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Paola De Simone

Vibrano con la forza di un tuono, possente e teatralissimo nella tesa divaricazione delle dinamiche, le ultime battute dell'Adriana Lecouvreur cavate da Daniel Oren sul podio dell'Orchestra del San Carlo per una delle più intense edizioni musicali del capolavoro di Cilea che il Teatro ricordi in tempi recenti per qualità e varietà delle tinte, per temperatura drammatica, per le espressioni e gli accenti a segno con rara sinergia fra palcoscenico e golfo mistico. E, per molti versi, una ripresa speciale quella proposta in queste sere al Lirico napoletano nello stesso, ultimo allestimento (nelle foto di Francesco Squeglia) realizzato con successo nel 2003 da Lorenzo Mariani, con le scene di Nicola Rubertelli (con i costumi stavolta di Giusi Giustino), che nel ruolo della protagonista vide magnificamente cantare il soprano Daniela Dessì, improvvisamente e prematuramente scomparsa ad agosto. Dunque, come annunciato, a lei la dedica dello spettacolo riproposto per un totale di sette recite dalla scorsa domenica (presente, nell'occasione, il tenore e compagno della Dessì, Fabio Armiliato, nell'ultima foto in basso) e fino al pomeriggio del giorno 23 in occasione dei 150 anni dalla nascita del compositore Francesco Cilea, calabrese di Palmi ma figura fondamentale per la vita musicale nella Napoli della prima metà del Novecento. Il tutto, in parallelo all'allarme lanciato in questi giorni dai lavoratori delle Fondazioni liriche contro una legge che ne rende difficile se non impossibile il futuro, viceversa in presenza dell'ottima e rivitalizzante guida sul podio di un direttore d'orchestra ideale per l'opera italiana in primis e che, per un soffio, non è stato scelto negli scorsi mesi quale guida stabile della compagine strumentale sancarliana; quindi, sul piano degli interpreti, al cospetto di un notevole cast vocale con l'unico disagio di un protagonista maschile passato in prima linea dal secondo giorno di prova in poi per una necessaria quanto non facile sostituzione.

A sipario ancora chiuso, procedendo dunque nell'ordine degli eventi, l'applaudita lettura di un comunicato affidato alla voce di Maria De Simone, soprano del Coro e rappresentante sindacale della Cgil.

Comunicato che qui riteniamo d'obbligo riportare integralmente per non fare la fine (vedi immagine al lato) di Fondazioni pur un tempo gloriose e oggi a secco di fondi e addirittura stipendi: «La legge varata dal Governo, la 160 del 7 agosto 2016 - ha specificato l'artista dal proscenio a nome dei lavoratori del Lirico partenopeo e richiamando attenzione ed applausi dal pubblico in attesa dell'opera - mira a destrutturare e depotenziare ulteriormente il nostro settore declassandoci, qualora non si riuscisse ad avere pareggio di bilancio, da Fondazione a Teatro lirico», dunque «facendo ricadere la responsabilità sui lavoratori», oltre ad avvallare il «conseguente disimpegno nella vigilanza e nella partecipazione dello Stato. Ormai prestigiose Fondazioni nazionali ed internazionali sono a rischio chiusura e il perpetuare di leggi - ha concluso la corista - e non il risolvere i problemi, decretano la lenta fine di una delle più grandi entità nazionali come la lirica. I lavoratori tutti del Teatro di San Carlo vogliono continuare ad offrire la massima qualità e professionalità. Pertanto manifestano il proprio dissenso a norme legislative che penalizzano i dipendenti ed il nostro amato pubblico».

Poi, il boato di consensi al semplice arrivo di Daniel Oren in buca e, da lì, un entusiastico tributo ulteriormente ribadito in crescendo ove possibile da palchi e platea fino a quel caro gesto con la propria mano sul cuore ai ringraziamenti finali, consueto nel direttore israeliano (nella foto sotto) verso il suo pubblico napoletano, nei confronti di un'Orchestra che con lui puntualmente esprime le potenzialità migliori e da quel podio di cui fu maestro stabile nella metà degli anni Ottanta.

