«Suonarono la Sonata a Kreutzer del Beethoven. Conoscete voi il primo tempo, presto? lo conoscete? Ah!... Pozdnyšev sospirò e tacque per qualche istante. – Un lavoro terribile questa sonata! Specialmente quel presto […] quel frammento sovreccitava in un modo ineffabile. La mia mente s’apriva a pensieri nuovi. “Si: è così… non come mi pareva ma come mi suggestionava quella musica, la vita avrebbe dovuto esser goduta”. Così dicevo tra me ascoltando quella Sonata. Ma che nuovo mondo essa mi schiudeva? Non lo sapevo dire; ma la visione sua mi rendeva felice […]».
La straordinaria forza plastica e un nuovo, sfrenato ardore dello stile virtuosistico-concertante scolpiscono la Sonata in la maggiore n. 9, op. 47 “a Kreutzer” di Ludwig van Beethoven (1770-1827), fra i capolavori del genere e penultimo esempio fra i dieci composti dall’autore nel quindicennio compreso fra il 1797 e il 1812. È il segnale concreto di una nuova era che, al passaggio dai simmetrici equilibri del Classicismo settecentesco alle profonde inquietudini del primo Ottocento, forza ed espande gli schemi della tradizione al pari dell’economia interna alla musica da camera. In realtà, superando gli stessi confini della Storia della musica accendendo, circa ottant’anni più tardi nell’omonimo romanzo scritto da Lev Tolstoj - da cui è tratta la citazione d'apertura" - al vertice di un rigorismo etico dichiarato in epigrafe citando una mirata enunciazione dal Vangelo secondo Matteo (5, 27-32: Io vi dico che chiunque guarda una donna per desiderarla ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore), quella «corrente elettrica» di una sospettata passione adulterina finita in tragedia, con risvolto a tutt’oggi attualissimo: raptus uxoricida, appena undici mesi di galera, assoluzione, scarcerazione. A causarla, quel «primo presto» della "Kreutzer" riconosciuto dal protagonista Vasja Pozdnyšev quale cardine galeotto (capitoli XXI-XXIII) dell’attrazione fra la moglie Liza (al pianoforte), donna di onorata famiglia, madre dei loro cinque figli ma a lui ormai indifferente, e l’avventuriero violinista Truchacevskij (nel riquadro: René François Xavier Prinet, Kreutzer Sonata, 1901, Belfort, Musée d'art et d'histoire).
A interpretarla, questa mattina alle ore 11 a Villa Pignatelli (nella foto in basso a destra) in occasione del concerto di chiusura del "Maggio della Musica", due notevolissimi talenti campani: Fabrizio Falasca, salernitano, classe 1988, considerato da Salvatore Accardo uno dei migliori violinisti italiani della sua generazione, attualmente tra le punte di eccellenza vantate dall'Orchestra del Teatro San Carlo di Napoli; quindi, al pianoforte, Luca Mennella, musicista napoletano attivo sia in Italia che all’estero (nelle due rispettive foto d'apertura).
Tornando all'estratto centrale dal romanzo: al di là della rilettura in chiave moraleggiante e letteraria, la prospettiva tolstojana relativa all’impatto percettivo della partitura nelle pagine della Крейцерова соната (1889) centra realisticamente a nostro avviso, lasciando da parte le fuorvianti valutazioni sull’«andante: poco originale, con variazioni banali e poi il finale, di poco effetto», almeno due bersagli: la possente carica emotiva oltre che strutturale del primo movimento (in totale 601 battute che, contando il ritornello dell’Esposizione, arrivano a 776) staccato in Presto dopo le 18 misure dell’Adagio sostenuto introduttivo; e, d’altro lato, la serratissima intesa fra il violino e il pianoforte che, ribadita dal vortice travolgente della Tarantella di chiusura, suggerì al romanziere russo di paragonarla a un “dialogo fra due amanti mai sazi”. D’altra parte, tornando alla storiografia reale, la vicenda dell’op. 47 di Beethoven si rivela non meno ricca di dettagli, già a partire dalla genesi che vide comporne il terzo movimento come finale di un’altra Sonata (l’op. 30 n. 1) nell’anno 1802, dunque precedentemente agli altri due tempi terminati alla vigilia della prima esecuzione avvenuta a Vienna la mattina del 24 maggio del 1803 nella sala di concerti dell'Augarten, un caffè del Prater, con l’autore al pianoforte e il