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Paola De Simone

Magia e sogno tra gli incanti del Natale, un pizzico di ironia in casa Stahlbaum (ma qui Silberhaus, attingendo ispirazione direttamente dai Racconti di Hoffmann ma incrociando gli abbinamenti onomastici Hoffmann/Marie Stahlbaum, Dumas/Marie Silberhaus, Vsevolozhsky /Clara Silberhaus), un tocco noir per lo zio mago e in realtà demiurgo Drosselmeyer più, in filigrana, uno scavo psicoanalitico che svela, entro la metafora del viaggio e dell'amore accanto al suo principe, la crescita in donna della piccola Clara qui Marie.

Capolavoro emblematico per il palcoscenico coreutico e musicale nei giorni dell'Avvento, Lo Schiaccianoci di Čajkovskij è dunque tornato puntuale, e con tanto di sold out, al Teatro San Carlo riprendendo o come in tal caso reinventando in varia formula la grande tradizione dell'originale quanto inossidabile matrice coreografica di Petipa-Ivanov. Qui a Napoli, parlando delle edizioni più recenti, a partire dagli anni Novanta si sono infatti avvicendate le riletture coreografiche dell'indimenticato Rudolf Nurejev e del britannico Derek Deane, del più moderno Luciano Cannito (al Politeama, con la particolarità di stalattiti pericolosamente staccatesi dall'alto), di Alessandra Panzavolta, di Lienz Chang mentre, in queste sere per la prima volta al San Carlo, si è pensato di portare la rilettura fattane da Charles Jude nel 1997 per il suo Ballet de l’Opéra National de Bordeaux.

Ebbene, l'allestimento (sopra, nelle foto di Francesco Squeglia) realizzato da Nicola Rubertelli per le scene e da Giusi Giustino per i costumi nel solco delle istanze drammaturgiche indicate da Jude è effettivamente inedito così come diverso, rispetto a quanto sin qui visto e apprezzato, risulta un linguaggio coreutico dinamico e composito che, giusto lasciando intatti e in alto i cammei "capolavoro" della danza pastorale e del pas de deux del Principe con la Fata Confetto, non sempre ha avvantaggiato la stabilità esecutiva degli interpreti né, tantomeno, la coerenza globale dello spettacolo. Ad attestarne il primo aspetto, la spoggiatura nelle chiusure dell'Arlecchino di Michele Postiglione (in luogo del previsto Danilo Notaro) e di Francesco Lorusso nella Danza cinese, probabilmente gli assestamenti che hanno portato a cambi continui in Compagnia fino alla sera della "prima", una battaglia fra l'esercito del Principe Schiaccianoci e i topi capeggiati dal proprio Re (Massimo Sorrentino in luogo del previsto Giuseppe Ciccarelli) risolta, più che in vero e terrifico scontro, in una sorta di spettacolo a parti separate. Inoltre: pesante il Valzer dei fiocchi di neve mentre svolazzante quello dei fiori con la difficoltà di un'accelerazione finale impressa da David Coleman sul podio di un'Orchestra del San Carlo diretta senza troppe scintille se si escludono i personali interventi di pregio che riconosciamo al primo flauto Bernard Labiausse, al primo clarinetto Luca Sartori, al primo oboe Hernan Garreffa, alla prima arpa Viviana Durante, ai due fagotti (Maddalena Gubert e Giuseppe Settembrino) e all'intera sezione dei violoncelli nell'occasione capitanata dal professore ospite Matteo Tabbia. Relativamente al secondo aspetto, interessante ci è parsa l'idea di utilizzare video proiezioni, innanzitutto per le varie nevicate e per accentuare la suggestione dei paesaggi. Tuttavia lo spunto, in realtà realizzato più come un cartoon, non ha trovato sbocchi a seguire cozzando, piuttosto, con la scena del salotto dei Silberhaus (tra l'altro, con un albero di Natale klimtiano defilato e valorizzato solo in proiezione) rivisitato in stile Vedova allegra di Lehár, con ospiti anni Venti e con due fastidiose signorine impegnate in una forzatura mimica fra canto e pianoforte senz'altro più adatta alle sorellastre della Cenerentola rossiniana. (A seguire, nelle foto di Luciano Romano, la scena nel salotto dei Silberhaus e il pas se deux finale di Alessandro Macario con Ekaterina Oleynik)

In compenso, particolarmente raffinata, impeccabile quanto di adamantina agilità l'interpretazione del Principe sfoderata dal napoletano Alessandro Macario, primo ballerino ospite formatosi alla Scuola del Teatro e particolarmente legato al palcoscenico sancarliano. Al pari apprezzabile è stata la Marie di Ekaterina Oleynik, stella dell'Estonian al suo esordio sulle assi del Lirico napoletano, almeno nella tornitura della fanciulla al primo atto e negli acuminati giri messi a segno in qualità di Fata Confetto. Bravi, fra gli elementi della Compagnia oggi diretta da Giuseppe Picone, il primo ballerino Edmondo Tucci pur se nei panni di un inquietante Drosselmeyer visto come una sintesi fra un pirata, Batman e il Joker (con relativa danza dei pipistrelli), Danilo Notaro (in sostituzione di Carlo De Martino per il cosacco), le coppie protagoniste delle danze di carattere: Candida Sorrentino con Stanislao Capissi per la danza spagnola, Luisa Ieluzzi con Ertugrel Gjoni per quella araba giocata in abbinamento ad un piuttosto comico cammello danzante (Danilo De Martino e Raffaele Vasto); quindi, Sara Sancamillo con Raffaele Lorusso per la cinese, ancora Michele Postiglione con Danilo Notaro e Pasquale Giacometti per la russa (in luogo del trinomio De Martino-Notaro-Di Leo) e fino agli ottimi Vincenza Milazzo, Martina Affaticato e Salvatore Manzo (ottimo anche il suo Fritz) per la pastorale. Cosi come lodevoli i piccoli allievi della Scuola di Ballo e le Voci Bianche del Teatro San Carlo. Sullo sfondo, luci improbabili e impossibili sia riguardo alle indecisioni dell'occhio di bue, sia per quel violetto psichedelico di wood, da discoteca o se vogliamo da centro abbronzante, sparato sulle scene di chiusura dei rispettivi due atti. Si replica mercoledì 3 (ore 20) e in doppio spettacolo giovedì 4 (ore 17 e ore 21).

Applausi per tutti al termine.

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