Va dunque riconosciuto in lui quel cardine fondamentale di un intero allestimento sapientemente tirato via dall'erronea matrice verista quanto centrato nella prospettiva di un'avanzata quanto meravigliosa modernità lirica polarizzata intorno al disincanto dello specchio metateatrale, in delicata sospensione fra realtà e maschera, quanto ben salda sulla forza di un'identità compositiva di Scuola, propria di pochi altri capolavori e che profondamente ci appartiene. In tal senso, fondamentali le stesse parole di Oren in merito al titolo numero uno di Cilea riportate nel volumetto di sala: «Ritengo possa essere tranquillamente considerata come l'ultima proiezione in ordine di tempo della Scuola Napoletana Storica. E non soltanto per affidarsi al suo melodismo semplice e lineare che ne fu la caratteristica principale, ma per l'eleganza della scrittura e la forma che resiste nella sua rigidità anche nei momenti drammaturgici più lontani dal modello dell'estetica verista, i due melologhi di Adriana e di Maurizio [...]. Non a caso è un'opera molto legata alla storia della musica napoletana, di San Pietro a Majella e del Teatro San Carlo [...]. Francesco Cilea era calabrese, ma fin da ragazzo fu mandato a studiare al Conservatorio di Napoli (vi entra dodicenne, nell'anno 1878, ndr) che ancora era organizzato come un collegio. Vi rimase da "interno" per dieci anni avendo come maestri due fedelissimi dell'antica Scuola, Paolo Serrao (allievo e musicalmente erede del Mercadante, ndr) per l'armonia e il contrappunto, Beniamino Cesi per il pianoforte. Mentre il primo lo presentò all'editore Sonzogno - che stamperà tutte le sue opere - il secondo lo indicò come "supplente" della classe di pianoforte, quando fu chiamato a Mosca per tenere dei corsi di perfezionamento. Dopo aver vinto la cattedra ed insegnato anche armonia, Cilea diventerà direttore del Conservatorio che reggerà per vent'anni dal 1915 al 1935». E proprio durante la sua fervida, ventennale direzione, ruolo che magari in tanti neanche conoscono, sarebbero stati pubblicati gli Annuari del Conservatorio editi fino al 1934, sarebbe stata portata a termine la costruzione della Grande Sala da Concerti intitolata poi nel 1955 a Scarlatti, in origine di meravigliosa foggia neoclassica purtroppo perduta dopo il devastante incendio del '73, quindi sarebbe stato inaugurato nel 1925, ricollegandosi a quanto avviato dal Florimo con la raccolta dei dipinti, strumenti musicali e cimeli, il Museo Storico nelle sale della biblioteca. E sempre evidenziando il significato speciale di riportare l'Adriana a Napoli alla luce di un legame particolarissimo con la città, è opportuno ricordare anche quel suo impegno attivo di Presidente in commissioni ed esami, vertice attento in prima linea alla formazione dei giovani alunni ai quali andarono le parole che ebbe a pronunciare in occasione dell'inaugurazione della Sala dei concerti, riportate nell'Annuario del Conservatorio di quell'anno scolastico e, in stralcio, nella mia monografia dedicata ad Aladino Di Martino: "Ai giovani musicisti nostri, che portano qui la freschezza del loro ingegno e l'ardore dei loro sogni, io rivolgo l'avvertimento paterno di non affannarsi disperatamente alla ricerca di originalità stravaganti. in tale travaglio è assai facile perdere di vista il vero, che è antico, ma è pur sempre nuovo e avvincente. Lungi da me è il pensiero che giovi restare chiusi nelle vecchie formule, il che sarebbe la fine dell'Arte. Bisogna invece rinnovarsi, ma restando nell'ordine, nel dominio della ragione e quindi della logica, ispirandosi, cioè, ai nostri sommi maestri, i quali non erano stazionarii, bensì sensatamente progressivi. E sono perciò orgoglioso, o giovani, di potervi affermare che nel dominio della musica [...] Napoli musicale, e con essa il Conservatorio, erede e continuatore delle gloriose tradizioni della Scuola napoletana, sono stati e rimarranno sempre centro di vita, di luce e di rinnovamento spirituale". Siamo pertanto in linea con quanto i pentagrammi dell'Adriana Lecouvreur su libretto di Arturo Colautti avevano già ampiamente dimostrato a partire dalla prima rappresentazione avvenuta al Lirico di Milano nell'anno 1902 e, da lì, subito portata a Napoli dove avrebbe toccato i vertici espressivi più alti all'esordio con Salomea Krusceniski (1903) e, a seguire, con Magda Olivero (1941 e 1959), Maria Caniglia (1950), Renata Tebaldi (1952 e 1958), Leyla Gencer (1966), Montserrat Caballè (1978), Maria Chiara (1982), la grande cantante-attrice Raina Kabaivanska (1992) con relativa, indimenticabile zuffa fra scena e quinte con il tenore Nunzio Todisco, e fino all'anno 2003, con la dolce Adriana di Daniela Dessì (1957-2016).