primo dedicatario dell’opera al violino. Inizialmente, infatti, la Sonata in la maggiore oggi indissolubilmente legata nel titolo al nome dell’eclettico violinista francese Rodolphe Kreutzer dedicatario della prima edizione a stampa (Bonn, Simrock, 1805), fu invece composta pensando alle straordinarie abilità esecutive del mulatto George Augustus Bridgetower, brillante concertista del circuito inglese nato da un lacchè di colore al servizio del principe Esterhàzy e da madre tedesca, violinista prescelto dal principe del Galles e appunto passato per Dresda e per Vienna nel 1803 dovendo far visita alla madre vivente in Sassonia. Entrato in ottimi rapporti con Beethoven, avrebbe così dato vita all’ispirazione e all’esordio dell’opera al suo fianco. L'autografo della Sonata op. 47 reca infatti la seguente didascalia, in un curioso gioco di lingua italiana: «Sonata mulattica composta per il Mulatto Brischdauer gran pazzo e compositore mulattico». Una rivalità amorosa, secondo le dicerie del tempo, avrebbe poi allontanato i due musicisti e suggerito altra dedica, indirizzata al rinomato virtuoso Kreutzer che Beethoven aveva conosciuto nel 1798 presso l’ambasciata francese di Vienna e apprezzato per «la semplicità e naturalezza». Kreutzer, da parte sua, non sembrò apprezzare troppo l’omaggio, valutandolo come «outrageusemente inintelligible». Non diversamente, sull’Allgemeine Musikalische Zeitung fu scritto che in essa Beethoven aveva «spinto la ricerca dell'originalità fino al grottesco», tanto divenire «l'adepto di un terrorismo artistico». E questo perché la modernità della Sonata, divenuta popolare dalla seconda metà dell’Ottocento grazie alle esecuzioni di Joseph Joachim con Clara Schumann, fu ben chiara a tutti sin dall’esordio, così come d’altronde ben sottolineato nel frontespizio della prima edizione: «Sonata scritta in uno stilo [sic] molto concertante quasi come d'un Concerto», laddove il "molto concertante" andò a sostituire l’aggettivo "brillante" poi depennato.
La Sonata, scritta nel solco di quel secondo stile beethoveniano nato quale energica reazione ai drammatici conflitti interiori culminati nelle inclinazioni suicidali del Testamento di Heiligenstadt (1802) e sfociati nelle accese tinte del titanismo eroico, si articola in tre movimenti sperimentalmente lontani per concezione formale e per contenuti emotivi. Fra questi il Presto iniziale in la minore che, insolitamente preceduto da un Adagio sostenuto nella parallela tonalità maggiore con attacco “scoperto” del violino su doppie e triple corde, risulta elaborato su pochi ma efficacissimi elementi: due note (mi-fa) appoggiate in piano e sforzando, come a porgere un’interrogativa; il tema di 21 suoni staccati dal violino e ripresi in via accordale dal pianoforte; tre accordi di chiusura. Da qui il moto perpetuo nobilmente pronunciato dallo strumento ad arco e prontamente raccolto dal pianoforte che, affiancandosi fra gli ulteriori due spunti tematici, sembra dar vita a una vera e propria, agguerrita contesa. Assai distante dall’energico primo movimento è il successivo Andante in fa maggiore elaborato in quattro variazioni secondo le consuete tecniche dell’epoca. Infine un Presto, costruito in forma-sonata ma sul ritmo ternario di una Tarantella in cui la gara, precedentemente innescata, raggiunge le vette di un rapinoso virtuosismo da concerto.
Oltre alla "Kreutzer", i due interpreti daranno forma all’op. 108 in re minore di Johannes Brahms (1833-1897), ultima delle tre Sonate per violino e pianoforte nata, al pari delle opere analoghe, durante i soggiorni estivi trascorsi dal compositore amburghese sulle rive del lago di Thun, tra gli anni 1886 e 1888. Dunque, attraverso una lunga gestazione, con pubblicazione (anche in tal caso Simrock) a Berlino nel 1889 e dedica “all'amico Hans von Bülow”. Ulteriore traguardo di una tale eredità beethoveniana, l'opera risulta costruita combinando gli schemi della forma-sonata e la tecnica della variazione ma alla luce di una straordinaria, nuova linfa alimentata fra la vivacità dell'invenzione melodica e un impegno pianistico dalla sostanza inedita.
