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Paola De Simone

Pari dissensi del pubblico alle due regie già viste e giudicate a loro tempo, applausi per gran parte delle voci, una direzione musicale di grande efficacia dalla prima all'ultima nota affidata ad una stessa, rigorosa bacchetta (quella dell'israeliano Pinchas Steinberg), qualche petalo bianco e qualche altro rosso destinato alla Madama Butterfly pucciniana firmata da Pippo Delbono finiti poi col fioccare per caso anche fra le rovine post-apocalittiche, stile Blade Runner, dell'Aida di Verdi secondo Franco Dragone nella ripresa curata da Michele Mangini.

A unire i due già ben noti allestimenti (nelle foto d'apertura) in questi giorni al Lirico napoletano in occasione del San Carlo Opera Festival edizione 2016, proposti ad un ritmo serrato e alternato sin qui senza precedenti già nelle prove come nelle rispettive otto recite per un totale di sedici spettacoli fino al 2 agosto, sono stati i diversi pro e contro, rilevati in entrambi e in luoghi paralleli.

Denominatore comune e saldo punto di forza, la medesima bacchetta scelta stavolta sia per l'opera di Puccini, posta in apertura, che per il terzultimo capolavoro di Verdi, in seconda posizione e pronto in palcoscenico già la sera seguente. Austera ed esigente ma garante di primi piani strumentali dalla rara cura espressiva quanto di folgoranti tensioni sonore d'assieme, e come d'altronde rilevato su altra testata sin dal 2010 con un sinfonico (Beethoven e Ciajkovskij) in grado di aver cavato da tutti i musicisti smalto e rigore assoluto fino a riportare in luce l’Orchestra sancarliana dei tempi migliori, la direzione di Steinberg ha tenuto sempre altissimo il profilo qualitativo e la modernità delle rispettive scritture restituendo tra l'altro, con lucida precisione e al contempo viva intensità, le rispettive pieghe in pentagramma dettate da due non facili drammaturgie musicali. A riprova, gli esiti messi a segno sia dall'Orchestra sancarliana, con apici registrati tanto nella Butterfly (dalla spalla Gabriele Pieranunzi all'intero corpo degli archi, da Giuseppe Settembrino, stavolta al primo fagotto, all'arpa di Antonella Valenti), che in Aida (ottimo il lavoro della prima tromba Fabrizio Fabrizi, delle trombe naturali in palcoscenico e degli ottoni tutti, del primo oboe Domenico Sarcina e del primo fagotto Maddalena Gubert), quindi più che apprezzabili le diverse prove del Coro preparato da Marco Faelli, sia in formazione divisa o mista (in Verdi), sia nel celeberrimo e bellissimo "a bocca chiusa" (in Puccini).

