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Paola De Simone

Strano destino quello delle ultime due edizioni in italiano della Vedova allegra di Franz Lehár al Teatro San Carlo di Napoli che, a distanza di sei anni ma su pari regia di Federico Tiezzi in bilico fra “art déco” e cabaret tedesco alla Weill, non è andata in scena la sera della prima con l'Hanna Glawari prevista dal principale cast in locandina. Ed è così che, come già nel 2010 quando l'operetta esordì in prima battuta con la platinata protagonista non cantata dalla prevista Eva Mei, bensì interpretata dalla particolarmente versatile belcantista napoletana di caratura internazionale Valeria Esposito, in seconda compagnia con Luca Canonici causa forfait della "première" per agitazione sindacale contro il decreto Bondi sulle Fondazioni lirico-sinfoniche, anche stavolta, sebbene per motivi di salute, in prima linea non ha cantato Carmela Remigio, attesissima nel debutto del ruolo. Infatti al suo posto, accanto a tutti gli altri componenti del primo cast dello spettacolo nell'occasione rimontato da Francesco Torrigiani, c'era Maria Pia Piscitelli, voce tecnicamente ben solida quanto assai interessante per una tavolozza di colori e di espressioni in verità maggiormente inclini all'ambito serio (non si sottovaluti il suo nome in anni recenti per la protagonista di un vero capolavoro seicentesco quale la Calisto di Cavalli, a Vicenza) che alla frizzante leggerezza di un'operetta per quanto d'alto rango. Vale a dire che, se l'elegante ma pur sempre vivace e avvenente magnetismo della "Vedova" qui non filtrava più di tanto soprattutto sull'algido sfondo di una borsa nel fatidico anno '29, una migliore connessione fra vocazione e stile richiesto si rilevava attraverso un Conte Dànilo di particolare pregio carismatico quale quello ormai ovunque riconosciuto ed applaudito di Markus Werba (nella foto sotto).

Brillante (ad eccezione del can-can delle grisettes al Maxim's) la Valencienne di Valentina Farcas (nelle repliche a seguire affidata ad Anna Maria Sarra e alla citata Valeria Esposito) così come a proprio agio, nei rispettivi ruoli vocali e scenici, il Camille de Rossilon di Bernhard Berthold, il visconte Cascada del sempre ottimo Domenico Colaianni e gli altri comprimari (Enzo Peroni, Matteo Ferrara, Francesca Martini, Donato Di Gioia, Miriam Artiaco, Dario Giorgelè, Lara Lagni, il Coro curato da Marco Faelli e, in special modo, il Corpo di Ballo del Lirico napoletano preparato da Lienz Chang. Discorso a parte per il Barone Zeta del baritono Bruno Praticò (in alternanza nelle repliche con il non meno amato Filippo Morace), già particolarmente ammirato la scorsa volta nelle sue improvvisazioni teatrali e metateatrali messe a segno con molteplici, deliziose variazioni, stavolta giocate in sapido contrappunto, con arte asciutta quanto efficace, dal grande Peppe Barra, per la prima volta Njegus (con tanto di canzone d'epoca, purtroppo amplificata, più un paio di nuove, calzanti battute fuori le righe) e per la prima volta sul palcoscenico della lirica al San Carlo. Un po' per tutti invece, anche rispetto a quanto da loro stessi ascoltato in passato, scarso il volo della voce e il fluire degli armonici. Ma, quella, è un'altra storia.

Nella classifica degli applausi, in vetta e a pari merito, hanno condiviso il successo il baritono Werba e il direttore d'orchestra viennese Alfred Eschwé, particolarmente abile, quest'ultimo, nel restituire la filigrana ben tesa e luminosa di una partitura non facile per l'estrema eterogenità dei tasselli interni, più qualche consueto innesto esterno da una non meno alta tradizione dell'operetta, a firma di Jacques Offenbach. Si replica stasera e ancora per sette recite fino a mercoledì 3 febbraio.

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