Nelle premesse, una scelta del repertorio - tutti gli Studi di Chopin, di fila e giusto invertendo l'ordine canonico in op. 25 quindi op. 10 - di bel coraggio a fronte, negli esiti, di una preparazione tecnica di sostanza quanto forte di una visione stilistica e formale assolutamente centrata. Il quarto pianista in gara quest'anno per il Maggio del Pianoforte a Villa Pignatelli, ossia il diciannovenne siciliano Ruben Micieli, ha aggiunto alla rassegna un ulteriore, interessante tassello nel quadro di monitoraggio verso una generazione pianistica - italiana in primis - che sta sin qui sfoderando non solo muscoli ma, a pari merito, notevolissime doti in termini d'interpretazione musicale. Viene da sorridere pensando, sempre parlando di pianisti, a un paio di fenomeni mediatici con due o tre decine di anni in più che, spacciandosi l'uno per il guru di Bach e ricavando l'altro una popolarità macroscopica da un micro spot pubblicitario, non hanno neppure l'ombra di quel che stiamo ascoltando in queste domeniche d'autunno dai nuovi talenti in ascesa selezionati dal "Maggio". Nel caso di Micieli, abbiamo riscontrato un margine minimo di errori grazie a dita e a una memoria di acciaio, una concentrazione totale (nonostante il continuo passaggio di visitatori al museo che si fermavano a fissarlo attaccati all'anta di fianco al pianoforte, come al vetro di un acquario) e la sapienza di un'idea musicale che ha voluto intendere e dunque stringere come in un'unica raccolta i 12 + 12 Studi tuttavia scolpendone con lucidità, singolarmente, il piglio metrico, l'obiettivo tecnico, il motore dinamico, la cantabilità espressiva e quella tornitura timbrica prettamente romantica, nonché peculiarmente chopiniana, in grado di sublimare in pezzo la risoluzione di una problematica meccanica. Il suo perlato magari ha mostrato più massa che trasparenze ma, nel complesso, nitida ne è uscita ogni nota nelle tante cascate di volate e gruppi irregolari, intensi sono stati i suoi affondi negli squarci in tempo lento così come folgoranti le doppie ottave, le ripide vertigini cromatiche e gli arpeggi travolgenti della superba triade di Studi a chiusura dell'op. 25.
Degna di nota anche la qualità dello staccato nei nn. 3 e 4, quindi delle doppie terze trillate o in scala cromatica nel n. 6 della stessa opera mentre, dell'op. 10, si premiano i giochi a contrasto fra la delicatezza della "Tristezza" (n. 3) e l'impeto nel Presto in equilibrio fra legato e staccato del n. 4, fra le terzine brillanti del n. 5 e il pensieroso intimismo nell'Andante "con molta espressione" del n. 6. Andando alla fine, fra la leziosa, fitta rete di accordi arpeggiati e le tempestose tinte di fuoco della "Caduta di Varsavia" (n. 12). Al termine, un paio di sorprese in omaggio fuori programma: due brani da lui stesso composti, originali e pregnanti ma non lontani da quel gusto ottocentesco dallo slancio virtuosistico e un po' salottiero metabolizzato, qua e là, attraversando proprio gli impervi pentagrammi degli Studi di Chopin. (Nel video, gli Studi nn. 11, 12 op. 25 e il n. 12 op. 10).
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