Vibrante e istintiva, determinata e voluttuosa, così come fervente e d'impeto è il suo sentire a fior di pelle, nell'odio al pari che nell'amore. La Fedora di Umberto Giordano, riportata in scena in questi giorni con buon successo al Teatro San Carlo dopo ben ventisette anni nel sapiente allestimento creato tempo fa da Lamberto Puggelli per il Regio di Torino, con le delicate scene litografate più i costumi scaligeri preziosissimi firmati da Luisa Spinatelli e qui a Napoli nella ripresa curata da Salvo Piro, ha avuto il pregio quanto il merito di siglare l'esordio nel ruolo del titolo di una delle cantanti-attrici attualmente più interessanti per interpretazioni di simil tempra scenico-vocale. Alla Floria Tosca, per intenderci, o alla Adriana Lecouvreur e, sul fronte interpretativo di generazioni non troppo distanti, di personalità drammatica e temperamento canoro non dissimile dal modello messo a segno nello scorso ventennio da Raina Kabaivanska. Al di là della funzionalissima piattaforma girevole di volta in volta chiamata ad evocare i raffinati salotti pietroburghesi o parigini quanto la luminosa dimora dei paesi alpini, fra minuzie e dettagli lentamente esposti in primo piano (suggestive i giochi di controluce di Bruno Ciulli) attraversando le diverse stanze e i luoghi della vita di Fedora, cardine indiscusso dello spettacolo in queste sere al Lirico napoletano è stata infatti Fiorenza Cedolins (sopra, nella foto di Laura Ferrari), notevolissima Aida e Tosca negli ultimi anni ed ora, per la prima volta, grande Fedora per tinta, tecnica e temperamento. Una donna vera, di sangue, istinto e passione, così come promesso nel bel profilo da lei stessa tracciato durante la conferenza stampa dei giorni precedenti. A lei infatti il primato nell'arco di tensione che in partitura ne attesta il dolore e la passione, il desiderio di vendetta e il coraggio del sacrificio scolpito a tinte di fuoco attraverso gli accenti e i gesti, un volume a pieno regime ad ogni registro ed una carica emotiva non sempre riscontrata invece fra la buca e gli altri interpreti in palcoscenico.
Al suo fianco e in primo cast c'era il Loris del calabrese classe 1974 Giuseppe Filianoti: personaggio scenicamente credibile quanto voce fin troppo nobile, assai bella e ben ferma ma spesso e soprattutto nella prima metà dell'opera sofferente nonché a rischio sotto il peso di uno stile non suo. Maggiormente appropriato il De Siriex di Roberto De Candia, recentemente apprezzato e applaudito in Falstaff. Nella norma gli altri interpreti e il Coro ben preparato da Marco Faelli mentre, dalla direzione musicale di Asher Fisch scelto nell'occasione sul podio, i momenti migliori sono andati a coincidere con i non pochi, sorprendenti scorci più moderni dell'opera a fronte di un tessuto talvolta banale ma anche non facile nell'incontro fra la recitazione, il canto e le rifrazioni sinfoniche. Restano da citare Roberto Moreschi al pianoforte di scena nei panni del parodistico Boleslao Lazinki, il Dimitri di Francesca Russo Ermolli, la Contessa Olga di Barbara Bargnesi, il Desiré di Cristiano Olivieri e, tra gli altri, i ruoli da comprimari assegnati a Bruno Iacullo, Gianvito Ribba, Mario Todisco e a Paolo Marzolo.
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