MAGGIO DELLA MUSICA
Stagione concertistica 2016
Domenica 27 novembre 2016 - ore 11.00
Veranda neoclassica di Villa Pignatelli, Napoli
Fabrizio Falasca, violino
Luca Mennella, pianoforte
Ludwig van Beethoven (1770-1827), Sonata per violino e pianoforte n.9 in La maggiore op. 47 “a Kreutzer”
Johannes Brahms (1833-1897), Sonata per violino e pianoforte n. 3 in re minore op.108
Biglietto: 20 euro (ridotto: 15 euro); tel 081 5606630 / maggiodellamusica@libero.it / maggiodellamusica.it
Fabrizio Falasca - Nato nel 1988 ha cominciato lo studio del violino in giovane età, mostrando subito uno straordinario talento musicale ed affermandosi rapidamente vincendo numerosi Concorsi nazionali ed internazionali. Tra i più importanti, nel 2010, il 29° Concorso Biennale di Violino “Premio Città di Vittorio Veneto”. È considerato da Salvatore Accardo uno dei migliori giovani violinisti italiani della sua generazione. Si è esibito come solista in importanti stagioni e festival musicali in tutto il mondo. Ha svolto attività cameristica e solistica insieme ad insigni musicisti e prime parti dei teatri più importanti d’Italia. Ha collaborato come solista con molti direttori illustri ed ha effettuato tournée sia in Italia che all’estero. Ha registrato per Radio Vaticana e RAI. Ha fatto parte delle Orchestre del Teatro San Carlo di Napoli, dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma, del Maggio Musicale Fiorentino, della Royal Philharmonic Orchestra di Londra, della Philharmonia Orchestra. Collabora come Spalla dei Primi Violini presso la Filarmonica “G. Verdi” di Salerno su invito di Daniel Oren ed è regolarmente invitato da Gustav Kuhn a ricoprire il ruolo di Primo Violino di Spalla dell’Orchestra del Tiroler Festspiele Erl, in Austria. È stato recentemente nominato Spalla dei primi violini della Tiroler Symphonie Orchester Innsbruck. Fabrizio Falasca si è diplomato con lode e menzione speciale al Conservatorio di Salerno ed ha continuato i suoi studi all’Accademia “W. Stauffer” di Cremona e all’Accademia Chigiana di Siena con Accardo, alla Scuola di Musica di Fiesole con Felice Cusano, al Mozarteum Salzburg e alla Scuola di Musica di Pienerolo con Dora Schwarzberg. Ha successivamente conseguito il Master Degree in Performance con il massimo dei voti alla Royal Academy of Music di Londra sotto la guida di So-Ock Kim. Si è perfezionato ed ha partecipato a prestigiose Master Class internazionali con Vengerov, Kavakos, Graffin, Bron, Friend, Ciulei, Pauk, Horigome. Artista tenace e sensibile, possiede un repertorio che spazia dal barocco al romantico e alla musica contemporanea. Suona un violino Joseph Guarneri del 1727 appartenuto al violinista Cesare Barison, per gentile concessione della famiglia.
Luca Mennella - Nato a Napoli, si è diplomato con il massimo dei voti in Pianoforte presso il Conservatorio “San Pietro a Majella” di Napoli e in Direzione di Coro e Musica Corale presso il Conservatorio “Domenico Cimarosa” di
Avellino. È stato allievo di Michele Campanella dal 2000 al 2007 presso la “Società dei Concerti” di Ravello e l’Accademia Chigiana di Siena, dove ha conseguito il Diploma di Merito. Dal 1999 è direttore stabile del Coro polifonico “Canticum Novum” di Portici. Vanta un’intensa attività concertistica in qualità di solista, di pianista accompagnatore e di direttore di coro. Si è esibito sia in Italia che all’estero. Nel 2010 ha suonato in qualità di solista per il Teatro San Carlo di Napoli. Suona stabilmente in trio con il violinista Patrizio Rocchino ed il violoncellista Dario Orabona. Con essi ha realizzato l’esecuzione integrale dei trii di Haydn, Beethoven, Brahms, Mendelssohn e Saint-Saëns.
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