Una scuola musicale napoletana riconosciuta e apprezzata fra le primissime realtà culturali nell’Europa dei Lumi. Ossia quando già la sola e prettamente partenopea parola “Conservatorio”, che oggi dovremmo tutelare con marchio “doc” anziché violentare da anni emulando modelli stranieri posticci, funzionava come eloquente sinonimo di qualità altissima, nonché biglietto da visita valido nel mondo. È su tale, fondamentale principio e motore che ha preso forma il prezioso concerto o, più precisamente, progetto di ricerca in musica ideato ed eseguito a Palazzo Zevallos di Stigliano con il titolo “Da Napoli, a Londra e Dublino sulle note di Paisiello e Giordani” dall’Ensemble Symposium, gruppo da camera fondato dall’ottimo violista Simone Laghi e, con successo, ascoltato nella Stagione del Centro di Musica Antica Pietà de’ Turchini per la prima volta a Napoli.
In programma, un interessantissimo raffronto su duplice binario: due Quartetti (n. 6 in Do maggiore e n. 4 in Re maggiore) del festeggiato di quest’anno, Giovanni Paisiello (1740 – 1816), tarantino per nascita ma di formazione napoletana, acclamato nella Russia di Caterina II, a incastro con altrettanti lavori di pari genere (op. 8 n. 5 e op. 2 n. 3 entrambi in in Si bemolle maggiore) del pressoché oggi sconosciuto Tommaso Giordani (1744 – 1806). Compositore, quest'ultimo, nato proprio a Napoli, morto a Dublino e attivo in Gran Bretagna (negli anni 1768-1783 lavorò al prestigioso King’s Theatre) con esiti tali, sia in ambito operistico che strumentale e organizzativo-musicale, da essere ritenuto addirittura figura chiave per la diffusione dello stile compositivo italiano (compresa la novità dei finali d’opera) in terra d’Albione, con tempra e respiro galante non dissimili da un altro trapiantato a Londra, Johann Christian Bach, ultimo dei figli maschi del grande Johann Sebastian.
Stando alle notizie storiche in gran parte ancora tutte da riscoprire e valorizzare, particolare si rivela la sua formazione al seguito della compagnia teatrale del padre Giuseppe, a sua volta librettista, impresario e cantante in giro con il suo “carro di Tespi” per l’Italia e l’Europa con moglie e figli, tutti artisti, cantanti e, nel caso di Tommaso, arrangiatore e cembalista in orchestra. Singolarmente ampio e variegato il catalogo del Giordani figlio che ha appunto inizio nell’anno 1756 a Londra sulla base di tale ruolo, con l’opera La commediante fatta cantatrice, per poi proseguire con un un’immensità di lavori fra titoli teatrali in inglese, adattamenti, arie e Ouvertures per Pasticci e Opere buffe, musica da camera di ogni genere fra Sonate per diverso organico, Concerti, Cadenze, Marce militari, Duetti, Trii, Quartetti, Quintetti e Progressive Lessons. Il tutto, entro un efficace “sistema teatro”, come ben sottolineato nel programma di sala, che andava ad unire musicisti e società non solo nelle sale ufficiali, teatrali o da concerto pubblico (secondo la formula varata appunto a Londra oltre che a Parigi), ma anche nei salotti letterari, nobiliari e borghesi. E con ogni probabilità a quest’ultimo contesto, come sottolineato nell'occasione da Laghi con brevi altri cenni storico-analitici, rinviavano le pagine in ascolto. Ascolto che, ben oltre quanto sin qui registrato dagli ancora oggi rari studi storiografici e musicologici sul tema, ci ha detto moltissimo sulla qualità del compositore Tommaso Giordani e sui motivi di tanta celebrità alla sua epoca nel contesto britannico. Dunque, se già il Torrefranca ebbe ad additarlo fra i più importanti capostipiti del genere nel suo “Avviamento alla Storia del Quartetto Italiano”, per la conferma si è rivelato più che sufficiente il raffronto proposto.
Infatti, laddove Paisiello con tecnica compositiva affilatissima confezionava attraverso i due Quartetti in programma lavori di fattura impeccabile ma non lontana dai cliché di riferimento della forma classica per eccellenza, dunque in via privilegiata Beethoven per il n. 6 e Mozart per il n. 4, più stralci lirici nello stile delle opere sue, i due Quartetti di Giordani sorprendevano per l’originalità delle armonie, per la sostanza delle trovate melodiche, per i giochi strumentali fra i quattro elementi in campo e per improvvise sortite solistiche come quella, bellissima, affidata al giovane, talentuoso violoncellista Gregorio Buti nell’ultimo movimento dell’op. 2. Sortita che tanto ricordava e quasi citava il migliore stile (Concerto per viola o violoncello in do minore) del delizioso Bach di Londra. Quanto all’Ensemble in sé, da premiare in tutti (completavano l'organico i violinisti Igor Cantarelli e Gian Andrea Guerra) la buona tecnica, le scelte metriche e di stile, con particolare merito – cosa in genere rara – per una viola (Simone Laghi) dal temperamento trainante e dal colore speciale.
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