich ora in dialogo lucente ed amabile, ora nel gioco teso di ritmo e rarefazioni, e poi il gran volo, stupefacente, con un ultimo tempo attraversato sfoderando un vibrante caleidoscopio di accenti e dinamiche a raffica tra le maglie dell'orchestra. Naturalmente prevedibile il boato di entusiasmi e particolarmente apprezzato il bis che Martha Argerich ha implicitamente voluto dedicare alla città di Napoli scegliendo la Sonata in re minore K. 141 del partenopeo Domenico Scarlatti (nato a via Toledo, battezzato nella chiesa di Montesanto dove oggi riposano le spoglie del padre Alessandro e presto entrato in organico al cembalo nella prestigiosa Cappella Reale Palatina e fino a lasciare Napoli per la Spagna), eseguita con velocità, perfezione e sonorità da plettro mozzafiato (se ne riproduce nel video sottostante una sua esecuzione tratta da YouTube).
Al termine, primo piano sul non meno atteso ritorno di Yuri Temirkanov, per la prima volta sul podio dell’Orchestra del San Carlo nell'anno 1972, quindi nel 1987 con la BBC Symphony Orchestra e, saltando l'inaugurazione della Sinfonica 1997-1998 con la "sua" Filarmonica di San Pietroburgo perché colpito da infarto a due giorni da quell'evento d'apertura, ancora nel maggio 2005, con la stessa compagine del Concerto Argerich per Stravinskij e Rachmaninov. Ora, in programma, c'era la Sinfonia n. 5 in re minore, op. 47 di Šostakovič, opera grandiosa ed intensa nata nel 1937 quale "risposta creativa di un artista sovietico ad una giusta critica", ossia in riferimento alle accuse di formalismo lanciate contro di lui dal regime sovietico dalle colonne della Pravda. Nel complesso, una partitura ben viva nel dna sia del direttore "senza bacchetta" Temirkanov che dell'Orchestra di San Pietroburgo e, difatti, restituita fra il più autentico peso delle marce militari, gli impasti acidi e la sacralità di una preghiera. Impeccabile la fusione e il volume dell'insieme, ma diciamo pure che la relativa tornitura del dettaglio e la parziale definizione saltata fuori dai singoli strumenti, notata in Šostakovič come già in Khačaturjan, ci ha fatto comunque apprezzare ulteriormente quanto l'Orchestra del Teatro San Carlo, pur fra le tante difficoltà, riesce a mettere puntualmente a segno.
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