Proseguendo su tale asse della storia sancarliana, al di là degli apprezzamenti di una ripresa registico-scenografica che ben funziona oggi come allora, lo spettacolo di queste sere compie un ulteriore passo in avanti, oltre che per la già lodata direzione musicale, senza dubbio in virtù di due voci di primissimo piano: quella del soprano Barbara Frittoli (a destra, nella foto di Francesco Squeglia) e quella del mezzosoprano Luciana D'Intino, rispettivamente protagonista e antagonista. La prima, certamente migliore Adriana che Desdemona, orientata ad esaltare quella modernità lirica di cui si diceva nella prima metà dell'articolo attraverso doti tecnico-espressive di tempra rara, luminosissime per timbro quanto gestite ad arte nelle mille sfumature dell'emozione levate fin verso l'acuto. Efficaci le sue sortite aderenti alla recitazione pura, così come i numeri d'insieme o a contrasto con la principessa di Bouillon. I suoi esiti più alti li abbiamo comunque riconosciuti nel candido lirismo dei numeri maggiormente celebri e fra essi diversissimi, vale a dire l'iniziale aria di presentazione "Io son l'umile ancella", non troppo distante dal sacro fuoco del "Vissi d'arte" di Tosca, e la dolente chiusa finale concentrata suoi fatali, "Poveri fiori", un gioiello di condotta del canto splendidamente spenta sul quel superbo tonfo dei timpani, sordo e lontano, cui va reso onore al professore d'orchestra ospite Matteo Modolo. Un arco lungo il quale la Frittoli si è rivelata Adriana intensa e volitiva, amante generosa e gelosa, attrice fra le migliori della Comédie Française e donna vera, realmente esistita nel Seicento parigino con il nome di Adrienne Couvreur e qui scolpita nel suo ultimo anno di vita, il 1730. (Nell'immagine in basso, Charles Antoine Coyperl (1694-1752), particolare del ritratto di Adrienne Le Couvreur)

