Un violinismo che tocca ed incanta in via paritetica il cuore e la mente, quello messo a segno da un applauditissimo Gil Shaham con tecnica al platino e colori inauditi in occasione del penultimo sinfonico diretto dal sempre ottimo George Pehlivanian, interamente dedicato a Čajkovskij e, in termini di esiti, da salvare in memoria fra i migliori eventi, in special modo entro il repertorio per violino solista al fianco all'Orchestra della Fondazione, ascoltati in assoluto negli ultimi tempi al Teatro San Carlo. In primo piano, il Concerto per violino in Re maggiore op. 35 del compositore dell'Onegin, di magnifici capolavori sinfonici e del più celebre trittico di balletti romantici, lavoro fin qui ascoltato più volte ma mai con l'intelligenza stilistica, la proprietà di definizione nelle articolazioni e la delicatissima gamma d'intenzioni dinamiche sfoderate nell'arco dei tre movimenti dall'interprete dalle salde radici familiari ed artistiche israeliane. Un meraviglioso fuori razza già solo per aver scolpito complessivamente il suo itinerario in ascolto raffinando all'estremo, e dunque con segno contrario alle forzature grondanti di peso e di timbro ormai di rito, le impervie trame čajkovskiane in bilico fra le accese impennate virtuose e gli avvolgenti affondi emotivi. Per poi siglare il tutto con un diverso sguardo sull'orizzonte sinfonico romantico, additandone il cimento d'elezione in due capisaldi bachiani per violino solo (Gavotte en Rondeau dalla Partita n. 3, qui riproposto nel video disponibile su You Tube, e il quarto movimento, Allegro, dalla Sonata n. 2) regalati fuori programma fra gli entusiasmi del pubblico con l'umiltà e la perfezione dei veri Grandi.
Nel dettaglio, con Orchestra tenuta a briglia tesa e con volume al minimo sin dalle poche battute introduttive da un Pehlivanian abilissimo più che mai nel gestire equilibri, accenti e dinamiche, Shaham ha enunciato il suo tema principale con una tornitura delicata e dolcissima che avrebbe poi costituito il filo interno per attraversare e valorizzare ogni sia pur minimo dettaglio sonoro persino nelle ascese tecniche più brillanti e in gioco fra i diversi colpi d'arco, cadenza compresa. Velocissimo, raffinatissimo, stilisticamente aderente ad una sensibilità romantica di autenticità e interiorità rare. Tanto da aver fatto scattare l'applauso - ma non è la prima volta nel suo caso - già al termine del primo movimento. Su pari linea l'intensità tersa e vibrante ad un tempo del suo tenero canto nell'Andante in minore centrale, noto come "Canzonetta", così come, intatto nello smalto cantabile è rimasto il suo slancio entro il fuoco di tinte e ritmi dell'Allegro vivacissimo di chiusura. Quanto alla compagine sancarliana al suo fianco, se ne segnalano d'obbligo le meritevoli risposte concertanti del primo flauto Bernard Labiausse, del primo clarinetto Luca Sartori e, nel tempo finale, accanto ancora a questi ultimi, del primo oboe Hernan Garreffa, oltre alla disciplina degli archi tutti.
Completava la serata una Sinfonia meno nota e parzialmente costruita ad arte da Čajkovskij, ossia la Seconda, denominata “Piccola Russia” per le melodie popolari ucraine che ebbero ad ispirarla nel 1872, dunque in periodo grosso modo analogo al Concerto per violino ma con ben altra felicità di esiti. Dunque, a maggior ragione apprezzabile il grande lavoro sulle sezioni e sulle singole parti messo a punto dal direttore Pehlivanian ma, anche, quanto restituito dai professori d'orchestra, a partire da quel solo scopertissimo quanto ottimamente risolto dal primo corno Simone Baroncini entro un gruppo che accoglieva anche un talento, aggiunto, poco più che ventenne: Gabriele Galluzzo, uscito dal Conservatorio "Francesco Cilea" di Reggio Calabria.
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