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Paola De Simone

Sono gli anni 12 e 13 del 1800 e, fra i provvedimenti all'ordine del giorno sul tavolo dei Deputati del Real Teatro di San Carlo, così come dai documenti manoscritti conservati nei nostri principali archivi napoletani, torna ripetutamente la preoccupazione di riempire le vasche d'acqua per far fronte al rischio incendi così come, d'altra parte, Carlo Vanvitelli nella seconda metà del Settecento aveva provveduto a far portare presso il Teatro due grosse anfore realizzate in cotto nelle fornaci di Portici per tamponare eventuali danni arrecati dalle fiamme accidentali. A quel tempo il San Carlo aveva ben diverso aspetto privilegiando i colori dei Borboni, dunque azzurro e argento e, come sottolinea un provvedimento in un registro copialettere del tempo, si proseguiva nel divieto di inserire cornici dorate e stoffe che non fossero di colore verde, o più probabilmente azzurre come dalle testimonianze grafiche giunte ai nostri giorni. Poi, la notte fra il 12 e il 13 febbraio 1816, la catastrofe, con il devastante fuoco dovuto a una lanterna, lasciata accesa durante la prova di uno spettacolo, che avrebbe distrutto completamente uno dei massimi templi della lirica d'Europa (risparmiandone i soli muri perimetrali e il corpo aggiunto), quindi il decreto del 22 febbraio 1816 con cui il re Ferdinando nominava una commissione per sovrintendere i lavori di ricostruzione (terminati in soli 10 mesi), il rifacimento in oro e in rosso con la tipologia architettonica oggi ereditata e la riapertura, il giorno il 12 gennaio del 1817, con la Cantata Il sogno di Partenope di Simone Mayr, il maestro di Donizetti. Altri interventi e rifacimenti sarebbero stati apportati intorno agli anni Cinquanta di quello stesso XIX secolo, ossia nel periodo dell'illuminazione a gas (per quell'elettrica bisognerà attendere il 1890), in parallelo ai dettagli e agli ultimi ritocchi da apportare alla grande tela commissionata come sipario di palcoscenico al pittore Giuseppe Mancinelli, pronta nel 1854 e rappresentante il magnifico Parnaso (nella foto di Luciano Romano, sullo sfondo). Ebbene, non un incendio, bensì l'impianto antincendio predisposto sul palcoscenico del Lirico napoletano ha fatto questa volta i suoi danni scattando l'altra notte per non si sa quale malfunzionamento, dunque allagando l'intera area della scena e soprattutto producendo nella storica tela un profondo strappo nell'ultimo lembo di veste, verso i piedi, della figura centrale principale, la Musa Euterpe (sulla destra nell'immagine sottostante).

La notizia è circolata per vie ufficiose in mattinata - ed infatti è stata inserita dalla Quinta giusta già nella recensione della "prima" della commedia per musica di Paisiello andata in scena domenica scorsa - quindi confermata dalla seguente nota diramata ufficialmente dal Teatro: "La Fondazione Teatro di San Carlo rende noto che, nella notte tra il 13 e il 14 novembre scorso, a causa di una anomalia, si è azionato l’impianto Water mist di spegnimento incendio in palcoscenico creando, per effetto dell’acqua nebulizzata, una momentanea inagibilità del palcoscenico. La direzione si è prontamente attivata con l'ausilio delle proprie strutture tecniche, per verificare lo stato di tutte le strutture, l’eventuale coinvolgimento in primis del sipario storico di Giuseppe Mancinelli e contestualmente gli impianti scenotecnici, coinvolgendo il Soprintendente all'Archeologia, le Belle Arti e il Paesaggio Luciano Garella, al quale, è stato richiesto un immediato sopralluogo e l'Amministratore di Napoli Servizi Domenico Allocca, società responsabile del presidio notturno del teatro. Fermo restando le verifiche in corso, la direzione congiuntamente alla Soprintendenza e a Napoli Servizi, ritiene la situazione in via di definitiva risoluzione".

Per i dettagli e il valore simbolico dell'immenso dipinto ricorriamo a quanto riportato all'epoca in occasione dell'esposizione del bozzetto alla Mostra del Real Museo Borbonico del 1855, il cui successo produsse l’edizione di una Descrizione del Sipario del Real Teatro di S. Carlo dipinto da Giuseppe Mancinelli, direttore della Scuola di Disegno nel Regio Istituto di Belle Arti. La complessa composizione rappresenta un simbolico Parnaso, in cui sono riunite le più eminenti personalità della civiltà antica e moderna, iniziando dal poeta Omero. Il primo piano appare sguarnito da ogni copioso frutto di natura, il suolo appare infatti “incolto e infecondo”; si erge soltanto un “grande albero silvano [...] indicante una selva diradata di fresco” che simboleggia la nascente e rinascente civiltà. All’opposto, la parte superiore del monte presenta la natura rigogliosa e un “tempio di maestosa architettura”. Su questo sfondo sono disposte l’antica civiltà greco-romana e quella moderna italiana, nei loro massimi rappresentanti. Apollo è al centro, Omero e Saffo gli sono accanto. Seguono le figure di Erodoto, Socrate, Eschilo e Aristofane, simboleggianti la storia, la filosofia, la tragedia e la commedia. Dall’altra parte si scorgono Fidia e Apelle, chiamati a rappresentare il progresso delle arti, Pitagora, curvo su un volume, quello delle scienze. Alle spalle dei sommi stanno figure che indicano le diverse celebrità di tutti i tempi. “Sull’orlo inferiore del poggio” siede Virgilio, in rappresentanza della grande letteratura latina; gli porge la mano Dante che, alludendo alla continuità della cultura letteraria, è chiamato a rappresentare l’italianità sia nella lingua, sia nell’idea di Patria. Il centro ideale della rappresentazione scenica del sipario è, dunque, la triade formata da Omero, Virgilio e Dante, capisaldi dei tre grandi periodi dell’antica e moderna civiltà. A questi fanno seguito i grandi intellettuali, gli artisti, i filosofi, gli uomini politici, i musicisti, più celebri dal Rinascimento fino al pieno Settecento". Proseguendo fra gli orgogli della nostra storia, ritroviamo anche Petrarca e Boccaccio, Giotto, Donatello, Muratori, Guicciardini, Machiavelli, Durante e Scarlatti. Insomma, un vero trionfo della cultura, della letteratura e delle arti che l'Italia, come l'episodio purtroppo insegna ed enfatizza in chiave emblematica, deve ancora imparare a tutelare.

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