Sul fronte opposto ma con non diversi punti di merito, la potente immagine dell'antagonista e al termine omicida per amore Bouillon messa a fuoco dalla sempre straordinaria Lucia D'Intino, recentemente apprezzata nella zia principessa della Suor Angelica pucciniana e qui in vetta assoluta con la sua "Acerba voluttà". La sua voce è immensa e duttilmente girata con grande consapevolezza sia guardando agli obiettivi espressivi che puntando al senso delle funzioni drammaturgiche. Antitetiche e complementari ad un tempo, la Frittoli e la D'Intino, non a caso entrambe applauditissime più volte a scena aperta, hanno in pratica costituito in palcoscenico i solidissimi capisaldi vantati entro la triangolazione con Oren dall'Adriana Lecouvreur di queste sere. Più che meritevoli anche il Michonnet dell'esperto Alessandro Corbelli e il principe di Bouillon di Carlo Striuli mentre, un discorso a parte, va fatto per il tenore Gustavo Porta, subentrato dal secondo cast a Marcello Giordani subentrato e mancato, a sua volta, in luogo di Fabio Sartori. Che Porta sia un tenore di bel colore e buon temperamento musicale è innegabile. Tuttavia, ci risulta assai difficile cercare e trovare un equilibrio qualitativo con le due voci femminili di punta, laddove lui è entrato, alla scena quinta, cantando la sua "dolcissima effigie" con voce non pulitissima né impeccabile per intonazione e fermezza. Per non parlare poi, nello stesso luogo canoro, della sibilante "s" più simile a una fricativa labiodentale sorda nell'emistichio "Bella tu sei". E così per il resto dell'opera, con pochi momenti felici soprattutto nei numeri d'assieme. Apprezzabile invece la performance del Coro e il contributo offerto dal resto della compagnia affidata alle voci di Luca Casalin (abate di Chazeuil), Elena Borin e Milena Josipovic (mademoiselles Jovenot e Dangeville), Stefano Consolini (Poisson), Paolo Orecchia (Quinault) e di Luigi Strazzullo (un maggiordomo). Molto bello infine il cammeo coreografico neoclassico (vedi seconda foto in apertura) inciso a linee tese da un coreografo napoletano contemporaneo, il bravo Michele Merola, per i danzatori della Compagnia di Balletto oggi affidata al nuovo, amatissimo vertice Giuseppe Picone.

A ricordo di Daniela Dessì è stato esposto nel foyer il costume da lei indossato nella prima opera interpretata al San Carlo, il Flaminio di Giovan Battista Pergolesi, andato in scena nel 1982,

per la regia di Roberto De Simonie, i costumi di Odette Nicoletti e le scene di Mauro Carosi, la direzione di Marcello Panni.

(Nella foto, il tenore Fabio Armiliato, presente alla prima dell’opera).

Teatro di San Carlo

Domenica 16 ottobre 2016, ore 17.00 (Turno A)

Martedì 18 ottobre 2016, ore 18.00 (Turno B)

Mercoledì 19 ottobre 2016, ore 20.00 (Turno M Opera)

Giovedì 20 ottobre 2016, ore 18.00 (fuori abbonamento)

Venerdì 21 ottobre 2016, ore 20.30 (Turno C / D)

Sabato 22 ottobre 2016, ore 19.00 (Turno M Opera)

Domenica 23 ottobre 2016, ore 17.00 (Turno F)

ADRIANA LECOUVREUR

Musica di Francesco Cilea

Libretto di Arturo Colautti

Direttore | Daniel Oren

Regia | Lorenzo Mariani

Scene | Nicola Rubertelli

Costumi | Giusi Giustino Luci | Claudio Schmid Coreografia | Michele Merola

Interpreti

Adriana Lecouvreur, Barbara Frittoli (16, 19, 21 e 23 Ottobre) / Svetla Vassileva

Maurizio, Gustavo Porta (16, 19, 21 e 23 Ottobre) / Bruno Ribeiro e Paulo Ferreira

La principessa de Bouillon, Luciana D’Intino (16, 19, 21 e 23 Ottobre) / Marianne Cornetti

Il principe de Bouillon, Carlo Striuli

L'abate di Chazeuil, Luca Casalin

Michonnet, Alessandro Corbelli (16, 19, 21 e 23 Ottobre) / Alberto Mastromarino

Quinault, Paolo Orecchia

Poisson, Stefano Consolini

Mad.lle Jouvenot, Elena Borin

Mad.lle Dangeville, Milena Josipovic (16, 19, 21 e 23 Ottobre) / Giovanna Lanza

Allestimento del Teatro di San Carlo

Orchestra, Coro e Corpo di Ballo del Teatro di San Carlo

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