Il racconto di un'esistenza sospesa oltre il tempo, filmata in diretta sul palco e riprodotta in primo piano su schermo per entrare in tanti, diversi step quanto onirici set di un viaggio fra gli amori e i ricordi vissuti, lasciati, cercati e infine ritrovati nell'ideale di sempre, attraverso la sorprendente fisicità corporea di due semplici mani. Mani come corpi e dita come gambe, dalla sensibilità espressiva vibratile, dal potere evocativo possente entro la rete fittissima dei linguaggi differenti e molteplici: a partire da una danza polarizzata per quasi novanta minuti sul mero dettaglio compreso fra avambracci e falangi (nanodanse) per poi uscir fuori, solo negli ultimi istanti, nell'interezza di un corpo dissotterrato dalla sabbia, quindi svelato ed avvolto nell'abbraccio di una coppia coreutica cullata in penombra dalle calde sonorità distillate, a due plettri, dalla meravigliosa Canção di Carlos Paredes.
Kiss & Cry, lo spettacolo con targa belga presentato per la prima volta a Mons nel 2011 (se ne riporta, sotto, il trailer originale disponibile su You Tube), tratto da un'idea dei coniugi Michèle Anne De Mey & Jaco van Dormael, coreografato dalla De Mey con Grégory Grosjean quindi prodotto dal Centre Chorégraphique de la Fédération Wallonie-Bruxelles, Charleroi Danses e dal Centre Dramatique, Le Manège.Mons, messo in piedi grazie ad una straordinaria squadra di tecnici, performer, filmaker e qui applauditissimo quale spettacolo principale nella serata di apertura del Napoli Teatro Festival Italia diretto da Franco Dragone, è in realtà ben altro rispetto a qualunque ipotesi di lavoro ad incrocio fra codici, lessici, realtà scenica e rimbalzi virtuali.
È un capolavoro d'arte totale nel senso più alto del termine: innanzitutto, per la genialità dell'invenzione e la raffinatissima sensibilità poetica, per la perfezione assoluta delle tecniche e degli esiti messi in campo in tempo reale saldando l'avanti e il dietro le quinte, per la capacità di solleticare l'ironia come la tristezza, nostalgie e sogni, tra finte miniature in case di bambola e suggestive vertigini circensi, fra i passi di una vita in solitudine o in coppia, lungo la corsa circolare ma senza meta di un trenino elettrico anch'esso osservato e vissuto attraverso una microcamera interna. E così nel mare, fra dune di neve sintetica o fra le nebbie di una memoria perduta. Fino a farci riflettere sul più piccolo granello quale emblema del mondo nell'universo e sulla parete, sottile, fra illusionismo e illusione.
Poi, in alchimia davvero unica, l'incontro magico fra le grandi Arti: l'efficacissimo testo drammatico qui narrato in lingua italiana dalla voce fuori campo di Angelo Bison e il sempre assai sensuale linguaggio dei danzatori (Michèle Anne De Mey e Grégory Grosjean) modulato secondo i diversi nuclei della storia; il racconto affidato alle immagini filmiche create in via estemporanea sul palcoscenico e il sincrono di una selezione musicale perfetta per stile, respiro ed affetto: dall'aria celeberrima "Lascia ch'io pianga". estratta dal Rinaldo di Händel, al ponte fra i pentagrammi di ogni epoca e latitudine, affiancando Vivaldi ("Gelido in ogni vena" dal Farnace) e Arvo Pärt (Fratres), Michel Koenig Gottfried e John Cage, Carlos Paredes e Čajkovskij, Prévert, Ligeti, Gorecki e George Gershwin.
Al centro? Un quesito da fiaba universale: "Dove vanno le persone quando scompaiono dalla nostra vita e dalla nostra memoria? Questo l'interrogativo - spiega la voce della storia così come il programma - di una donna mentre aspetta, sola, su un binario della stazione. Pensa a tutte le persone scomparse dalla sua vita, a coloro che sono spariti nella nebbia dell'esistenza. Quelli che ha incrociato un giorno e ai quali non pensa più. Quelli che ha sognato. Quelli che sono stati sradicati dalla sua vita per uno scherzo del destino. O ancora quelli che per un certo periodo hanno accompagnato il suo percorso e di cui poi si è liberata per stanchezza o disamore. Dove sono? Persi nel fondo di un buco di memoria?". Ed è da qui che si apre il cassetto dei ricordi, con tante piccole mani, ciascuna per ogni amore. E, al termine, sono le mani del pubblico a restituire la grandezza dello spettacolo applaudendo fragorosamente, al proscenio, i dieci artisti ed artefici di quel magnifico gioco fra le arti. Esattamente dieci, come le dita delle due mani in coppia viste sfiorarsi, accarezzarsi, danzare.
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