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Paola De Simone

Un itinerario diverso dai soliti tracciati del grande repertorio, interpreti italiani di una giovane generazione in prima linea non per ragioni di mercato ma per la verità dei meriti qualitativi messi a segno sul campo e un bis, come per il recente sinfonico al San Carlo, dedicato alla grande scuola musicale napoletana dopo un tour in giro per l’Europa. Il tutto in un contesto generalmente dedicato al Barocco. Di qui lo speciale valore già nelle premesse e, a maggiore ragione, nei risultati conseguiti dai bravi componenti del Quartetto Delfico (Mauro Massa e Andrea Vassalle ai violini, Gerardo Vitale alla viola e Viola Mattioni al violoncello), al loro esordio partenopeo, e dall’oboista Fabio D’Onofrio (nella foto d'apertura), ospiti a Palazzo Zevallos di Stigliano con la stagione proposta quest’anno dalla Fondazione Pietà de’ Turchini. Stagione che, giocando sul titolo “Suona Antico … ma non lo è”, guarda ben oltre il Sei e il primo Settecento per ampliarne gli orizzonti, fino a scavalcare il secolo dei Lumi e ad arrivare ai nostri giorni. Nel caso del prezioso concerto dal titolo "Sulla rotta di Vienna, da Sacchini a Beethoven", in ascolto c’era l’ultimo Settecento da camera europeo diviso fra un aspetto meno noto – quello strumentale – dell’operista Antonio Sacchini (fiorentino per nascita, attivo fra Parigi e Londra ma, si badi, di scuola napoletana), due Quartetti con oboe di Johann Baptist Vanhal, compositore nato in Boemia, di famiglia ceca e, all’epoca, fortunatissimo esponente del Classicismo viennese; quindi, fra questi ultimi due brani, uno dei gioielli dell’op. 18 (il Quartetto n. 2) di Beethoven. Relativamente alle pagine per soli archi, c’è da rilevare la sorprendente maturità del gruppo, sia in virtù del singolo che di un insieme sempre ben saldo nella comune economia ritmica ed espressiva, quanto forte in un non meno apprezzabile mix di sensibilità e di intesa verso non facili obiettivi stilistici entro un organico neanche di remota formazione, nato da una speciale passione per la formazione per antonomasia dello Stile Classico, il quartetto d’archi, nonché dal desiderio di riscoprire in tale letteratura pagine rare, tanto da essere presto entrato in importanti programmazioni sia italiane che estere. Dai due Quartetti di Vanhal, quindi, la conferma e l’ulteriore riconoscimento dei requisiti, oltre che tecnici, splendidamente musicali dell’oboista Fabio D’Onofrio, un solista campano formatosi al Conservatorio “San Pietro a Majella” e riconosciuto talento di cui andare realmente fieri, su pentagrammi barocchi e non solo, nel mondo. Non a caso, è stato primo oboe di numerose compagini italiane di prestigio e, attualmente, lo è della Wiener Akademie Orchester. Peccato insomma non averlo, per quanto impegnato in corsi e master fra i quali quelli organizzati in questi mesi dall’Associazione Napolinova, fra i docenti di uno dei nostri Conservatori.

L’intonazione, la tornitura timbrica e il sostegno nell’emissione dei suoni, il controllo dei fiati e la cura del fraseggio, l’attenzione per le dinamiche e per le sfumature di colore, la consapevolezza storico-stilistica, la dolcezza dei rilievi tematici e la sagacia dei profili ritmici sono infatti parametri riscontrabili in ciascun brano e ad ogni sua esibizione, così come confermato dai lavori rispettivamente in Si bemolle maggiore n. 2 e in Do maggiore n. 6 di Vanhal e nella toccante Siciliana tratta dal Concerto in Do maggiore per oboe di Cimarosa, ovviamente in trascrizione, offerta al termine (si veda il video) quale graditissimo omaggio fuori programma.

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