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Paola De Simone

Due strepitosi Stradivari nel fuoco di una gara tesa fra canto imitato e contrappunto, ampi respiri e corse in punta d'arco, simili e parimenti acuminati nella tecnica ma assai diversi per temperamento quanto uniti, saldamente, nella complementarietà dello stile e nella condivisione degli accenti. È quanto abbiamo avuto modo di apprezzare e applaudire in occasione del Bach in re minore per due violini e orchestra d'archi proposto in apertura della nuova stagione di concerti al Teatro San Carlo di Napoli.

Un'apertura, diciamo pure, salvata in extremis per l'improvvisa scomparsa a inizio mese del protagonista previsto sul podio, il grande Neville Marriner, cui è stata di conseguenza dedicata la serata che ha visto pertanto passare lo scettro inaugurale, tra l'altro a basso regime di prove, a due violinisti siberiani di caratura mondiale: Maxim Vengerov e Vadim Repin (rispettivamente, nella prima e seconda foto), marito quest'ultimo della divina Svetlana Zakharova (nella foto sotto, i due coniugi insieme).

Il primo, anche sul podio per il resto del programma; il secondo, solista nel brano centrale. Già nel bellissimo Concerto BWV 1043 di Bach si è dunque compresa l'intesa speciale fra i due musicisti, legati da una pari scuola violinistica e da una sincera amicizia, così come evidente negli sguardi fondamentali agli attacchi e nell'autenticità dell'abbraccio al termine della pagina percorsa brillantemente insieme: Maxim Vengerov, dall'istinto musicale prorompente, di slancio appassionato e dalle dinamiche differenziate a sbalzo pur sempre entro il rigore metrico-ritmico che la parte esigeva; Vadim Repin, incisivo e meticoloso nella definizione di ciascun suono, nelle articolazioni dell'arco e nella disamina complessiva della forma. Quindi, insieme, in rara sintonia nella qualità dei respiri, dei colori e nell'apertura stilistica tipica quanto unica del Bach compositore alla corte di Köthen. Apprezzabile anche la prova dell'Orchestra, salda ed autonoma nelle diverse sezioni di archi rispettivamente ben capitanate dalla spalla ospite Marco Mandolini (primo violino della Haydn di Bolzano e Trento), da Rosa Weisbrot (al primo dei secondi), da Luca Improta (prima viola), da Luca Signorini (al primo violoncello) e da Carmine Laino al primo contrabbasso. Il tutto, intorno al cardine centrale ed esatto garantito al continuo dal sempre ottimo Pierfrancesco Borrelli, musicista ospite al cembalo.

Ulteriore sorpresa, quindi con il Concerto n. 1 per violino e orchestra di Max Bruch, fra le pagine segnalate come emblematiche del violinismo romantico ma, sin qui, scivolate da sempre in repertorio senza lasciare segni particolari. Ebbene, vuoi per la direzione a forti tinte di Vengerov passato nell'occasione sul podio di una rimpolpata Orchestra del San Carlo, vuoi per l'argento vivo tirato fuori da Repin attraverso i pentagrammi di Bruch destinati allo strumento solista, ne è uscito fuori un capolavoro inatteso di scrittura e interpretazione per l'equilibrio perfetto tra le mille risorse del virtuosismo ottocentesco e una cantabilità vibrata tra slanci tesi all'estremo ed ampie arcate liriche. Al termine della prima parte tanti gli applausi, ma niente bis.

Quindi, a seguire per la seconda metà della serata, la Terza Sinfonia di Mendelssohn, "Scozzese", dal podio per lo più giocata sulla velocità, sui grandi effetti dell'agogica e sulle linee liriche apicali in coerenza con una visione più violinistica che armonica dell'intera partitura.

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