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Paola De Simone

«Un capolavoro di entusiasmo, talento e soprattutto grande scienza, scritto agli esordi compositivi da un Mendelssohn appena sedicenne e, pertanto, a maggior ragione sorprendente quanto di non frequente e facile esecuzione. Ecco perché - dichiara e fa notare al pubblico del Maggio della Musica il direttore artistico, Michele Campanella (nella foto sotto a destra), in apertura del bel concerto con gli Archi dell'Orchestra della Toscana - sono particolarmente felice di aver potuto proporre l'ascolto dell'Ottetto op. 20 in locandina con strumentisti tutti di pari abilità, così come la difficilissima pagina prevede e come ho d'altra parte avuto personalmente la fortuna di appurare collaborando da tempo con i musicisti dell'ORT e con la loro splendida spalla Andrea Tacchi (nella foto sotto a sinistra), un vero numero uno - ribadisce il pianista napoletano - in Italia e non solo».

Ed è così che fuori stagione, in attesa dell'imminente edizione 2016 interamente prevista nella restaurata Villa Pignatelli e a recupero del concerto saltato lo scorso settembre, il Maggio della Musica non solo ha dato forma, eccezionalmente alla Chiesa Anglicana, ad una delle occasioni maggiormente preziose rilevate entro l'attuale circuito concertistico, ma ha anche e al contempo ben testato la solidità "fuori locandina" della risposta di un pubblico e di un folto gruppo di soci sin qui formati ex novo e curati con rara attenzione dalla presidente del "Maggio" Luigia Baratti. Un'attenzione che, a fronte e a dispetto delle decurtazioni finanziarie pubbliche e private responsabili quest'anno di una vera e propria lotta puntata, sebbene in congiuntura critica, a garantire come sempre alla rassegna una costante crescita qualitativa sia dei programmi che dell'organizzazione, è essa stessa dimostrazione della volontà di una missione culturale finalizzata al coinvolgimento di nuove fasce di fruizione in parallelo agli intenti di formazione così come attestato dalla sin qui inedita presenza di stagiste al botteghino e per l'assistenza in sala provenienti dall'Istituto De Sanctis di Napoli.

Sul palco, dunque, otto musicisti dell'Orchestra della Toscana per un doppio confronto sulla formula dell'Ottetto d'archi diviso fra l'opera postuma del tardoromantico Max Bruch, datata 1920 e pertanto composta nelle ultime settimane di vita dell'autore, e appunto il gioiello di Mendelssohn scritto invece un secolo prima da un giovanissimo talento. E, stando alla sostanza complessiva quanto alla specificità del contributo riconosciuto in ogni elemento nell'occasione, sarà bene citarli singolarmente per dare luce e il giusto merito a tutti: a partire dal violino di spalla Andrea Tacchi, eccellente per intonazione, canto e temperamento, agli altri violinisti Daniele Giorgi, Patrizia Bettotti e Susanna Pasquariello; quindi, le viole Stefano Zanobini e Caterina Cioli, bravi entrambi quanto ben distinti nei rispettivi ruoli, e fino ad arrivare a Luca Provenzani e a Giovanni Simeone, ai violoncelli (nella foto sotto, l'Ottetto d'archi dell'ORT).

Quanto alle note, di assoluto impatto per le scelte metriche, i rilievi melodico-ritmici, le dinamiche, i colori e per il perfetto incastro di tutti i ruoli in gioco capitanati da Tacchi, si è rivelato il confronto fra le elaborazioni più libere dell'Ottetto di Bruch, seppur sempre ispirate al modello mendelssohniano ma con dense ombreggiature di pasta brahmsiana, e il serrato rigore tecnico e contrappuntistico del brillante capolavoro del compositore riconosciuto quale il più classico fra i romantici. Infine, per l'omaggio fuori programma, una sorpresa: Eleanor Rigby, uno dei massimi "cult" dei Beatles che, nell'originaria versione a firma di George Martin e dello stesso Paul McCartney, edita nell'estate 1966, prevedeva appunto come base strumentale la rarità di un ottetto d'archi. Caldissimi gli applausi al termine.

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