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Paola De Simone

La forza di una narrazione in grado di scolpire in pentagramma immagini e di saldare insieme entro un unico itinerario di ascolto mondi paralleli, seppure distanti per cronologia e stile, è stata la scelta straordinaria e vincente del recital proposto in locandina quest'anno a Villa Pignatelli per il "suo" Maggio della Musica dal pianista napoletano e direttore artistico Michele Campanella. Punto di fuoco dell'intera prospettiva, i Quadri da un’esposizione di Musorgskij, opera di massima efficacia descrittiva nata nel 1874 pensando alla galleria di disegni del pittore Victor Hartmann, grande amico del musicista scomparso appunto in quell'anno e, nell'occasione, collocata nell'intera seconda metà del concerto. Partiamo così a ritroso, dagli esiti messi mirabilmente a segno in questi ultimi attraverso contorni netti e chiarissimi per ciascun quadro, singolarmente diversificato nella tecnica come nei dosaggi dei colori e delle dinamiche. Ma, pur sempre, alla luce dell'economia strutturale d'insieme attraverso quel filo camminato della Promenade in prima battuta scandita in modalità stentorea e di lì declinata in forme molteplici, via via differenti. E così il racconto per immagini si è deformato ora in suoni taglienti e grotteschi per Gnomus, un nanerottolo che avanza sulle sue gambe storte, ora stemperandosi in un'ulteriore, più tranquilla Promenade per poi fermarsi dinanzi al quadro, fra i più misteriosi ed intensi, del Vecchio castello, evocato attraverso il canto di un trovatore lontano nei luoghi e nel tempo. Altra Promenade, stavolta a forti tinte e, a contrasto, il bel gioco fra poggiato e staccato in Tuileries richiamando alla mente le scherzose baruffe di un gruppetto di fanciulli. Diversissima quindi la tempra pianistica utilizzata per la marcia massiccia in Bydlo, il carro da buoi polacco a grandi ruote quadrate, denso di suoni sforzati e dalla dinamica a forchetta, nella Promenade di pieno respiro e per lo staccato lieve ma deciso nello scherzino con trio della Danza di pulcini nei loro gusci. Altre ed ulteriori le atmosfere ritagliate poi per i Due ebrei polacchi, l'uno ricco e l'altro povero, perfettamente disegnati rilevandone la diversità dello scavo motivico e la reciproca indifferenza. Dopo l'ennesima, sonora Promenade, impossibile non premiare la grande efficacia divisa a sbalzo fra il luminoso ribattuto in sforzato più ottave in Limoges, la piazza del mercato animata dai pettegolezzi e i litigi delle comari, a fronte dei lunghi, scuri accordi di Catacumbae, autoritratto di Hartmann in visita fra le catacombe parigine fra evocazioni lugubri (così come sottolineato dall'annotazione all'Andante "Cum mortuis in lingua mortua") e il tema trillato al basso che porta ancora in avanti il passo della Promenade. Con inquietante, secca dinamica ha preso quindi forma e forza inaudite la seguente Capanna di Baba-Yaga, la strega dei racconti popolari russi con relativa dimora ritratta come un orologio su zampe di gallina, quadro sonoro tra l'altro citato da Keith Emerson nell'Inferno di Dario Argento. E, al termine, solenne e sontuosa si è rivelata La grande porta di Kiev, restituita in tutta la sua tempra barbarica e secondo i moduli dell'innodica russa.

Originale e geniale quindi l'idea di costruire "prima e dopo i Quadri", citando il titolo dato dallo stesso interprete al proprio recital, una cornice unica, pianisticamente "spiegata" nella prima metà del programma senza stacchi di sorta incastonando fra due diversi momenti creativi di Schumann (Papillons op. 2 e Novelletta op. 21 n. 8) i Racconti della vecchia nonna del novecentesco Prokof'ev. Quattro movimenti, questi ultimi, elaborati guardando ai modelli qui non casuali di Schumann e, appunto, Musorgskj. A maggiore ragione esemplare, se letta nella prospettiva dell'altissimo vertice tecnico-interpretativo poi toccato da Campanella con i "Quadri da un'esposizione" proposti a seguire, si è rivelata la tornitura evocativa dei dodici pezzi scritti dallo Schumann ventenne nei goliardici giorni dell’università ispirandosi alle letture di Jean Paul Friedrich Richter e, in special modo come debitamente sottolineato dalle parole d'apertura dello stesso pianista, agli scritti di E. T. A. Hoffmann. Una tornitura ricca di ombre e di luci, dipanata seguendo quel gioco del "doppio” presente nella mente quanto nello stile duale di Schumann e come d'altra parte ben vivo, allora come ora, negli alterni umori di ogni umana esistenza. Trionfale il successo tributato dal pubblico a Michele Campanella al termine dei suoi folgoranti "Quadri". (Foto di Flaviana Frascogna)

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