Quanto al giudizio in merito ai singoli spettacoli: colpisce a tutt'oggi la visione nuda e purissima della scatola bianca senza tempo in cui prende forma la Madama Butterfly di Delbono rodata intorno al tema "dell'attesa" con la prima edizione del San Carlo Opera Festival. Essenzialità assoluta e luci fondenti, al tempo pensate da Alessandro Carletti e ora affidate a Vincenzo Raponi. Ma parimenti, a tutt'oggi, infastidiscono le tante, inopportune intrusioni del demiurgo Pippo Delbono (come già nella sua Cavalleria rusticana), concentrate per lo più nei punti topici del dramma, e difatti fischiate al termine, ora come allora. In compenso, splendide tutte le voci principali in campo: in prima linea, svettava il Pinkerton del tenore venezuelano Aquiles Machado, di bella tecnica e omogeneità d'emissione, raro per l'autenticità della tempra pucciniana e ulteriormente apprezzato per la saggia sensibilità nella tornitura di accenti e sillabe del testo poetico-drammatico. Al suo fianco, se si eccettua quel largo vibrato con cui ha staccato le sue prime note, notevolissima si è via via rivelata la Cio-Cio-San del soprano bulgaro Svetla Vassileva (nella foto sopra a destra), interprete di tinta non troppo lontana dalla grande Kabaivanska e similmente di sostanza drammatica piena, ben tesa, brava davvero nel dominare l'impegno scenico e canoro entro lo scarto inconciliabile fra due mondi distanti chiaramente enunciati in partitura sin dalle prime battute di una tragedia volutamente esotica, nutrita di una violenza ancor più possente perché, a mandare in frantumi il mondo di delicata porcellana della quindicenne geisha giapponese, è un uomo occidentale, latore di progresso, civiltà e, dunque, a maggior ragione, subdolo nel suo inganno. Lo scontro fra i due mondi è dirompente: innanzitutto in musica. Il rapporto della Butterfly pucciniana con l’ultimo Ottocento (da Wagner a Massenet o ai suoi stessi titoli precedenti, oltre al vessillo dell’inno americano) è strettissimo, così come imponente è l’impiego di scale pentatoniche di tradizione giapponese. Al centro, il ponte della tradizione russa, dal Boris di Musorgskij alle altre innovazioni dei Cinque. Lo si avverte già durante il nervoso fugato introduttivo impiantato, com’è, tra il finto Settecento europeo e le tintinnanti giapponeserie d’intrattenimento. Una divaricazione nel cui fulcro si colloca la vocalità, impervia, della geisha sedotta e tradita che, dalla fascinazione della civiltà evocata dal regime tonale e dall'inno americano, approda al doloroso disincanto, culminante nel tragico volo scolpito a toni interi: ossia, morendo non più guardando alle sonorità dell’Occidente, bensì tornando ai propri lidi arcaici del Sol Levante, fino a quell'accordo in chiusura tagliente, che risuona come il ghigno di una civiltà ingannatrice.

Il tutto, sempre nell'esatta interpretazione del soprano bulgaro in campo, restituendo fedelmente ora l'illusione, gli slanci nel duetto d’amore, quanto l’attesa a denti stretti, la gioia, l’orrore e il sacrificio messo in atto tagliandosi la gola (nota di merito per la regia) e non il ventre così come previsto, secondo tradizione, nell'harakiri praticato dalle donne. Ottima anche la Suzuki affidata al mezzosoprano Rossana Rinaldi e bravo lo Sharpless interpretato dal baritono Luca Grassi. Bene gli altri comprimari.

Quindi a 24 ore di distanza, Aida, con il suo scenario sospeso oltre la gravità e oltre il tempo, dietro un sipario di funi e mirando dritto nel fuoco, a contrasto, tra gli orrori della guerra e la purezza dei sentimenti secondo quanto ideato da Franco Dragone per l'inaugurazione sancarliana 2013 ed ora ripreso dal giovane Mangini con qualche novità come l'efficace ingresso dei prigionieri etiopi, vinti e feriti, lungo il corridoio centrale della platea.

Nella graduatoria delle voci, più che l'Aida del soprano Kristin Lewis (sopra a destra, nella foto di Luciano Romano), dotata di una gran pasta di voce che tuttavia ha ingoiato consonanti e vocali in una dizione confusa, spesso compromettendo anche gli acuti, ma viceversa lodevole in zona centrale nei monologhi più accorati, e più che il Radames del tenore Antonello Palombi con posizioni canore incostanti e suoni alti spesso falsi o stimbrati, si premiano l'Amneris della lodevolissima Nino Surguladze (nella foto sopra a sinistra), mezzosoprano dalla tecnica ferrea e di bella espressione accanto al padre Amonasro affidato al bravo baritono Giovanni Meoni. Completavano il primo cast, il Ramfis del meritevole Riccardo Zanellato, il Re di Dario Russo e i brevi ma più che apprezzabili interventi di Antonello Ceron (Messaggero) e di Antonella Locatelli (Sacerdotessa).

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