Un imponente quanto diverso, doppio volto del Novecento musicale russo diviso fra la Quinta Sinfonia di Prokof’ev (1944) e l’Œdipus Rex di Stravinskij (1927), con successo applaudito al Teatro San Carlo in virtù di un direttore alla testa degli organici della Fondazione fra i più interessanti della sua classe 1976, dal 2009 bacchetta principale dell’Orchestra Nazionale della Rai e in anni paralleli già apprezzato dal pubblico napoletano in varie altre occasioni, sia della lirica (Turandot desimoniana, nel 2015) che della sinfonica (esordio sancarliano con il poema sinfonico La Mer di Debussy, apertura della stagione 2009/2010 con il Brahms dell'op.77 e il "Titano" di Mahler, Concerto inaugurale al Forum delle Culture 2013, nello stesso anno dirige Un Americano a Parigi di Gershwin, il Ravel del Concerto in sol con il raffinato pianista napoletano Roberto Cominati e i "Quadri" di Musorgskij-Ravel, poi, nel 2014, il Don Quixote op. 35 di Strauss più Quarta Sinfonia di Mendelssohn e, nel 2015, Quinta Sinfonia di Ciajkovskij più Secondo Concerto per pianoforte di Brahms con il grande Yefim Bronfman). Parliamo di Juraj Valčuha, degno erede della grande tradizione direttoriale di scuola russa riconducibile al Maestro Ilya Musin, guida e fondamentale punto di riferimento per alcuni tra i massimi interpreti sul podio delle precedenti generazioni: Temirkanov, Gergiev, Barshai e Bychkov. Quindi formatosi anche al Conservatorio di Parigi con Janos Furst e Jorma Panula “per scoprire la musica francese” stando alle sue stesse dichiarazioni fatteci al tempo di una delle sue prime volte al Teatro San Carlo. E sempre in riferimento a quelle sue preziose, prime impressioni di un tempo, il merito dato all’Orchestra del San Carlo al riscontro, parlando nello specifico di Debussy, di tali qualità: “bel suono generoso e ampio, una grande energia, una ricca gamma di colori”. Per l’ulteriore, pieno successo dell’altra sera, partiamo appunto da qui, da una piena intesa fra podio e Orchestra riconducibile a tre punti essenziali: dal podio, il dominio di ogni dettaglio alla luce costante dell’architettura complessiva, quindi la chiarezza e l’efficacia del gesto; dalla compagine orchestrale e, in Stravinskij, sinfonico-corale, la risposta sollecita di quasi tutti gli elementi in campo in termini metrico-dinamici e di colore. Sulla base di tali premesse, dunque, la bellissima "Quinta" ne è uscita carica di tensione e lucentezza tali da tradire il conto dei movimenti e fino a strappare al sia pur colto pubblico del San Carlo un istintivo, fragoroso applauso a chiusura dell’Andante d’apertura. Di ulteriore forza e sapienza nel rilievo a scontorno, sulla solidità compatta dell’insieme, sono apparsi gli interventi a solo o di sezione in special modo nei tempi più veloci e il richiamo ad altri capolavori del compositore quali il balletto Romeo Giulietta del 1935 o la Cantata (scena della battaglia sul lago ghiacciato) Aleksandr Nevskij terminata cinque anni prima della Sinfonia op. 100. Quanto ai tributi eccellenti in organico si premiano gli splendidi soli del primo clarinetto Luca Sartori e l’ottima prova dell’intera fila da lui capitanata (Mariano Lucci, Stefano Bartoli e il professore ospite Luigi Pettrone), l’esatta tornitura non solo ritmica ma dinamico-timbrica dell’intera sezione (qui come in Stravinskij) delle percussioni (Mirko Natalizi, Pasquale Bardaro, Marco Pezzenati più gli ospiti Franco Cardaropoli, Vincenzo D’Acunto e Giuseppe Saggiomo), le sonorità dei corni e lo squillo delle trombe con le rispettive prime parti Ricardo Serrano e il sempre eccezionale Fabrizio Fabrizi più tromboni. Una menzione a parte spetta quindi al primo violino concertino Fabrizio Falasca, se non altro già solo per il recupero e traino del tempo nel primo movimento della Sinfonia.
Tutt’altro stile ma pari l’impegno nell’Œdipus Rex di Stravinskij, marmorea pagina neoclassica affidata, oltre che all’Orchestra, al solo Coro maschile in buona forma e ottimamente preparato da Marco Faelli, a cinque valorose voci soliste e alla partecipazione straordinaria di Toni Servillo (nella foto, con l'Œdipus di Brenden Gunnel), speaker chiaro e stentoreo per la lettura delle didascalie esplicative. Pagina complessa su testo dell’enfant terrible Cocteau tradotto su prospettiva archelogica in un latino ricco di arcaismi da Jean Danièlou, più historicus nell’originale francese e qui, ovviamente, in lingua italiana; quindi assetto drammaturgico estraniato e inteso come narrazione al quadrato di un mito più equilibrio in bilico fra opera e oratorio, definizione formale quest’ultima rapportabile al taglio epico e stilizzato, antirappresentativo (non un dramma d’azione, chiedeva Stravinskij a Cocteau, bensì una “natura morta”) a fronte di una sostanza prettamente da opera ma musicalmente restituita come pietrificata, ossia entro gli assi di un’orchestrazione verticale, asciutta, per sezioni.
Entro l’idea della stilizzazione e della struttura formale a vista, dunque, la vocalità oscilla fra declamazione ritmica e un canto di matrice settecentesca. E a coglierla a meraviglia è innanzitutto l’Edipo del bravissimo tenore Brenden Gunnell, camaleontico fra gli stili recitativo-oratoriale, vocalizzante e belcantistico, diatonico o cromatico. Non meno abile per tempra e drammaticità di bravura verdiana finanche in caricatura come nell’”Oracula, oracula” (più che per volume), il mezzosoprano Sonia Ganassi (Giocasta), ben attenta a muovere solo testa e braccia secondo quanto richiesto dalla didascalia in partitura. Nella norma gli interventi classicistici del Creonte del basso-baritono Marko Mimica, del puro classico tuonante Tiresia affidato al basso Alfred Muff e cromatico-bucolici (6/8 più corno inglese qui suonato dall'assai musicale Giuseppe Benedetto) del pastore del giovane tenore Matteo Mezzaro.
Discorso a parte per il Coro maschile del San Carlo, efficacemente onnipresente con metallo integro e a cornice degli eventi, in salda sinergia con la parola dei personaggi in ogni forma possibile di funzione espressiva (commento, stupore, complicità, esortazione o preghiera) e di scrittura (omofonica, polifonica, eterofonica). Suo il doloroso epilogo, in forma di tragico rondò, del soggetto drammatico sofocleo più alto di ogni tempo. Applausi per tutti al termine da un pubblico che, da quest'anno, è tornato finalmente a riempire in gran numero palchi e platea: così come merita la migliore Sinfonica targata San Carlo.
SCARICA PDF